Rebecca libri

Caro esordiente, sei in un acquario pieno di squali

di Paolo Di Paolo
Fonte: L’Espresso, 14 gennaio 2016

Caro scrittore esordiente del 2016, buon anno, il paesaggio non è più lo stesso. I tuoi sogni, le tue ambizioni faranno i conti con un mondo editoriale che, nel corso degli ultimi mesi, ha vissuto quasi un terremoto. Che cosa è successo? Sì, questo lo sai, Mondadori Libri ha acquistato Rcs Libri: il gigante cosiddetto “Mondazzoli” è pronto a controllare circa il 35% dell’intero mercato editoriale e a troneggiare sulla scena. Ma sarà poi così? I piedi, al momento, sembrano d’argilla, si muovono incerti in una nebbia che si taglia a fette. No, non è in pericolo la libertà d’espressione, stai tranquillo. C’è allora qualcosa a rischio? Quella che qualcuno ha chiamato “bibliodiversità” lo è già: tutto potrebbe somigliare sempre di più a tutto, titoli, copertine, stili, un immane pasticcio senza identità, 50mila (tanti sono, più o meno, i titoli sfornati in Italia ogni anno) sfumature di grigio. Ma d’altra parte l’editoria è un mercato, non ha senso scandalizzarsi: gli amministratori delegati hanno sempre l’ultima parola e giustamente vanno per le spicce, giustamente sono laureati in Economia e commercio, di solito mostrano per la letteratura la stessa sensibilità di un televisore o un frigorifero.

«Se vuole restare su questi livelli, se lei dovesse garantire il nostro investimento, allora i suoi libri, come saponette e auto, devono avere la certezza di essere comprati» urla nelle orecchie di un povero scrittore la dottoressa Celletti, grande capo di una pseudo-Mondazzoli nel fresco romanzo – distopico ma non troppo – di Antonio Manzini Sull’orlo del precipizio (Sellerio). Non facciamo gli ingenui: i libri, in fondo, sono saponette. Ma che ne facciamo di saponette tutte uguali, con lo stesso profumo, anzi non-profumo? L’alter ego narrativo di Manzini se lo domanda. Gli viene risposto: «A noi della sua etica, della sua poetica, della sua narrativa, del suo stile, dei suoi aggettivi e dei suoi avverbi non interessa. A noi interessa lei, se e fino a quando riesce a carpire l’attenzione di un pubblico». Perfino la moglie cerca di convincerlo che “loro” hanno ragione: «Dicono la verità. Ripeti con me: la narrativa italiana non c’è più. C’è la comunicazione in lingua indigena… ripeti!».

Se “sai” di qualcosa, caro futuro autore di saponetta, fatti coraggio, preparati a lottare, a scavarti un piccolo spazio sul piccolo scaffale del supermercato, a farti notare con tutti i tuoi mezzi, e non contare troppo su chi dice che ha investito su di te. A proposito, se hai già inviato il tuo dattiloscritto allo storico editor della narrativa italiana Mondadori, Antonio Franchini, sappi che il destinatario ha cambiato sede. Adesso è a Giunti. E l’ha seguito, da Mondadori, anche Giulia Ichino. Se l’hai inviato al direttore della Bompiani, Elisabetta Sgarbi, ha cambiato sede anche lei. Ha fondato La Nave di Teseo, e ha imbarcato pezzi da novanta come Eco, Cunningham, Kureishi, Veronesi. E un valzer > tutti i tuoi mezzi, e non contare troppo su chi dice che ha investito su di te. A proposito, se hai già inviato il tuo dattiloscritto allo storico editor della narrativa italiana Mondadori, Antonio Franchini, sappi che il destinatario ha cambiato sede. Adesso è a Giunti. E l’ha seguito, da Mondadori, anche Giulia Ichino. Se l’hai inviato al direttore della Bompiani, Elisabetta Sgarbi, ha cambiato sede anche lei. Ha fondato La Nave di Teseo, e ha imbarcato pezzi da novanta come Eco, Cunningham, Kureishi, Veronesi. E un valzer di poltrone mai visto: nemmeno gli uffici stampa stanno fermi. Quello di Rizzoli va a Garzanti, quello di Bompiani fonda un’agenzia, quello di Garzanti va a Baldini, non c’è quasi più un numero di telefono a cui risponda la stessa persona. Nemmeno gli autori stanno fermi: migrano insoddisfatti. Margaret Mazzantini e Chiara Gamberale da Mondadori a Feltrinelli; Melania Mazzucco è già da un po’ a Einaudi, dopo aver lasciato Rizzoli; Mariapia Veladiano è appena arrivata a Guanda da Einaudi; il buon vecchio Federico Moccia – quello dei gloriosi Tre metri sopra il cielo (quasi 2 milioni di copie nel 2004, cifre irripetibili) – ha fatto un giro con tutte. Viene il mal di testa.

Ma come, ti chiederai tu, non erano matrimoni indissolubili, una volta, i sodalizi editoriali? Lo erano, sì: Pavese o Morante ed Einaudi, Pasolini e Garzanti, Moravia e Bompiani, Tabucchi e Feltrinelli, storie d’amore tempestose che duravano una vita. Come quelle dei nostri nonni arrivati alle nozze di diamante. Ma il punto era, come in un matrimonio, il progetto. Un editore scommetteva sulla durata, sul percorso: sul fatto che il giovane Italo avesse il tempo di diventare (e di restare) Calvino. In questo primo tratto del Duemila, ogni libro è un progetto a sé: si ricomincia sempre daccapo. La memoria è corta, la vista miope. Più che lo scrittore, conta il singolo romanzo: il verbo più in uso negli uffici editoriali è “funziona”. Basta che funzioni, direbbe Woody Allen. E se non funziona? Be’, se non funziona, si prende tempo, ci si annoia, poi si cambia. Lasciamoci così senza rancore. Le case editrici sono appartamenti in affitto, non sperare di lasciare il tuo spazzolino in bagno. Non sei forse cresciuto al tempo della flessibilità? Bene, hai i muscoli allenati. Sei giovane, ma non fidarti troppo della tua gioventù. Fino a qualche anno fa, prima della Grande Crisi, sarebbe stata un passepartout. Gli editori firmavano contratti da trentamila euro a ventenni sconosciuti. Li buttavano nella mischia, aspettavano di veder sbocciare un nuovo Giordano, una nuova Avallone. Non accadeva niente, niente bis dei Numeri primi, niente Acciaio, niente di speciale. Il giovin scrittore portava a casa – quando andava bene – le sue tremila copie, e buonanotte. Smetteva in fretta di essere giovane, allora le cose si complicavano, l’editore si disamorava di lui e della causa, lo teneva in sala d’attesa, finiva per dimenticarsene. Tutto preso da nuovi ventenni da buttare nella mischia, con contratti a cifre molto più basse – 1500 euro lordi, di media – oppure a zero.

Cinismo, dici? Sì, anche. Ma dev’esserci un po’ di sano cinismo in ogni impresa, no? Il fatto è che non sempre è stato sano: è stato, mi pare, molto più del necessario, là come altrove, nell’Italia tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Gli illustri super-direttori alla Paolo Mieli, gli imbattibili mega-dirigenti alla Gian Arturo Ferrari (prima congedato, ora richiamato alle armi da Mondazzoli) si sono mossi a grandi falcate sulla scena, rispondendo con un ghigno a qualunque obiezione. Intanto, le grandi aziende scalavano le classifiche dei best-seller, vincevano i grandi premi letterari a mani basse, con l’allegra arroganza di chi non conta i feriti lasciati sul campo solo perché finge di non vederli. E poi tutti a sorridere al Ninfeo di Villa Giulia, la notte del Premio Strega.

La progressiva contrazione del mercato ha reso minaccioso un paesaggio ottusamente – e solo in apparenza – sereno. Era un po’ come veder svuotare dall’oggi al domani i mega-frigoriferi della villa in Sardegna di Lele Mora, celebrati nelle prime estati del Duemila dalle trasmissioni trash di Italia Uno. Fine della Grande Bellezza: Lele Mora si faceva frate, il plumbeo governo Monti diventava uno stato d’animo collettivo. Al risveglio nell’Italia renziana, parecchie cattive coscienze avevano per tempo provveduto a un lifting. Anche nell’editoria.

Adesso, caro scrittore esordiente del 2016, sei costretto a muoverti in questo acquario dove gli squali fingono di essere pesci rossi. Sarà una gran fatica. Ma tu scrivi romanzi, giusto? Ecco, allora puoi dimenticare per un po’ tutto questo, concentrarti sulla storia che vuoi raccontare, sulle parole giuste per raccontarla. Quando avrai finito, guardati attorno. Cerca interlocutori buoni: i blog, i social possono fare la differenza. Le piattaforme di self-publishing? Anche quelle. Ci si è messo pure il colosso di Amazon: se scali le classifiche online, vengono a cercarti loro. Certo, è difficile scalarle se scrivi come Gadda. E se scrivi romanzi troppo lunghi, c’è chi pensa a tagliarli: un editore, Centauria, sta mandando in edicola a pochi euro versioni accorciate di Larsson e Mazzantini, da 600 a 200 pagine. Prima o poi lo faranno anche con “Guerra e pace”: troppo prolisso, signor Tolstoj, non abbiamo tempo! Come trovare conforto? Guardando altrove, guardando al meglio.

La media e piccola editoria di ricerca non è mai morta, resiste, continua a difendere un’alternativa, e i risultati si vedono: nei primi dieci mesi del 2015 è cresciuta per numero di copie e fatturato (quasi il 2% in più rispetto all’anno precedente, mentre i grandi hanno perso il 2,8). Comunque, anche nella selva abbastanza oscura della grande editoria le piste ci sono, si aprono qua e là, magari quando gli amministratori delegati sono distratti, ma si aprono. È pieno di gente che ama davvero i libri, che ha mandato giù qualche boccone amaro, ma ha ancora molta voglia di fare. Truman Capote ti direbbe che il mondo in cui si è fatto largo lui, venendo dall’Alabama, non era meno complicato, ispido e ambiguo. Leggi il suo Preghiere esaudite. O Festa mobile di Hemingway, se ti serve qualcosa di epico. Parti sempre dall’entusiasmo, fidati del talento. Tanto vale provarci. Il digitale non ha ucciso il libro di carta, nemmeno fra gli under 18. Negli Usa stanno riprendendo fiato le librerie indipendenti. La fascia dei lettori giovanissimi promette sorprese: in Italia il 57% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni ha libri per le mani (sdraiati sì, ma per leggere). Che aspetti? Scusa se ti ho parlato come un vecchio zio, ti auguro il meglio e, per una volta no, non in bocca al lupo.

Fonte: L’Espresso, 14 gennaio 2016
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