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Discorso sul Chisciotte

di Antonio Machado (trad. Angiolina Zucconi)

Oggi, 7 ottobre, festeggiamo l’anniversario della nascita di Cervantes, anche se in realtà non sappiamo se Cervantes sia nato proprio in quel giorno. L’unico elemento che conosciamo è la data dell’atto di battesimo, che è quella del 9 ottobre del 1547. Alcuni suoi biografi ritengono che egli sia nato il 29 settembre, giorno di San Michele. è probabile che sia così, o che, quantomeno, la sua venuta al mondo sia molto vicina a quella data. C’è un aspetto comunque su cui gli studiosi non possono non essere d’accordo: e cioè che Cervantes non poteva essere stato battezzato prima di nascere. E anche nel caso, poco probabile, che l’atto di battesimo sia apocrifo e che Cervantes sia nato dopo il 9 ottobre, troveremmo sempre un’infinità di motivi e pretesti per rendere omaggio al più glorioso dei nostri ingegni, non solo in questo giorno ma in qualsiasi altro giorno dell’anno.
A questa solenne cerimonia è dato anche il nome di Fiesta del Libro e, dal momento che coincide vagamente con la nascita di Cervantes, dobbiamo dire che è la Fiesta del Quijote, che è la sua opera più famosa e il libro spagnolo per eccellenza.

Diciamo, quindi, qualcosa su Cervantes e sul suo libro immortale.

Su Cervantes poche parole. Miguel, e non don Miguel come recita la lapide che vedrete accanto alla porta di questa casa, semplicemente Miguel, perché, essendo di famiglia povera, il don non gli è mai appartenuto, nacque ad Alcalá de Henares e la povertà lo accompagnò per tutta la vita. Povero da bambino, povero e frustrato da aspirante alla corte, povero da soldato benché glorioso, povero da prigioniero nel… (qui probabilmente mancano alcune pagine, N.d.C.) Chi si cura infatti o si è mai curato di un povero uomo, che non indossa né fasce, né croci, né decorazioni militari, né abbigliamenti cortigiani, né (una parola illeggibile, N.d.C.) accademici? Chi si cura di un soggetto mal vestito e macilento, e perché la sua persona priva di orgoglio, di vanità e insoddisfatta non si presenta ai nostri occhi come spettacolo di umanità trionfante e privilegiata? Allora come ora, Cervantes sarebbe stato per noi il povero uomo di cui nessuno si accorge. Ma perché continuare a parlare del povero uomo che è stato Cervantes? Diciamo piuttosto qualcosa sul suo libro immortale.
Il Quijote – la prima parte – venne pubblicato nel 1605. Era l’opera della maturità di Cervantes. Ed ebbe un immediato successo di risate. Ma, non inganniamoci, il successo del Quijote fu un successo di pubblico, che non valse a Cervantes la piena ammirazione dei dotti. In Spagna il volgo ha sempre difeso le grandi opere, e la critica – ciò che all’epoca si intendeva per critica era il giudizio dei letterati – a volte fu a loro avversa. Senza il popolo, senza l’ammirazione del profano, il meglio della nostra letteratura: il romancero, la Celestina, il teatro, la novella picaresca, l’opera dei nostri romantici, sarebbe andata perduta per sempre. Così avvenne con il Quijote. Il popolo amò questo libro sin dal momento della sua comparsa. La critica cominciò a capirlo nel XVIII secolo e gli rese piena giustizia nel XIX.

E non poteva essere altrimenti. Perché il Quijote, a mio parere, non è un’opera rinascimentale, come qualcuno ha sostenuto recentemente. Se il Quijote fosse stata un’opera del Rinascimento, sarebbe stato compreso e giudicato in tutta la sua grandezza. La concezione umanistica, di cultura classica, che caratterizza l’uomo del Rinascimento si ritrova anche in Cervantes, benché non sia così evidente come in altri ingegni del suo tempo. Ma ciò che rende il Quijote un libro unico, il libro che soltanto un genio poteva scrivere allora, è la sua modernità. Il Quijote non è un’opera rinascimentale, è molto di più: è la prima opera moderna, non solo della letteratura spagnola ma della letteratura universale. Tutte le letterature, senza escludere la nostra, avevano già prodotto libri per far ridere il lettore e di intrattenimento, libri di parodie e libri burleschi, satire e libelli. In Spagna, a partire dall’Arcipreste de Hita, in Italia da Boccaccio, in Inghilterra da Chaucer, in Francia da Rabelais. Ma quello che non si era verificato fino allora, avvenne due secoli dopo, quando si scoprì che il Quijote, non era solo un libro di intrattenimento ma un libro che oltre a suscitare in noi divertimento e risate, ci faceva anche piangere. Era un fatto talmente nuovo questo, che allora non poteva essere né capito né apprezzato: e questo spiega perché il successo del Quijote fosse dovuto esclusivamente agli elementi comici in esso contenuti.
Oggi, a distanza di più di tre secoli, è proprio la comicità del Quijote che ci appare meno godibile, e ad attrarci maggiormente sono invece gli aspetti seri e profondi. La comicità cervantina corrisponde più alla sensibilità del suo tempo che a quella del nostro; la pietà e la simpatia per la pazzia di don Quijote è pienamente moderna. Ma il Quijote conteneva in sé tutto il romanzo moderno ed è stato necessario attendere secoli perché emergesse tale aspetto. Epigoni e discepoli tardivi di Cervantes sono tutti i romanzieri moderni, da Dickens a Thomas Hardy, da Stendhal a Proust, da Gogol a Gorkj. Tutti gli eroi dei romanzi che abbiamo conosciuto hanno qualcosa del Quijote: pensate ai romanzi di Dostoevskij. I suoi personaggi sono tragici, e non ci viene in mente di ridere di loro; ma tutti sono più pazzi di don Quijote. Come don Quijote li vediamo in lotta contro l’ambiente in cui vivono e con lui falliscono; come don Quijote deformano il mondo reale, come don Quijote oppongono coraggiosamente il loro mondo interiore, il loro mondo incantato, ognuno con la propria sensibilità e i propri ideali, al mondo sociale fatto di convenzioni, di leggi con cui la vita collettiva tende ad annullare la vita individuale, di oggettività, insomma. Come don Quijote essi sono in lotta aperta con la razionalità. Anche loro sono pazzi. Ma noi non avvertiamo la loro follia perché ne facciamo parte; in quanto uomini moderni, pensiamo quello che non poteva essere pensato ai tempi di Cervantes, che il mondo è una nostra rappresentazione, e che se questa non è una nostra vera creazione, quanto meno, è una deformazione del reale e che, in questo senso, la pazzia nell’uomo è la normalità. Non siamo uno specchio impassibile lungo un cammino, che riproduce fedelmente immagini passeggere, ma anime che, quando le riflettono, le trasfigurano e, in un certo senso, le creano. Che cosa era don Quijote se non questo specchio creativo, che deformava, in base al suo ideale, il mondo circostante?
Questo è quanto oggi abbiamo veramente capito e per questo possiamo affermare che Cervantes ha scritto la prima e la più grande delle opere moderne.
Non voglio dirvi altro di questo libro immortale, perché altri vi diranno cose più significative e con maggiore eloquenza.

Oggi, nella Festa del libro, mi limito a darvi un consiglio: il movimento si manifesta camminando e l’amore per il libro, leggendo. Cercate di leggere, preferibilmente le opere immortali e, come prima opera, leggete il Quijote, il libro di quel povero uomo che fu un giorno Miguel de Cervantes, grazie al quale noi ci sentiamo orgogliosi di essere spagnoli.

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