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Magda Szabó, la narrativa del passato vivente

di Anna Toscano

Magda Szabó vive lungo tutto il Novecento affacciandosi nel Duemila già ottantenne, nasce in Ungheria negli strascichi della Prima Guerra Mondiale, cresce nel Seconda Guerra Mondiale ed è costretta, successivamente, al silenzio dal regime comunista. In questo anno, 2017, ne cade il centenario della nascita.

Nella lunga vita e nella vasta produzione letteraria di Magda Szabó vi è un posto di rilievo dedicato alla realtà. Nella storia della rappresentazione della realtà in letteratura, le scelte definibili come “realistiche” comprendono molteplici forme. Szabó si racconta e racconta, la scrittura è una forma espressiva per tenere compatto il senso della propria vita, della propria realtà: l’indagine sottile e discretissima che fa del privato è la sua scelta per raccontare l’essenziale e al contempo il tutto. Il rapporto di Szabó con se stessa e l’immediata concretezza dei rapporti personali è la molla di ogni sua narrazione autobiografica e non.

Molti dei suoi romanzi prendono avvio con il personaggio principale nell’età dell’infanzia che si avvia verso l’adolescenza. L’altra Eszter, uscito in Ungheria nel 1959 e in Italia nel 2009 per Einaudi, narra di una giovane e affermata cantante lirica che in un unico e lunghissimo monologo interiore parla a un tu, rivedendo tutte le vicende del presente alla luce di un’infanzia e un’adolescenza, le proprie, particolarmente significative. In Abigail, uscito in Ungheria nel 1970 e in Italia nel 2007 per la Casa Editrice Anfora, la narrazione è focalizzata su Georgina Vitay nei suoi anni dell’infanzia e adolescenza. In Per Elisa lo dice la madre di Magda stessa: “[…] ma sapeva pure che i sentimenti di una ragazza adolescente erano sciocchezze da prendere sul serio: il centauro umano è un essere a metà tra la bambina piccola e la donna adulta”. Ma sono solo alcuni esempi.

Si possono così leggere i suoi romanzi come romanzi di formazione, in cui la gioventù racchiude in sé il senso della vita, vi è un’esplorazione dello spazio sociale e lo spazio dato a un’interiorità irrequieta è più ampio. In Abigail è palese l’evidenziazione continua del peso di una gioventù che deve finire, che sta finendo, subordinata all’idea di maturità. In Abigail le vicende che accadono a Georgina spesso la pongono oltre il confine dell’adolescenza che comunque le spetterebbe per ragioni anagrafiche, ma l’entrata della guerra nella sua sfera privata, e così lo stravolgere le sue priorità quotidiane, la pongono spesso al di là della sua giovane età e lei lo percepisce nettamente, tanto da accorgersi di guardare alle cose e alla compagne di istituto come già dall’altra parte della barricata.

La sfera della vita quotidiana in Magda Szabó è un mondo malleabile e dilatabile all’occorrenza: i particolari, i dettagli del quotidiano sono allungati, espansi, rimpinguati, anche quelli riferiti alle relazioni sociali, al fine di rendere la complessità individuale. Questo è un procedimento palese in Abigail, così come lo è l’ingresso della Storia nella narrazione.

La Storia, le due guerre mondiali, si affaccia in tutte le sue opere, mantenendosi entro i confini dell’esistenza individuale dei suoi personaggi, senza cioè assumere valore nazionale o collettivo. La Storia sta dentro la cultura della vita quotidiana, circoscritta e comune. In Abigail la guerra inizia a esistere quando tocca, attraverso le vicende segrete del padre, la protagonista, così come la lotta politica e civile iniziano ad avere un significato per lei ma solo limitatamente alla sua sfera privata. L’occhio sulla Storia Magda Szabó lo avrà guardandosi indietro, laddove la narrazione procede per flashback in una visione più globale degli eventi. La narrazione della storia nella Storia, in tutti i suoi romanzi, ricorda l’affermazione di Karen Blixen dove dice: “tutti i dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia o si racconta una storia su di essi”. Ciò avviene maggiormente in Abigail dove la storia personale e la Storia con la s maiuscola rischiano di schiacciare a ogni capitolo la piccola protagonista. Durante tutta la lettura il lettore si domanda “Ce la farà a sostenere tanto dolore?”, sarà solo alla fine, quando la stessa protagonista si volterà indietro a guardare la sua storia, che anche il lettore sa che ce la farà.

Quanto scrivere, per Magda Szabó, sia trasporre in parole, una sorta di congedo dalla realtà attraverso le parole, lo si intende con Per Elisa, suo ultimo libro scritto nel 2002 e uscito in Italia nel 2010. Per Elisaè un’autobiografia romanzata, che nelle intenzioni dell’autrice avrebbe dovuto far parte di un dittico autobiografico, rimasto però incompiuto: Per Elisa apre uno squarcio importantissimo sulla scrittura.

L’autobiografia di Szabó assolve oltre alle tre unità costitutive intrinseche – l’interesse individuale (auto), l’interesse come documentario della vita (bio) e la valorizzazione della componente della scrittura (grafia) – assolve anche una funzione diegetica sulla scrittura di tutti i suoi romanzi.

L’operazione fatta dall’autrice con questo ultimo volume parrebbe non solo il tentativo di ricostruirsi nel testo, affidando all’atto della narrazione il senso della propria esistenza, raccogliendo un’identità che Cavarero definisce “frantumata e insostanziale, multipla ed eccentrica”, ma fornisce anche al lettore l’officina dei suoi romanzi, ovvero la vita propria da cui ha tratto personaggi e temi della sua narrazione.

Per Elisa diviene la chiave di lettura di molti dei suoi romanzi, se non tutti, in quanto questi comprendono il punto di vista dell’infanzia. In Per Elisa si possono ritrovare, non senza sorpresa per la maestria letteraria nella narrazione, molti personaggi e situazioni che compaiono nelle sue opere, è l’autrice stessa che ci porta per mano e ci rivela le persone reali che per lei sono state fonte di ispirazione letteraria: non solo l’istituto scolastico che si trova in Abigail, ma troviamo che la poco amata rivale sui banchi di scuola sarà la detestata compagna di scuola e poi rivale in amore in L’altra Eszter, la villa di Ludwigh diverrà quella dei Vitay in Abigail, zia Piroska è la zia Mimò in Abigail e zia Irma in Estzer. I riferimenti e i rimandi sono moltissimi con tutti i suoi romanzi: l’officina della sua narrativa è stata la vita quotidiana sin dai primi anni di vita.

L’infanzia qui è proprio quel bisogno legato alla parola e alla madre, ovvero della madre figura donatrice della parola. La parola, e ancor più la questione della lingua, viene svelata in Per Elisa di grande importanza: Magda cresce con l’ungherese e il latino e padroneggia la lingua dei classici e la sua in ugual misura, per poi approdare allo studio di altre lingue. La lingua, come rivelerà l’esperienza della sorella adottiva, è il proprio mondo segreto ma è anche un ponte verso mondi altri: esporsi agli altri, parlare, è uno strappo: “Esporsi è uno strappo inevitabile, in quanto mostra che ciascuno di noi sia costitutivamente una sostanza non autosufficiente”, George Bataille.

E questa autobiografia è intrisa di amore verso la madre e verso la lingua, una incessante espressione di bisogno che si autoalimenta. In questo testo Magda Szabó riattiva “il punto di vista dell’infanzia senza regredire”, come scrive Luisa Muraro sulla scrittura autobiografica.

La lingua, al contempo colloquiale e ricercata nei suoi testi, si fa più quotidiana in Per Elisa, perché è una lingua che contiene oramai una identità tutta: contiene un io passato e un io presente in una costante relazione di continuità. In tutti i suoi romanzi, come pure nell’autobiografia, vi è una pluralità di voci molto marcate e distinguibili, nei toni e nel lessico di ogni voce e di ogni personaggio a cui appartiene, ma tutto ciò viene reso dalla scrittrice in quasi totale assenza di discorsi diretti, ma quasi esclusivamente tramite discorsi indiretti. L’arte di creare un personaggio e la sua parola senza la sua voce diretta nasce probabilmente dalla sua attenzione al punto di vista dilatato nel quotidiano, intento a cogliere e riportare sfumature e dettagli.

Per Szabo vi è sempre un’esigenza costante del passato, resa più potente dalla reazione alla guerra che ha distrutto il suo e il passato di molti. Quando l’io presente guarda all’io passato, nell’autobiografia come nei romanzi, vede solo macerie, macerie di genti e luoghi, speranze e affetti. Per la narratrice il passato è da ricreare dalle ceneri e non solo dai ricordi, il passato è una scelta etica come sostiene Simone Weil: “l’esigenza del passato, la più vitale, fra tutte le esigenze dell’anima umana”. In questa direzione si possono intravedere le “gocce del passato vivente” di cui parla la Weil.

L’identità è la parola che a tutte le altre sottende: la storia e il passato di Szabó, le guerre e il destino dell’Ungheria, la lingua e le lingue della sua vastissima educazione, il suo ragionare già da piccolissima sul suo futuro (attrice scrittrice o docente?), la riflessione sul suo essere adulta che fa guardandosi indietro nella introduzione ad Abigail, tutto questo e molto altro conduce a una riflessione sull’identità nelle scrittrici europee donne del Novecento. L’identità è ciò di cui scrive sempre Szabó, in quanto la riflessione sul suo essere donna nel Novecento e nella Storia sono pensieri per lei pungenti. Àgnes Heller, sua connazionale, ha sintetizzato perfettamente così la questione: “Sono donna, ungherese, ebrea, americana, filosofa: sono oberata da troppe identità”.

Il passato e l’autobiografia come officina sono una caratteristica di molte scrittrici del Novecento: se pensiamo a Lettera aperta di Goliarda Sapienza del 1967, come Il filo di mezzogiorno nel 1968 e la loro importanza per ritrovare in loro i fili della costruzione narrativa di L’arte della gioia, scritto tra il ’69 e il ’78 ma uscito postumo nel ’98; o a Giù in piazza non c’è nessuno l’autobiografia letteraria uscita nell’80 di Dolores Prato; la scrittura intrisa di quotidiano di Natalia Ginzburg con Tutti i nostri ieri del ’53 e Lessico famigliare del ’63; La penombra che abbiamo attraversato di Lalla Romano del ’64. L’autobiografia, il quotidiano e il passato, l’infanzia, la guerra e la difficoltà civile, sono tutti temi che attraversano queste scrittrici italiane del 900, pensiamo anche solo a Menzogna e sortilegio della Morante del ’48. Uscendo dall’Italia incontriamo, tra le molte altre, le Memorie di una ragazza per bene della Beauvoir del ’58, Immagini del passato di Virginia Woolf del 39-40, le Trame dell’infanzia di Christa Wolf del ’76.

Il mondo di Magda Szabó è il mondo della sua invenzione letteraria, invenzione a cui si è affidata totalmente mettendole a disposizione la sua vita e la sua vocazione artistica. Szabó ha affidato la vita alla letteratura e la letteratura alla vita.

 

Breve bibliografia

Ditelo a Sofia (Salani 2013, ed. or. 1958)

La porta (Einaudi 2014, ed. or. 1987)

Ballo in maschera (Salani 2015, ed. or. 1961)

La ballata di Iza (Einaudi 2015, ed. or. 1963)

Il vecchio pozzo (Einaudi 2016, ed. or. 1970)

L’altra Eszter (Einaudi 2017, ed. or. 1959)

Via Katalin (Einaudi 2017, ed. or. 1969)

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