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Osservazioni sulla condizione femminile

di Bianca Moretti e Margherita Macrì

Bianca Moretti e Margherita Macrì si sono imbattute in un’intervista a Marguerite Yourcenar che «guardava al femminismo in una maniera che potrebbe risultare un poco provocatoria, eppure intelligentissima». L’intervista è su YouTube, non è stata trascritta in nessuna lingua, neppure in francese, tantomeno tradotta. Bianca ha deciso di tradurla per sé, Margherita ha fatto la revisione e le ha dato una forma più fruibile. Non tutto è sempre chiarissimo perché nel video le domande che vengono poste alla scrittrice sono state tagliate. E spesso ci sono dei salti di argomento o ampie digressioni tipiche del parlato. Le autrici hanno conservato «le parti più interessanti riguardo la Yourcenar e il suo pensiero». 

Bisogna iniziare da cosa è una donna, andare all’essenziale e… la prima cosa che verrebbe fuori è che una donna è un essere umano e che, in tutto ciò che non riguarda la sfera sessuale – aspetto che è ovviamente considerevole –, una donna si comporta esattamente come un uomo: digerisce, il suo cervello funziona, cammina, usa le mani per entrare in contatto con gli oggetti e per lavorare, usa i piedi per camminare, quindi, l’insieme dell’organizzazione è innanzitutto un’organizzazione umana.

Credo che questo non bisogna mai dimenticarlo.

In genere, troppo spesso si pensa alle donne in due modi, o meglio, si pensa alle donne dal punto di vista dell’uomo, che dice “Oh, sono delle donne!”, e quindi in qualche modo le si inserisce in un gruppo a parte; oppure si pensa al modo in cui le donne reagiscono agli uomini e quindi le si pensa in quanto donne in opposizione all’uomo.

Quando si lasciano perdere questi due punti di vista, ci si accorge che una signora che compra il giornale, telefona all’idraulico per una riparazione, oppure firma un assegno per pagare le spese mensili, si comporta esattamente come farebbe un uomo nelle stesse circostanze e, alla stessa maniera di un uomo, è prigioniera delle circostanze sociali; mi stupirebbe perciò che questo la faccia sentire particolarmente donna. Mi succede spesso, quando vengo intervistata dalle donne, di chiedere loro quante volte al giorno si sentano particolarmente donne. È molto meno frequente di quello che si possa credere.

Sì, sicuramente ci sentiamo particolarmente donne quando compriamo un abito o delle scarpe e le scegliamo dal reparto donna […] ma mi pare che sono azioni che facciamo in automatico, senza rifletterci o sentirci particolarmente donne.

[…]

Ecco, credo che questa sia una cosa molto importante: “l’essere umano”, in entrambi i generi.

Poi ci sono alcune donne che, almeno in alcuni periodi della loro vita, sono molto più donne di altre, sono donne al 100%, e altre che lo sono molto meno, e hanno peculiarità maschili, e alcune ancora che appartengono a “un tipo mascolino” (grande dibattito su cosa sia un tipo mascolino).

E ci dimentichiamo spesso per esempio che parliamo di quella che era la condizione femminile in passato: si dice che le donne fossero svantaggiate dalle leggi, ed era così in effetti (…) non poter redigere da sole il proprio testamento, non poter gestire il proprio denaro, etc.

Mi pare però che di solito tutto questo è vero sulla carta. Prendiamo per esempio le donne della piccola borghesia che dirigono un negozio: spesso il loro marito ha l’aria del ragazzo delle consegne, ed è la signora seduta alla cassa che prende tutte le decisioni.

[…]

Ci dimentichiamo sempre che, se è vero che le donne del XVII e del XVI secolo non erano ministri né presidenti, avevano comunque un ruolo fondamentale nella politica, e che facevano e disfacevano i ministri e i membri dell’Accademia. Io stessa, quando sono entrata all’Académie Française, in quanto prima donna ad accedere all’Académie (doveva pur essercene una prima), ho avuto il compito di consolare questi signori sostenendo che non erano loro a essere particolarmente retrogradi, ma che semplicemente si adeguavano ai costumi del tempo, e che una volta le donne venivano poste sul piedistallo molto più di oggi, e che le si metteva talmente in alto che l’idea di offrire loro una poltrona non veniva neppure minimamente considerata. E io credo che sia vero da un certo punto di vista. Ciò non toglie che questa gente disprezzava le donne molto più di quanto accade oggi.

E ciò che spaventa del femminismo dei nostri giorni (con il quale io mi trovo assolutamente d’accordo finché si tratta di uguaglianza dei salari, di meriti uguali, della libertà della donna nelle sue peculiarità femminili, come ad esempio la limitazione delle nascite, in tutte le sue forme, etc naturalmente), un elemento piuttosto fastidioso, è la rivendicazione contro l’uomo; è questo che non mi sembra naturale, che non mi sembra necessario, e che contribuisce a creare dei ghetti.

Di ghetti ce ne sono già abbastanza, ne abbiamo troppi. E allora quando vedo le donne aprire delle case editrici per sole donne, o dei locali per sole donne, etc… pur non essendo contraria, mi dico che sono dei nuovi ghetti, e che mi sarei molto arrabbiata 30 anni fa se mi avessero detto “lei ha il diritto di entrare solo in un ristorante per donne”, come quando le ferrovie avevano scompartimenti esclusivamente femminili; e pensare che stiano ricostruendo questo mi pare un vero peccato. E soprattutto che non si stia facendo niente invece per facilitare una maggiore comprensione, collaborazione e simpatia fra uomini e donne.

Io penso che i rapporti umani, rispetto a quelli tra le altre specie, sono salvati dall’empatia, dalla comprensione, e mi piacerebbe pensare alla costruzione di una specie di fraternità umana invece che alla continua opposizione tra un gruppo e l’altro. Ed è ciò che mi impedisce di aderire, o meglio di firmare i manifesti della maggior parte delle associazioni femministe.

Non mi piacciono le etichette, e “Donna” in un certo senso è un’etichetta. Non mi piacciono le etichette, e non mi piace niente che separa e riduce gli esseri umani solo a delle attitudini. Vorrei che una donna avesse la libertà di essere tanto donna quanto poco donna a suo piacimento. Solo che qua c’è un’altra difficoltà che si manifesta nella nostra epoca, ossia che un po’ come per tutte le minoranze, anche un po’ come per le vecchie istituzioni quando si rigenerano, come la Chiesa cattolica e l’ecumenismo, si lotta in favore di libertà che sarebbero state molto utili 50 anni prima; forse si lotta di più per quelle che per libertà che sarebbero più utili oggi.  Comprendiamo bene che, una cinquantina di anni fa o 200 anni fa, quando le donne DOVEVANO essere chiuse in casa a non fare altro che lavori di cucina (se non c’erano i mezzi per avere una cuoca, o sorvegliare la cuoca se ce n’era una), sognavano di fare ben altre cose.

[…]

Ma ai nostri giorni la situazione non è così tanto drammatica, le donne fanno molto più di quello che vogliono, anche nell’ordine della vita casalinga, possono decidere di dedicarcisi o no, e quanto accade purtroppo è che molte donne si fanno un ideale della vita maschile – idea buffa, perché non penso che la vita degli uomini sia poi così ideale – e sognano di essere l’equivalente di un uomo che si sveglia alle 7.30 del mattino, con l’asciugamano al braccio, ingolla rapidamente il caffè e si precipita in ufficio. Questa, come idea di liberazione, devo dire che mi raggela.

E l’idea della carriera, e del successo, del successo economico, del potere, essere… un amministratore insomma, che gestisce le persone in maniera quasi militare, al proprio servizio, ai propri ordini, diventa per la donna – questo emerge bene da alcuni articoli su riviste femministe – l’ideale del successo umano.

A mio avviso è una sconfitta spaventosa, per entrambi i sessi. Se un uomo ha solo questo da offrire, la cosa è molto triste, e se una donna lo imita, e sogna una carriera del genere, si accorgerà a un certo punto che lo scopo della sua vita era vuoto e che si è persa un bel po’ di cose.

E quindi si dovrebbe pensare a un nuovo ideale UMANO, un ideale che offra agli esseri forse non maggiori divertimenti ma più libertà d’azione e di scelta; essere meno prigionieri del lavoro, che è diventato sacrosanto, una forma ipocrita di schiavitù – le persone non fanno che questo, ne sono ossessionate, e quando vanno in pensione non sanno più che fare e muoiono o si mettono a giocare a dei giochetti inutili –, e al posto di questo sarebbe bello stabilire una specie di uguaglianza umana nella quale le persone si dividono i compiti, i lavori, i piaceri, in maniera semplice… da amici.

E fino a ora il femminismo, il femminismo 100%, non ha affatto posto l’accento su questo.

[…]

Ma questa specie di comprensione fraterna che speriamo tra uomini e donne è, anche ai giorni nostri, molto rara. Purtroppo, in queste situazioni,  mi pare che abbiamo creato dei blocchi che ora è particolarmente difficile sbloccare, e che, per esempio, la donna, facendosi in qualche modo l’idea (artificiosa) che l’uomo sia il padrone, il capo, colui che guadagna i soldi, che è realizzato (cosa spesso lontana dall’essere vera), e dandosi questa come immagine ideale, si è terribilmente allontanata dall’ordine delle cose, e ha, per esempio, perso il sentimento (invece, al contrario, pare che alcuni uomini lo stiano guadagnando, perché nulla è mai del tutto perduto) dello charme e dell’importanza della vita domestica. Eppure, in fin dei conti, cucinare, mettere in ordine ciò che si ha intorno, organizzarsi affinché il piccolissimo regno che abbiamo diventi un po’ più gradevole da vivere, più ordinato… ecco, fare dei lavori per abbellire questo piccolo angoletto in cui ci troviamo, è davvero una cosa notevole.

Quanto a occuparsi della cucina, come dicono spesso gli psicologi, si tratta di una forma d’amore. Nutrire gli altri è la maniera di provare loro che li amiamo: noi dimentichiamo la parte sacra di questa cosa. Ai giorni nostri questo aspetto sussiste forse più spesso negli uomini, che a un certo punto iniziano a lavare i piatti, a cucinare, mentre la donna se ne va in ufficio.

E sono loro che ereditano questo grande sentimento umano, mentre a me piacerebbe che restasse non dico privilegio delle donne, ma almeno che non si sentissero sminuite nel ricoprire il proprio ruolo femminile, per il quale sono perfettamente adatte.

Idem per l’argomento figli: adesso gli psicologi ci vengono a dire, forse un po’ in ritardo visto che hanno detto il contrario per 30 anni, che un figlio può tranquillamente vivere molto bene senza un padre, come senza una madre, e che non è una questione di sesso, ma è una questione di cura, di tenerezza, etc., e non è il caso che questo sentimento di cura e di tenerezza si sacrifichi per la carriera.

[…]

Io non sono affatto competitiva, non ho mai avuto il gusto del successo, mi è, diciamo, capitato; non ho mai avuto il piacere di guadagnare soldi, quando non ne avevo semplicemente non ne avevo, e quando ne avevo, be’, molto meglio, insomma… bello spenderli. Ma è il solo pensiero che avevo sull’argomento. C’è stata un’epoca in cui mi sono trovata qui durante la guerra, assolutamente senza soldi, e avevo un lavoro. Per la prima volta in vita mia avevo un lavoro fisso: andavo 3 volte a settimana in un liceo a insegnare, per quanto male, la Letteratura Francese. E in questo periodo ho imparato molto sulla psicologia degli uditori, degli allievi, sull’ignoranza in cui vive generalmente l’uomo o la donna “intellettuale”, che si sente su un livello che gli sembra solido, ma che solido non è affatto, perché la maggior parte della gente sta più in alto o più in basso di lui. E insegnando ho capito la straordinarietà dei livelli esistenti e che non conoscevo prima.

Questa esperienza è durata circa sette, otto anni; in questo periodo è venuta a trovarmi un’amica da Parigi che mi ha detto: “E allora che fa? Non lavora più?” (intendeva il lavoro letterario), “Lei ha scritto 2 o 3 libri che sono buoni, perché non continua?”. Allora ho fatto un cerchio sul tovagliolo di carta del ristorante in cui eravamo e le ho detto: “Ecco. Il lavoro letterario è una fetta di torta piccola così nel panorama dei miei pensieri”. Ed è quello che davvero pensavo, quando non c’erano più editori disposti a farmi lavorare perché non c’era più denaro. E vedete, in quel momento davvero me ne importava poco. E adesso, al contrario, questo successo sfugge, scivola dalle dita e torno nuovamente ad affrontare la questione delle mie priorità, è la mia vita ciò che conta di più, se poi posso esprimere questo attraverso le mie opere, è meglio. Però se non sapessi esprimerlo scrivendo ma piantando una pianta nel mio giardino non sarebbe comunque male. E allora se si hanno questo genere di sentimenti è difficile essere una femminista militante, o una qualsiasi altra militante.

[…]

È importante che tutti abbiano sempre una finestra aperta sul mondo. Ma trovarla dipende in larga parte da noi, e trovarla anche in ambiti che non siano necessariamente remunerativi. Fate in modo di conoscere più esseri possibile e di amare più esseri possibile… e qui si torna di nuovo sulla questione della libertà sessuale etc.

Ovviamente il fatto che una donna non poteva muoversi se non sottobraccio al proprio marito non facilitava molto i rapporti umani. Ma dal momento che gli esseri lasciano gli uni agli altri diverse libertà, e si compiacciono di vedere l’arricchimento che entrambi guadagnano da questa libertà, questo sentimento di schiacciante incatenamento, di prigionia, diminuisce. Ed è molto difficile sapere in questo momento, nella condizione femminile, ciò che attiene veramente agli ormoni femminili, e ciò che attiene invece agli usi, alla vita sociale, alla vita coniugale, alla tutti gli aspetti della vita. Forse servirebbero diverse generazioni per rendersene conto.

[…]

Onestamente se credo che le donne abbiano qualcosa di speciale da portare alla nostra civiltà o a quella che sta nascendo e che ancora non sappiamo bene come sarà? Be’, qui ancora la questione è molto complessa perché noi stessi non sappiamo bene cosa sia una donna.

[…]

Fermo restando che la donna era considerata inferiore all’uomo, che era in una condizione svantaggiata, rappresentava comunque la creatura che metteva al mondo i bambini. Era la creatura che lavava, cresceva, nutriva e vestiva i bambini, dando loro la prima lezione d’umanità, in un certo senso. Era la persona che spesso si prendeva cura dei malati, che preparava i morti, etc… ed era molto più vicina alla realtà di base di quanto lo fossero molti uomini. La donna potrebbe portare questo senso profondo di realtà, fisica, carnale e fisiologica che manca tantissimo nella nostra società. Ed ecco come dovrebbe entrare in gioco la figura femminile: mostrando l’importanza e la sacralità di tutto ciò. E se la donna facesse questo, immediatamente giocherebbe un grande ruolo dal punto di vista del pacifismo, della libertà, del diritto civico, etc., perché comprenderemmo maggiormente i meccanismi della vita e della morte, a cui la donna è per forza di cose, poverina, estremamente vicina da secoli.

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