Rebecca libri

«Vecchi e tenaci partigiani»

di Roberto Mussapi

Mi serve un libro urgentemente, che si sta esaurendo, telefono a un’amica che svolge la professione di commessa in una importante libreria di catena, a Milano. La conosco perché ha cultura e talento letterari non comuni, segue le letture, anche mie, ha una visione profonda e una passione fertile per la poesia. Scrive anche versi di rilievo. Risponde subito al mio sms: è attualmente disponibile una copia del libro, che mi mette subito da parte e lascia alla cassa, nel caso alla mia venuta lei non fosse di turno. Ringrazio e non le chiedo quale sarà domani il suo turno, perché so, per esperienza, che non potrei salutarla e conversare con lei. È una regola delle librerie di catena, e ha una sua logica. Una commessa o un commesso non potrebbero fermarsi, interrompendo il lavoro, per parlare un quarto d’ora con uno sconosciuto, amico, o conoscente.

Mentre cammino verso la libreria l’amico che è con me mi domanda: «D’accordo, ma ti sembra normale?». Certo che è normale, rispondo, queste librerie sono organizzate secondo determinati criteri, che escludono conversazioni personali… L’amico mi fa notare che certo è così e la regola ha senso, comprende che io non intenderei mettere in imbarazzo una persona che sta lavorando. Ma certo è buffo, visto dall’esterno, pensare che tu, Roberto Mussapi, poeta, autore anche dell’editore la cui libreria stai per raggiungere, e dove in varie occasioni hai presentato – bene accolto e trattato con ogni riguardo, aggiungo io – tuoi libri, non possa fermarti a parlare con una persona che in quella libreria lavora. E che è appassionata di poesia.

La realtà di queste librerie ha fondamenti e ragioni, ma anche conseguenze negative. Fino a quindici, vent’anni fa, in quelle stesse librerie che portavano il nome di grossi editori, Mondadori, Garzanti, Feltrinelli, io entravo quando avevo tempo a disposizione, perché conversare con il libraio era naturale e, direi, spontaneamente obbligatorio. Nelle librerie più grandi c’era sempre un commesso particolarmente appassionato che aveva piacere di parlare con l’autore, il quale si sentiva un po’ a casa sua, con altri autori, con i librai, e passando in un’altra libreria si trovava in una seconda casa, e poi ancora… Una libreria a San Babila, ricordo, quando uscì La grande sera di Pontiggia, esibì in vetrina una foto dell’autore con dedica al titolare. Un giorno Domenico Porzio, con cui stavo andando a prendere un caffè, entrò nella libreria e scherzando protestò con il titolare, suo amico, sostenendo che quella foto non fosse molto riuscita, che Peppo era molto più simpatico e ridente, che la sostituisse… Sostituirla? L’ha data a me!

Nelle poche librerie libere superstiti, tra cui la Centofiori, a cento metri da casa mia, è normale entrare e chiacchierare. Dei miei libri, di quello che sto per pubblicare e dei libri altrui. Spesso il libraio mi consiglia, quando sconfino dal mio campo. Incontro ogni tanto una signora, ora in pensione, che ogni volta si ricorda ancora delle nostre presentazioni ma anche delle conversazioni, nella libreria di allora, in via della Spiga, e poi in un’altra in Buenos Aires. Alla libreria Magenta passavo quando mi trovavo nei paraggi (da Buscemi, musica), solo per salutare e prendere un caffè o un aperitivo al bar accanto. Il cui titolare mi conosceva e orgogliosamente nominava tutti i poeti e gli scrittori di Milano da lui conosciuti: Loi, Cucchi, Pontiggia, si vantò del fatto che persino Lalla Romano gli era stata presentata…

Oggi le librerie libere resistono come vecchi e tenaci partigiani, e la nuova realtà commerciale del libro, utile a sostenere l’editoria, e comunque quasi sempre disponibile a incontri ufficiali con autori, ha creato però una libreria supermercato dove l’incontro naturale è di fatto irrealizzabile. Questa è una perdita. Che accetterei volentieri se le librerie di catena continuassero, come alcune fanno, a vendere libri di qualità e a sostenere il libro e l’editoria. Non giochi, giocattoli, tacchi dadi e datteri e il libro come ciliegina sulla torta. Insomma conta il fine non i mezzi, se questo serve al libro va bene così. Ma dopo aver perso gli artigiani, i negozi di dischi dove ascoltavi per delle mezzore, sarebbe un colpo di grazia perdere il più unico e particolare dei venditori, l’onesto venditore di spirito, il libraio.

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