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Cartoline dalla fossa (Emir Suljagić, Beit 2010)

Emir Suljagić è uno dei (pochi) bosniaco musulmani sopravvissuti all’assedio e caduta di Srebrenica. Rifugiatosi nella cittadina della Bosnia orientale all’inizio della guerra, era diventato interprete dei caschi blu grazie al fatto di parlare inglese.

Su Srebrenica e sull’assedio, ha scritto pagine di grandissima umanità, tant’è che Cartolina della fossa non è attraversato da una scrittura furibonda. Emir non odia, non cerca vendetta, non insulta, non urla; il suo è il resoconto su come sopravvivere. “Ho notato che la fame aveva completamente alterato la mia personalità. Dal ragazzo, che prima della guerra era timido e riservato, ero diventato aggressivo e senza scrupoli. Questo mi ha spaventato, ma ho capito subito che si trattava di una mera questione di sopravvivenza”.

L’autore parla sì della ferocia dell’assedio, dei crimini commessi dall’esercito serbo bosniaco, del genocidio. Ma non tace i crimini commessi dai “suoi”, descrive lo sfruttamento, le malversazioni e la corruzione che regnavano in una città sottoposta all’arbitrio dei suoi capi militari e, soprattutto, racconta le angherie commesse dalle forze di pace, i caschi blu.

Alla fine della lettura si rende necessaria una pausa di riflessione su ciò che è accaduto a quelle migliaia di innocenti. Si guardano, con orrore, le immagini che chiudono il volume e che descrivono la realtà del massacro: sono un pugno nello stomaco. Non solo per il lettore, ma per tutti coloro che in quei tre anni hanno guardato Srebrenica e hanno voltato lo sguardo altrove.