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Arte e religione: una storia finita?

di Michela Dall’Aglio

“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sottoterra” (Es 20, 2-4). Dio si rivolge con queste parole al gruppo di discendenti di Abramo, fuggiaschi riluttanti guidati da Mosè – anche lui inizialmente ben poco entusiasta dell’incarico –, che ha convocato ai piedi del monte Oreb/Sinai affinché ascoltino la sua proposta di alleanza. A queste parole si fa risalire anche la proibizione di rappresentare Dio con immagini di qualunque genere. Rispettata rigorosamente ancora oggi sia dall’Ebraismo che dall’Islam, essa non ha impedito, invece, al Cristianesimo di colmare le chiese di dipinti e, più tardi, di sculture, raffiguranti personaggi biblici, scene evangeliche e Dio stesso, cosicché si può dire che l’arte occidentale è stata per molti secoli soprattutto arte sacra.

Come si è arrivati da questa divina proibizione alla Cappella Sistina? Attraverso quali battaglie teologiche (e non solo) si è giunti all’adorazione delle icone e alle chiese bizantine completamente affrescate? Se la rappresentazione di Dio inizia proprio con il cristianesimo, dobbiamo riconoscere che la nostra religione ha completamente tradito il comando divino? A questa e a molte altre domande risponde in un libro straordinario, Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, pubblicato recentemente da Einaudi, Francois Boespflug, domenicano e storico dell’arte, che ha dedicato più di trent’anni allo studio di questo tema sconfinato. Percorrendo la storia delle raffigurazioni cristiane di Dio, dalle origini ai giorni nostri, appoggiandosi a un enorme corredo di immagini e utilizzando un linguaggio chiaro e disteso, Boespflug accompagna il lettore in un viaggio storico-teologico di grande interesse. E poiché il libro ha, come afferma l’autore, l’ambizione di essere usato anche come manuale, è corredato da un eccezionale apparato bibliografico.

Percorrendo la storia delle raffigurazioni di Dio, lo studioso domenicano dipana anche la complessa evoluzione della riflessione teologica che di secolo in secolo influenzerà l’arte. Scopriamo così le ragioni della “differenza cristiana” rispetto a Ebraismo e Islam per quanto riguarda la rappresentazione del divino. La prima, fondamentale, è teologica, ed è la fede nell’incarnazione di Dio: poiché Dio in Gesù si è fatto carne, ha introdotto la corporalità dell’uomo nella realtà divina, noi possiamo immaginarlo anche fisicamente, rappresentarlo senza timore di umiliarlo, poiché nel suo assumere la nostra carne l’ha elevata e, per così dire, divinizzata. Ma qual è il volto di Dio? “Dio non ha volto perché li ha tutti. E li ha tutti perché non ne ha nessuno in esclusiva” sostiene Raimon Pannikar (Raimon Pannikar e Pinchas Lapide, Parliamo dello stesso Dio?, Jaca Book 2014). Tuttavia Gesù ha detto a coloro che gli chiedevano di mostrare loro il Padre: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,8). In Gesù, Dio ha non solo un volto ma ha anche una storia umana, vicende che possono essere narrate, famiglia, amici. “Finché Dio è invisibile non si devono fare immagini di Dio, ma a partire dal momento in cui Dio si è reso visibile nella persona di Gesù, si è autorizzati a produrre delle immagini di Dio in Gesù”, è questo il principio enunciato da Giovanni Damasceno e citato da F. Boespflug in un altro suo libro, Il pensiero delle immagini (Qiqajon 2013), in cui, conversando con la filosofa Bérénice Levet, si interroga sulla possibilità di ritrarre Dio e sul senso di tale operazione.

Caduto il divieto della rappresentazione del sacro in forma umana, le immagini dilagano nel mondo cristiano con un intento pratico-missionario: catechizzare una popolazione quasi totalmente analfabeta. Grazie alla semplicità e all’efficacia delle immagini – un linguaggio universale i cui simboli erano ben più noti della scrittura –, verità anche teologicamente difficili, quali l’incarnazione di Dio o la Trinità Divina, diventavano comunicabili. Esprimeva chiaramente il legame tra arte e missione Gregorio Magno (540-604) quando affermava che “tutta l’arte è missionaria perché l’arte insegna e contribuisce all’iniziazione cristiana”, come un libro scritto per essere capito da tutti.

Dopo aver passato in rassegna duemila anni d’iconografia cristiana, Boespflug osserva che dall’universo dell’arte contemporanea la figura di Dio scompare, mentre resta e trionfa quasi la rappresentazione della croce. In realtà, Dio non è solo svanito dall’arte contemporanea: si è anche dileguato dalla cultura contemporanea. O meglio, se n’è allontanato fino a un orizzonte distante e solo chi lo cerca riesce ancora a scorgerlo. Dio non è più un soggetto d’arte, ma lo è ancora Gesù, soprattutto il Gesù crocefisso, perché la cultura odierna mettendo al centro dei suoi interessi l’uomo e tutto ciò che lo riguarda continua a dover fare i conti con la questione della sofferenza umana, e quasi tutti, anche i non cristiani, riconoscono nel Crocifisso un simbolo universale del dolore, della sofferenza ingiusta.

Parole e immagini per comunicare la fede cristiana – le prime scelte con cura, le altre sincere espressioni di una fede motivata e colta, profondamente radicata –: è ciò che si è proposta di offrire Cristina Uguccioni, curando per le edizioni Electa Mondadori un libro dal titolo intrigante, La forma di Dio. Mentre Francois Boesplflug indaga come Dio è stato visto, sentito e reso nell’arte, Cristina Uguccioni esplora invece nel libro da lei curato come Dio si rivela in alcuni brani della Bibbia, uno tratto dalla Genesi, gli altri dai Vangeli. Quattordici bellissime tavole che vanno dalla Creazione di Adamo di Michelangelo nella Cappella Sistina alle due versioni caravaggesche dell’Ultima Cena, passando per Giotto, Piero della Francesca, Mantegna, Raffaello, e Leonardo accompagnano i testi e la loro esegesi.

La struttura e l’intento del libro della Uguccioni sono indicati nell’Introduzione: dodici capitoli (è forse intenzionale questo numero, così importante e simbolico nella religione ebraico-cristiana?), ciascuno diviso in due parti: “nella prima viene proposto il commento di un passo della Bibbia, mentre nella seconda il commento storico-artistico di un grande capolavoro dell’arte raffigurante quel passo.” L’esegesi o il commento dei brani sono affidati a filosofi e teologi cristiani tra i quali Ermenegildo Manicardi, Albert Vanhoye, il Cardinale Paul Poupard, per citarne alcuni, mentre la lettura critica delle opere è fatta da critici e storici dell’arte tra cui Timothy Verdon, Antonio Paolucci e Marco Ivan Rupnik (artista fra le cui molte opere, in Vaticano e nel mondo, figura la decorazione della cappella e della camera mortuaria nell’Hospice Madonna dell’Uliveto a Montericco di Albinea, a Reggio Emilia).

Nel capitolo dedicato alla Vocazione di san Matteo di Caravaggio, Timothy Vernon cita l’auspicio formulato dal Cardinale Gabriele Paleotti, vescovo di Bologna, nel suo Discorso sopra le immagini sacre e profane del 1582: che le immagini sacre possano anche “compungere le viscere” del fedele, cioè commuoverlo e coinvolgerlo. Le opere presentate nel volume hanno certamente commosso i loro contemporanei, talvolta li hanno turbati per la loro audacia, l’innovatività, la capacità di interpretare la fede aldilà del già noto, rispondendo alla sensibilità degli uomini e delle donne del tempo – spesso, come Caravaggio, anticipandola. La nostra sensibilità oggi è diversa, e lo è anche la nostra visione del divino o del sacro (non possiamo più immaginare lo Spirito Santo in forma di colomba, per fare un esempio). Il bimillenario rapporto tra arte e discorso cristiano non si è interrotto ma, come le parole della catechesi appaiono spesso svuotate, quasi fossero leggermente ammuffite, o troppo connotate per potersi rivolgere a tutti, anche ad orecchie non sintonizzate o addirittura ostili, lo stesso problema si ripropone con le immagini. Come dice Boespflug: “Bisognerebbe … ritrovare l’intuizione di papa Gregorio Magno, ma rivisitandola, … immaginando nuove modalità di iniziazione alla Bibbia attraverso opere d’arte ben scelte, senza ridurre la tradizione iconografica a semplice surrogato” (Il pensiero delle immagini, pp. 192-193).

Il legame tra arte e religione oggi si è decisamente allentato, è diventato meno esplicito, meno descrittivo, inevitabilmente rispecchiando il rapporto problematico tra gli uomini d’oggi e la fede, ed è più complesso e conflittuale di un tempo. In qualche modo, però, tali due ambiti dello spirito umano condividono lo stesso obiettivo: mostrare non la realtà, ma quanto vi sta dietro, che è, malgrado ciò che ne dice Platone, più vero del visibile.

 

Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, di François Boespflug, Einaudi, pp. 592, euro 95,00.

La forma di Dio, di Cristina Uguccioni, Mondadori Electa, pp. 165, euro 24,90.

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