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Con i piedi per terra (Dietrich Bonhoeffer, Paoline, 2020)

di Danilo Campanella

Il 5 aprile del 1943 un agente segreto dalla polizia nazista, la temibile Gestapo, ebbe l’ordine di catturare un «pericoloso sovversivo», Dietrich Bonhoeffer. Lo trovò e lo arrestò, conducendolo nel carcere di Tegel, nei sobborghi di Berlino, in attesa del processo. Era un detenuto molto particolare: un pastore evangelico, uno di quelli che non si pensa possano tramare contro lo Stato, sospettati di partecipare nientemeno che all’omicidio di Adolf Hitler.

Come è «mai possibile che il cristianesimo, iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia per sempre conservatore?». È la domanda che si pose Bonhoeffer, teologo protestante e pastore evangelico, dinanzi a una Chiesa – sia cattolica sia riformata – pronta a «voltare lo sguardo» davanti all’involuzione della società del tempo. Eppure, a molti conveniva così. A ciò si prestava persino il fraintendimento dell’etica luterana, che di per sé preferisce non immischiarsi negli affari dello Stato, separando la religione dalla politica.

L’ottica farisaica di alcuni suoi colleghi spinse Bonhoeffer a staccarsi dalla sua comunità religiosa per fondarne una sua. L’unica differenza con la precedente consisteva nell’aperta opposizione alla politica di Hitler, allo spirito conservatore, rabbioso e razzista, gonfiato dalla crisi economica e politica successiva alla Prima guerra mondiale. L’orgoglio tedesco, umiliato dai Diktat imposti alla nazione nella Conferenza di pace di Versailles, alimentò oltremodo il nazionalismo autoritario dei partiti di destra, che ebbero l’ardire di mettere in atto ben due colpi di Stato, entrambi falliti,  ma che procurarono la simpatia del popolo verso quei rivoluzionari antiborghesi chiamati «nazional-socialisti» e, più avanti, semplicemente «nazisti». Hitler e il suo gruppo riuscirono a trasformare lentamente un partito di protesta in un partito ben strutturato; seppero ribaltare la situazione, andare al governo e mettere in atto un disegno politico totalitario.

Nell’autunno del 1930 Bonhoeffer, in viaggio per l’America, tenne a New York una conferenza in cui trattò il tema della guerra di fronte a un folto numero di studenti. Si delineavano già i tratti di quel pensiero antimilitarista che avrebbero caratterizzato il successivo lavoro dello scrittore e che vengono presentati in questo libro, assieme alla sua tesi di laurea del 1927 Sanctorum Communio.

Attento osservatore delle tradizioni cattoliche, anche grazie a un viaggio-studio fatto in gioventù a Roma, Bonhoeffer si interrogò sul concetto di «persona». Per lui, come per Maritain, la persona si definisce all’interno del «darsi», nella relazione con l’altro. La riflessione sulla comunità, sull’empatia e sulla carità non gli facilitarono la vita all’interno della Germania nazista: per l’aperta opposizione alla politica del tempo, fu messo in carcere. Anche qui, però, egli riuscì a trasformare il tempo inattivo in tempo produttivo, scrivendo pagine di riflessioni filosofiche, teologiche e pastorali, incentrate sul rapporto tra fede e azione e tra religione e mondo. Giudicato un nemico del regime, venne condannato a morte e impiccato il 9 aprile del 1945. È interessante notare che nel 1933 Bonhoeffer aveva avanzato l’ipotesi di un grande Concilio aperto a tutte le fedi cristiane, anticipando così l’idea del Concilio Ecumenico Vaticano II, che sarebbe stato convocato da Giovanni XXIII nel 1959.

Il libro Con i piedi per terra, curato da Elvis Ragusa, parroco e docente di teologia sacramentaria, ha il pregio di offrire di nuovo al grande pubblico gli scritti di questo straordinario personaggio del Novecento, che non dovrebbe essere mai dimenticato, perché, in ogni tempo, siamo tutti chiamati all’esame della nostra responsabilità individuale nei confronti dello Stato. Affinché nessuno si senta esentato, e nessuno si senta escluso.

 

Con i piedi per terra | Dietrich Bonhoeffer | Paoline | 2020 | pagine 320 | euro 36,00

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