Expecto patronum!, esclama Harry Potter nel momento del pericolo. Excommunicado! è la sentenza che pesa sulla testa di John Wick, il letale killer dal cuore buono interpretato da Keanu Reeves in una serie di film apparsi tra il 2014 e il 2023. Ad accomunare queste e altre fortunate narrazioni popolari è il ricorso a una serie di latinismi abbastanza disinvolti: clamorosamente scorretti in alcuni casi, formalmente accettabili pur nella sostanziale implausibilità in altri. Latino non è, ma non è neppure il latinorum manzoniano, espressione che non si riferisce ad eventuali errori commessi dall’emittente, ma alla mancata comprensione da parte del ricevente. Non c’è nulla di sbagliato nel si sis affinis e nei vari «impedimenti» elencati da don Abbondio; è Renzo che proprio non ci si raccapezza. Che poi don Abbondio si faccia scudo del latino – expecto patronum! – proprio perché Renzo non riesca a intenderlo è un altro discorso. Anzi, è la materia stessa dei Promessi Sposi.
Latinorum non è, dunque, e nemmeno latino maccheronico, questo sublime scherzo ordito da umanisti sopraffini come il celebre Merlin Cocai, al secolo Teofilo Folengo, che con le sue invenzioni arrivò a influenzare Rabelais. Passati al vaglio della sintassi e della metrica, i versi del Baldus e della Zaninotella non tradiscono la lezione virgiliana (Folengo, del resto, era originario di Mantova). La bizzarria dell’operazione consiste semmai nella natura spuria del lessico, che mescola classicismi e solecismi, voci dialettali e parodie erudite. Un gioco serissimo, che presuppone una conoscenza profonda della grammatica da parte dell’autore, oltre che una certa complicità da parte del pubblico. In ambito contemporaneo, è quello che succede con The Big Bang Theory, serie tv di per sé divertente, ma che per essere del tutto apprezzata richiede una discreta infarinatura di fisica quantistica, saghe fantascientifiche e altre prelibatezze da nerd.
Ma allora qual è la lingua segreta che si impara nelle aule di Hogwarts e si sussurra nei corridoi del Continental, l’hotel di lusso nel quale si danno appuntamento i sicari alla John Wick? È un Broken Latin, si potrebbe rispondere, adattando alle circostanze la definizione che gli anglofoni riservano ai balbettii di chi l’inglese l’ha appena studiacchiato. Più precisamente, è una forma di corrupta latina lingua, se non addirittura di corrupta latinitas. Al pari del Broken English, è un latino intonato a orecchio, facendo affidamento sul superstite prestigio emanato di un’antichità a sua volta percepita come solenne, arcaica, forse esoterica.
Da un certo punto di vista, si tratta di un caso particolarissimo della fascinazione che il latino esercita sulla lingua inglese, per quanto riguarda sia l’ambito accademico (basti, per tutte, la categoria degli alumni), sia quello commerciale, con i vari specimen, facsimile e via elencando. Il cortocircuito che ne scaturisce è ben noto, ed è fonte di ironie non sempre proficue. Si fa presto a scandalizzarsi quando si sente parlare di fek-simail, ma sarebbe più opportuno riflettere sul significato che questo e altri svarioni possono rivestire. In definitiva, tra i neologismi favoriti dalla corrupta latinitas meriterebbe di trovare posto anche un creolismo come fake simile, ovvero la falsificazione che si produce nel momento in cui ci si sforza di replicare una lingua che non si conosce. Le stravaganze che ne conseguono possono risultare così persuasive da essere adottate anche da coloro che, al contrario, quella lingua la dominerebbero alla perfezione. Si pensi allo scrittore Marcello Simoni, medievista di provata competenza che nei suoi best seller adotta scorciatoie come quella del Codice Millenarius, ibrido di per sé inspiegabile (basterebbe utilizzare il latino anche per il primo termine e nessuno avrebbe da ridire), ma ritenuto più convincente per il pubblico di riferimento.
Un Thesaurus corruptae et postremae latinitatis ancora non esiste, purtroppo. Se mai ci si decidesse a compilarlo, magari facendo appello alla curiosità degli appassionati, ci si accorgerebbe che veramente «lo latino è perpetuo», come già scriveva Dante nel Convivio e come ha di recente ricordato Maurizio Trifone in un utile saggio edito da Carocci («Lo latino è perpetuo». Parole attuali di una lingua antica, pagine 220, euro 18). Maltrattato finché si vuole, il latino resiste a tutto: agli incantesimi, alle sparatorie, perfino agli elogi di quelli che a scuola non ne volevamo sapere e adesso pretendono di salire in cattedra. Expelliarmus!, tuonerebbe Harry Potter; Fortis fortuna adiuvat, risponderebbe John Wick, mostrando il tatuaggio che porta sulla schiena. E pazienza se, tra un fake simile e l’altro, l’accusativo dev’essere rimasto vittima del fuoco amico.
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