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I «libri con le orecchie» si fanno largo

di Maria Teresa Carbone

Non c’è dubbio: per chi in un modo o nell’altro si occupa di editoria la notizia del giorno è il poderoso sbarco di Spotify nel mercato americano degli audiolibri. Annunciato fra gli altri da J. Clara Chan su Hollywood Reporter, da Todd Spangler su Variety, da Sarah Perez su Techcrunch (eccetera eccetera), il movimento di espansione del servizio svedese di streaming on demand sul territorio dei «libri con le orecchie» non arriva in realtà come una sorpresa: l’acquisizione lo scorso autunno di Findaway, fra i maggiori distributori statunitensi nel settore, era stato un segnale inequivocabile dell’interesse di Spotify verso gli audiolibri, che già nel lontano 2016 Jennifer Maloney sul Wall Street Journal definiva come «il segmento dell’industria editoriale di maggiore e più rapido sviluppo».

Da allora, in parte grazie agli aggiustamenti nelle abitudini derivati dalla pandemia, gli audiolibri non hanno fatto altro che crescere, giustificando le ambizioni di Spotify nel farsi largo in un campo finora dominato da Audible (cioè da Amazon). E «farsi largo» non è un’espressione esagerata: a partire da martedì 20 settembre, scrive Spangler, «gli utenti di Spotify negli Stati Uniti possono acquistare e ascoltare oltre 300mila titoli di audiolibri di grandi editori come Penguin Random House, Hachette e Simon & Schuster, oltre che di singoli autori». E se, almeno per ora, non ci sono in catalogo materiali esclusivi, non mancano i nomi di sicuro richiamo a partire da quello dell’ex first lady Michelle Obama, con il suo vendutissimo Becoming.
Diversa, rispetto all’arcirivale Audible/Amazon, la formula proposta inizialmente da Spotify agli utenti statunitensi: nessun abbonamento mensile, bensì la vendita diretta, «à la carte», dei singoli audiolibri, senza pubblicità. Ma «l’azienda – scrive ancora Spangler, citando Nir Zicherman, vicepresidente di Spotify, nonché responsabile globale per gli audiolibri – sta esplorando nuovi modelli di business che potrebbero includere abbonamenti o formati accompagnati da annunci promozionali».

Quasi inutile specificare che dopo il debutto iniziale negli Stati Uniti, Spotify ha intenzione di lanciare la vendita di audiolibri in altri mercati.
Anche da questa parte dell’Atlantico sarà quindi necessario seguire con attenzione la partita: non solo per l’inevitabile scontro fra Spotify e Audible/Amazon (pronta sicuramente a reagire a questo attacco con mosse di contrasto), ma anche e soprattutto perché l’apparente inarrestabile ascesa dei «libri con le orecchie» offre utili spunti di analisi sui cambiamenti di quella pratica che per pigrizia continuiamo a definire «lettura».

Come nota Porter Anderson su Publishing Perspectives, gli audiolibri hanno infatti una caratteristica che li rende particolarmente interessanti agli occhi delle case editrici in una fase che vede il «prodotto-libro» mutare in direzioni imprevedibili: «Secondo vari sondaggi i lettori (maschi) dichiarano di preferire il formato audio rispetto alla modalità tradizionale di lettura», al punto che «negli ultimi anni le statistiche sugli audiolibri nei mercati internazionali hanno mostrato una sostanziale parità fra uomini e donne», mentre negli acquisti di altri formati le lettrici continuano a mantenersi saldamente in testa. Per questo, conclude Anderson, «nella misura in cui l’industria libraria internazionale ha bisogno di un maggior numero di lettori (uomini), può essere una svista costosa per Spotify orientare tutto il suo marketing verso le donne». Saggio consiglio, che ci porta a immaginare un futuro di lettori audioleggenti e di lettrici oculoleggenti: ci si potrebbe quasi imbastire un romanzo, ma in che formato proporlo?

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