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La recensione di “Religione e secolarizzazione. La fine della fede?” (Giovanni Cucci, Cittadella, 2019)

di Betty Varghese

La secolarizzazione porta alla scomparsa della vita di fede? La modernità è essenzialmente atea? Leggendo i dati che aprono questo libro di p. Cucci colpisce la drammatica situazione della religione in Europa: migliaia di chiese, ormai dismesse, sono diventate biblioteche, librerie, musei, uffici postali o banche o, ancora peggio, pub, negozi di abbigliamento, scuole da circo, piscine, centri fitness, discoteche. Di fronte a tale degradante spettacolo, molti, pur non professandosi credenti, ritengono che tutto ciò costituisca un grave impoverimento culturale e sociale.

Il libro intende verificare la presunta scomparsa del religioso (soprattutto in Europa), cercando anzitutto di definire i due ambiti del tema: «religione» e «secolarizzazione». La stessa ricognizione terminologica mostra, oltre alla complessità, la difficoltà di operare facili contrapposizioni. Riprendendo ricerche sul versante filosofico, psicologico, scientifico, sociologico e spirituale – oggetto della parte III –, emerge come la tesi, di stampo illuminista, del progressivo retrocedere della religione a opera della scienza, oltre che datata, si è rivelata falsa. Caratteristica della post-modernità secolare è piuttosto la pluralità dell’offerta religiosa e delle sue manifestazioni. «Le odierne società complesse richiedono di assumere ambiti e ruoli molteplici, differenti, ma non incompatibili tra loro. Questa sembra essere la caratteristica peculiare dell’odierno contesto di liquidità. Non dunque la scomparsa della fede, ma al contrario il proliferare di offerte e di fedi estremamente variegate. Il populismo impregna il concetto stesso di modernità» (pp. 159 s).

Questa pluralità si mostra anche sul versante dell’ateismo, che presenta caratteristiche molto diverse rispetto alle correnti classiche del XVIII e XIX secolo. I «nuovi atei» sono più aggressivi e capaci di veicolare le loro idee in prodotti commerciali meno eruditi, ma più spendibili e di grande successo, anche editoriale. Le loro proposte sono estremamente variegate e molto differenti tra loro, a seconda del dio e della religione che vorrebbero negare: ci sono gli «atei istituzionali», costituiti in apposite associazioni; gli «atei agnostici e semantici», per i quali il problema non si dovrebbe nemmeno porre; gli «atei indifferenti», i quali, più che negare Dio, vivono come se egli non ci fosse; gli «atei speculativo/pratici» per i quali non conta se Dio esista e o meno: l’importante è che non si pregiudichi l’autonomia delle proprie scelte; e gli «atei devoti», caratterizzati da specifici raduni, liturgie e pubblicazioni.

Un altro punto importante rilevato nell’indagine è la specificità della secolarità europea (segnata dalla contrapposizione nei confronti del religioso), che la rende qualcosa di unico, sebbene di solito venga assunta a modello di riferimento nelle ricerche sul tema. In Europa, la crescente disaffezione nei confronti delle istituzioni religiose da parte della modernità secolare ha precise motivazioni storiche: essa è stata una maniera di garantire la pacifica convivenza civile di fronte alla minaccia delle guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa per quasi due secoli. Per questo la storia della secolarizzazione nel Vecchio Continente presenta caratteristiche molto diverse rispetto alle altre parti del mondo.

Nell’ultima parte del libro si ipotizzano possibili punti di incontro tra secolarità e religione, prendendo in considerazione problematiche complesse che non possono essere disattese. La pura ragione «laica» non è in grado di affrontarle, per sua stessa ammissione. L’A. riprende in proposito questo dilemma di Böckenförde, filosofo del diritto e membro della Corte costituzionale federale tedesca: «Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire», come ad esempio riguardo ai temi della libertà e dignità della persona, dei diritti umani, della legittimità della protesta di fronte a decisioni considerate lesive del diritto naturale. Ma, soprattutto, le attuali società complesse si trovano impotenti di fronte a questioni decisive del vivere comune: migrazioni, crollo demografico, sfaldamento del tessuto sociale, crisi dei valori, dei fondamenti e delle istituzioni, ricerca di significato, disagio e solitudine. Problematiche che possono tuttavia diventare altrettanti punti di incontro con le istituzioni religiose, facendo tesoro degli insegnamenti del passato.

Si tratta di sfide difficili e complesse, ma ai giorni nostri da entrambe le parti si stanno compiendo in proposito passi interessanti a livello economico, culturale, politico e sociale: il libro presenta alcuni esempi al riguardo. Questo incontro, d’altra parte, sembra essere l’unica strada praticabile per la sopravvivenza della nostra civiltà.

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