L’arte dell’intimità di coppia (Giovanna Valsecchi, Effatà, 2025)
Capitolo 1
LA RELAZIONE UOMO-DONNA
L’uomo e la donna sono invitati
ad amare l’altro attraverso
il proprio corpo e nel proprio corpo,
che è principio di individualizzazione,
dunque di distinzione,
e quindi presupposto per ricevere
l’altro come dono da custodire.
La persona umana in astratto non esiste: la persona è sessuata, cioè è persona al modo maschile o al modo femminile. L’attestazione genesiaca «maschio e femmina li creò» (Gen 1,27) riconosce il dato sessuale come innato a partire dalla realtà cromosomica, che dispone l’individuo a una volontaria elaborazione e al conseguente compimento dell’umanizzazione18. Questa tocca tutti gli aspetti dell’esistenza: la dimensione biologica, quella psichica e quella spirituale19.
Da queste prime righe si comprende che risulta imprescindibile iniziare il presente studio comprendendo la sessualità come elemento proprio della natura umana, che si configura nell’agito secondo una specifica modalità di disposizione di fronte all’alterità. Specifica la Sacra Congregazione per l’educazione cattolica:
La sessualità è una componente fondamentale della personalità un suo modo di essere di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’amore umano. Perciò essa è parte integrante dello sviluppo della personalità e del suo processo educativo20.
La sessualità, che vogliamo qui trattare entro il contesto più ampio dell’intimità, è presentata con un’attenzione degna di nota dagli studi sulla Teologia del corpo di Giovanni Paolo II, che propongono una circolarità ermeneutica tra la Sacra Scrittura e le esperienze proprie della persona umana. Agli inizi della sua trattazione, che occupò le Udienze generali del mercoledì dal 5 settembre 1979 al 28 novembre 1984, il papa richiama i capitoli iniziali del libro della Genesi ed evidenzia come la prima esperienza dell’Adam sia la solitudine: mediante il corpo egli si riconosce appartenente al Creato, scoprendosi al contempo diverso dagli altri animalia21. Si tratta della «più antica descrizione e registrazione dell’auto-comprensione dell’uomo»22! Egli è individuo, dunque metafisicamente incomunicabile e completo, ma perfettibile, giacché non ancora compiuto23.
Come segno di benevolenza e promessa di felicità, Dio o1re all’uomo un aiuto, permettendogli di scoprirsi chiamato al dono di sé nei confronti di un’altra «che gli corrisponda» (Gen 2,18), dunque uguale in dignità perché persona e complementare in quanto femmina24. Adamo può !nalmente rispondere a questa domanda: «Per chi sono io?». Questa relazione paritetica è l’occasione per il primo canto di lode nella Bibbia: Adamo trova davanti a sé Eva quale dono inaspettato25. La paronomasia ‘iššâ (donna) e ‘îš (uomo) di Gen 2,23 evidenzia l’uscita di Adamo dall’autosufficienza per accedere all’avventura dell’amore: l’affinità tra i nomi svela l’affinità dei corpi26. Scrive a riguardo il pontefice:
il dono rivela, per così dire, una particolare caratteristica dell’esistenza personale, anzi della stessa essenza della persona. Quando Dio Jahvè dice che “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18), a1erma che da “solo” l’uomo non realizza totalmente questa essenza. La realizza soltanto esistendo «con qualcuno» – e ancor più profondamente e più completamente: esistendo «per qualcuno»27.
La verità della persona umana de!nisce la verità sul corpo: questo esprime la vocazione nativa alla comunione d’amore, disponendo la persona alla relazione28. Ancora una volta il Magistero, in questo caso nella Lettera enciclica Redemptor hominis al numero 10, coglie e dà voce a una profonda verità: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»29.
Il corpo è dunque presenza e linguaggio30: la corporeità permette alla persona umana di realizzarsi nella storia, instaurando una comunicazione con gli altri e con il mondo. Ne deriva una presa di coscienza, veicolata dall’osservazione del nostro corpo e in particolare del nostro ombelico, che attesta la relazione originante la nostra esistenza: ogni persona umana è figlio. Ecco che torna la dimensione dell’amore quale vincolo originario e originante31.
La persona umana a immagine di Dio
Il Magistero invita a studiare l’antropologia alla luce della Rivelazione, procedendo dall’affermazione di fede per cui l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, affinché abiti il mondo come sua immagine32. Ora, se l’uomo è a immagine divina e Dio è personale, l’uomo è prosopon: dal greco pros e ops, letteralmente “davanti agli occhi”, è dunque colui che manifesta, appunto, il divino. A ragione di ciò, vi è un intimo legame tra Creatore e creatura, che si mantiene grazie alla potenzialità umana del capax Dei. Si è specificato che non la mera umanità, ma la di1erenza di genere appartiene all’immagine divina, in virtù dell’unità originaria e della possibilità procreativa33. Spiega a riguardo la Lettera apostolica Mulieris dignitatem al numero 6: «L’uomo è una persona, in eguale misura l’uomo e la donna: ambedue, infatti, sono stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale»34. L’essere ab alio è destato in Adamo dalla dimensione corporea, caratterizzata dalla capacità di rendere manifesta anche la dimensione spirituale. L’uomo, invero, è stato creato con il compito di «trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio, e così esserne segno»35. La comunione delle persone divine trova quindi espressione, seppur come analogia, nell’esistenza sessuata della persona umana quale maschio o femmina.
Ora, l’esistenza storica vede il compimento dell’individuo in una vocazione specifica, che ha sempre caratteri nuziali36: l’essere creati insieme evidenzia difatti la nuzialità originaria e anticipa la sacramentalità del matrimonio37, elemento cardine del “sacramento della creazione”38. La verità sull’uomo richiede come chiave di lettura la natura di Dio e l’imago Trinitatis che si scorge in ogni essere umano può essere maggiormente compresa e contemplata, più che nel singolo, negli sposi. Insegna papa Francesco: «L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale: l’uomo e la donna; non soltanto l’uomo, non soltanto la donna, ma tutti e due. Questa è l’immagine di Dio: l’amore, l’alleanza di Dio con noi è rappresentata in quell’alleanza fra l’uomo e la donna»39. Ecco che l’unità e la complementarietà tra il maschile e il femminile si configurano come riflesso dell’amore di Dio e della sua alleanza fedele con l’umanità.
Questa relazionalità si vede direzionata, quindi fondata e caratterizzata,
prima di tutto verticalmente40, nel rapporto con Dio. «Ogni essere umano è una persona comunionale, ontologicamente aperta alla comunione con l’altro, perché ontologicamente dipendente dalla comunione con il Suo Creatore»41. Dalla comunione divina l’individuo apprende la comunione umana. Può risultare utile accennare alla nudità di Adamo ed Eva nell’Eden: «Tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna» (Gen 2,25). Questo versetto presenta la serenità dello sguardo, data dalla piena consapevolezza della propria e dell’altrui essenza. Scrive José Noriega: «Adamo, guardando Eva, e viceversa, partecipa dello sguardo di Dio, che ama la persona per se stessa»42. Innestandosi nello sguardo benedicente del Padre, il primo uomo acconsente a quanto e a come Egli ha creato43.
Le categorie di solitudine, unità e nudità originaria si leggono qui alla luce dell’attrazione, della comunione e del rispetto; infatti solo nell’incontro con la donna, presentatagli dal Creatore, l’uomo esce dal suo stato di solitudine e conosce la sua mascolinità (cfr. Gen 2,23). La vita dell’una è pro-vocazione per quella dell’altro, invero sin dal risveglio la coppia originaria si conosce come convocata44. Ecco la bellezza originaria. Come ad intra della Trinità, anche ad extra Dio ha voluto per la coppia una comunicazione che possiamo definire rivelante, mossa e sostenuta dal significato sponsale dei due corpi45. Torniamo a sostenere che il corpo ha iscritto il compito di manifestare all’uomo la sua vocazione alla capacità e alla responsabilità dell’amore; questo è difatti «la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano»46.
Dio, Creatore perché Padre, ha creato il corpo, nella mascolinità e nella femminilità, come segno e modalità della comunione che la persona realizza facendosi dono. Se la donazione per eccellenza è insegnata all’umanità da Cristo, anche l’immagine divina chiede di essere affrontata secondo una prospettiva cristologica: la persona umana è immagine divina in quanto partecipa dell’Immagine che è il Verbo Incarnato. Ne deriva che possiamo realizzare in pienezza l’immagine divina nella misura in cui riproduciamo in noi la filiazione. Arriviamo ad a1ermare con Marcelo Bravo Pereira che «la vita del cristiano è arrivare ad essere, per grazia, ciò che Cristo è per natura: Figlio di Dio»47. Ecco allora che «il sacramento del matrimonio […] riprende e specifica la grazia santificante del battesimo»48. La santità iniziale trova sviluppo nella santità morale: non si tratta meramente di una gloria attesa e relegata al Paradiso, bensì della pienezza che è già possibile assaporare se si conduce una vita retta, cioè secondo l’intelligenza, la volontà e la libertà49. Così è insegnato anche dal Concilio Vaticano II: «La vera libertà […] è nell’uomo un segno privilegiato dell’immagine divina»50.
Leggendo l’Antico Testamento alla luce di Cristo, ove «trova vera luce il mistero dell’uomo»51, possiamo assegnare all’essere immagine la dignità di questo compito: essere un «riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà» (Sap 7,26).
Lungi dalla staticità, questa realtà dinamica è veicolata dallo Spirito. Nella Seconda lettera ai Corinzi, san Paolo insegna infatti che «noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18). Lo Spirito è nesso intra-trinitario tra il Padre e il Figlio e nesso extra-trinitario tra Dio e gli uomini.
In sintesi, avendo come sfondo la nozione per cui la creazione dell’uomo è opera comune alla Tre persone divine52, si nota che se l’Antico Testamento svela il dono che il Padre porge alla creatura, il Nuovo precisa che questo può trovare pieno compimento solo nella partecipazione alla figliolanza di Cristo53 per mezzo dell’amore. Ecco allora che la comunione che unisce i membri della coppia rappresenta il completamento della creazione della persona umana quale immagine divina, la cui funzione è rispecchiare il Modello e dunque irradiare il divino. L’unità dei due non esprime la solitudine di un unico Dio personale che crea e governa il mondo, ma manifesta l’intima unità nella Trinità54.
Il mistero dell’altro: la distinzione
Lungo i secoli Israele ha elaborato una ri7essione sulla sua identità di popolo, arrivando ad a1ermare che la creatura umana, nell’inscindibile unità di corpo e spirito e nella polarità tra maschile e femminile, è «cosa molto buona» (Gen 1,31). La Teologia del corpo è difatti «legata alla creazione dell’uomo a immagine di Dio, diventa, in certo modo, anche teologia del sesso, o piuttosto teologia della mascolinità e femminilità»55. Lungi da una logica stringente e distorta derivante prima da un’ipocrita sessuofobia e poi da un’idolatria genitale, si vogliono qui considerare la diversità e quindi la preziosità del maschile e del femminile. Se la persona umana rimane alteri incommunicabilis, si vuole però contemplarne con stupore la natura.
La Scrittura permette di scorgere un’immagine di Dio tanto nel maschile quanto nel femminile.
Nelle vicende di Israele Dio si fa conoscere secondo la prospettiva del maschile come Colui che prende l’iniziativa e chiama il suo popolo a una relazione esclusiva, che ama con passione e gelosia, che o1re la libertà e sostiene nella fedeltà (cfr. Es 34,6), che combatte come guerriero valoroso (cfr. Is 10,24; Sap 12,18) e di fronte all’errore giudica con mitezza. Dio è «il Signore della vita» (2Mac 14,46) e la sua forza generativa si manifesta anche nelle storie di aridità di Abramo e Sara (cfr. Gen 15,4-5; 21,1-7) e di Zaccaria ed Elisabetta (cfr. Lc 1,5-25.36), per poi esprimersi nella sua pienezza attraverso il volto sponsale del Figlio che offre se stesso56.
Le pagine bibliche presentano anche tratti del volto di Dio che richiamano la realtà femminile. Il profeta Isaia si fa portavoce di una vera e propria dichiarazione d’amore: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati» (Is 66,13) e ancora: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il !glio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Emerge qui la misericordia, richiamata anche dall’ebraico rahamim, simile a rehem, indicante l’utero, uno spazio chiamato a dilatarsi per accogliere la vita. La donna «può realizzare la pienezza del suo essere solo in relazione all’altro, accolto, portato, partorito e nutrito»57. Dio, “paziente e misericordioso”, mantiene un legame viscerale con il popolo di Israele, di cui conosce ogni !glio. La riprova di questo amore è data dalla parabola della pecorella smarrita (cfr. Mt 18,12-14; Lc 15,1-7): sebbene l’usanza del tempo prevedesse che all’animale fuggito e recuperato fossero spezzate le zampe così da evitare un’ulteriore possibile fuga, questa è semplicemente caricata sulle spalle e ricondotta all’ovile; le è lasciata la possibilità di un nuovo errore, come anche le è accreditata la !ducia di aver compreso il pericolo e di evitarlo in futuro. L’amore materno, quindi femminile, trova però forse la manifestazione più tenera nel nutrire il !glio: se il popolo si vede nutrito dalla manna nel deserto (cfr. Es 16,1-36) e Isaia profetizza che «voi sarete allattati e portati in braccio, sulle ginocchia sarete accarezzati» (Is 66,12), il cristiano si riconosce mantenuto in vita dall’Eucaristia, resa possibile dal sacrificio della croce, dove Cristo si dona come cibo per la sua Chiesa.
Il Signore è presente per il suo popolo come padre e come madre, dunque con caratteristiche sia maschili sia femminili. Alla luce di queste pagine bibliche, papa Giovanni Paolo I poté affermare durante il suo terzo Angelus il 10 settembre 1978: «Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi […]. È papà; più ancora è madre»58. Pregandolo proprio come Padre nostro, i cristiani affermano che Egli sta «nei cieli». Questo non indica una distanza o un disinteresse, bensì la qualità della sua paternità e maternità, un amore sovrabbondante con cui si prende cura degli uomini. Colui che è infinito è anche attento al singolare e più ancora al dettaglio: «Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati» (Lc 12,7). Spiega papa Francesco:
L’espressione “nei cieli” non vuole esprimere una lontananza, ma una diversità radicale di amore, un’altra dimensione di amore, un amore instancabile, un amore che sempre rimarrà, anzi, che sempre è alla portata di mano. Basta dire “Padre nostro che sei nei Cieli”, e quell’amore viene59.
Se da queste brevi considerazioni su Dio nasce un sentimento di meraviglia, questa è suscitata anche dalla contemplazione di ciò che ne è l’immagine, cioè il corpo umano. Insegna a riguardo Giovanni Paolo II:
La donna è il complemento dell’uomo, come l’uomo è il complemento della donna: donna e uomo sono tra loro complementari. La femminilità realizza l’«umano» quanto la mascolinità, ma con una modulazione diversa e complementare. Quando la Genesi parla di «aiuto», non si riferisce soltanto all’ambito dell’agire, ma anche a quello dell’essere. Femminilità e mascolinità sono tra loro complementari non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma ontologico. È soltanto grazie alla dualità del «maschile» e del «femminile» che l’«umano» si realizza appieno60.
Si evince qui nuovamente la simbolica nuziale dell’uomo e della donna, costituiti nella potenzialità della relazione. Questa diviene e1ettiva attraverso un bacio, varco che apre la comunicazione fisica tra i due e permette loro la conoscenza della propria natura e la fecondità61. Dio pone un sigillo sul loro incontro e definisce la natura del matrimonio: «I due saranno un’unica carne» (Gen 2,24). Il desiderio della comunicazione corporea chiama gli sposi a congiungere ciò che in loro è distinto, dunque presupponendo e mantenendo la diversità: mentre la sposa chiama lo sposo a sé, questi la raggiunge e si abbandona a lei. Ecco che i due, al contempo, sono e non sono nell’altro.
È tempo allora di approcciarsi a un’analisi del corpo maschile e di quello femminile, per scoprirne la fenomenologia e la vocazione alla compresenza. L’apparato genitale del maschio è esterno, perciò immediatamente visibile e conoscibile. L’organo sessuale è dotato della potenzialità di sperimentare il piacere sessuale, che si trova unificata nell’orgasmo alla possibilità di dare la vita. La femmina possiede invece una configurazione più complessa, in quanto l’apparato genitale si trova all’interno del suo corpo, posizione che esprime un certo mistero. L’esperienza sessuale è per lei fortemente de!nita da un organo deputato unicamente a un’alta reattività al piacere: il clitoride. Dato che la funzione sessuale e quella generativa non sono integrate spontaneamente, occorre che intercorra con il maschio un’intimità lavorata, al !ne di sperimentare entrambi quel piacere unitivo che sgorga dall’incontro62. Se lui usa il corpo come strumento per la comunicazione con l’esterno e il piacere è recepito soprattutto nei genitali, lei gode di una condizione definita iperestesia, che le fa percepire la totalità del suo corpo come interessata all’unione63. La sessualità è il linguaggio che il maschio e la femmina hanno a disposizione per mettersi l’uno al servizio dell’altra; data questa prospettiva, è chiaro che non si può assumere come criterio primo e assoluto la gratificazione delle sensazioni.
Considerando l’atto sessuale, vogliamo lasciarci condurre da quanto accennato circa i dati anatomici per scoprire ulteriormente la mascolinità e la femminilità in termini esistenziali. Nella penetrazione la vagina si modella attorno al pene che la penetra, conoscendo e ridefinendo così i suoi confini; il maschio si espone nella sua vulnerabilità: difatti il pene è esposto e quindi non protetto, e nell’amplesso chiede di essere accolto secondo la capacità di adattamento propria del femminile. Il compimento pieno di questo atto porta la donna a generare dentro di sé, il maschio al di fuori di sé. Accoglienza e donazione sono dunque le due modalità e più in generale i due atteggiamenti necessari a uno stato unitivo e potenzialmente fecondo64.
Si propongono alcune parole di Giovanni Paolo II, al fine di proiettare la distinzione, quale mistero dell’altro, alla congiunzione cui questa chiama.
Il corpo umano, con il suo sesso, e la sua mascolinità e femminilità, visto nel mistero stesso della creazione, è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione, come in tutto l’ordine naturale, ma racchiude !n “dal principio” l’attributo “sponsale”, cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere ed esistere65.
L’uomo e la donna, in definitiva, sono invitati ad amare l’altro attraverso il proprio corpo e nel proprio corpo, che è principio di individualizzazione, dunque di distinzione, e quindi presupposto per ricevere l’altro come dono da custodire. Si comprende allora quanto a1erma Umberto Galimberti, recuperando la già citata dimensione del linguaggio: «La sessualità non è carne, è linguaggio; ciò a cui tende non è la scarica di una tensione ma l’incontro con l’altro»66. La scoperta dell’importanza del corpo permette di comprenderlo come segno dell’esistenza relazionale della persona umana: se il corpo è l’elemento !sico visibile e il primo contatto con il mondo esterno, è anche la forma entro cui la psichicità e la spiritualità maschile o femminile si manifestano e compiono67. Il corpo veicola l’amore ed è amato, l’oggetto dell’amore è però la totalità della persona68.
Un’antropologia nuziale: comprendersi e realizzarsi nella congiunzione
L’esperienza dell’amore nasce e si gioca all’interno di una corretta comprensione della totalità degli elementi costitutivi della persona umana. «Uomo e donna non sono dati l’uno all’altra solo come oggetti definiti dal proprio corpo e sesso e quindi determinati “dalla natura”, ma sono piuttosto donati l’uno all’altra come soggetti unici e irripetibili, cioè come persone»69. L’identità maschile e femminile concerne il livello fisico-oggettivo, quello psichico-soggettivo e quello spirituale, al contempo oggettivo e soggettivo. Se il primo si ricava dalla struttura umana, che richiama un completamento, il secondo fa riferimento a un’assunzione identitaria cosciente, che interessa la totalità della persona secondo le dimensioni corporea, intellettiva, volitiva ed emotiva. Si considera ora il terzo livello, quello spirituale, che sottende e porta a compimento i precedenti, aprendosi all’Alterità70
Richiamando un’immagine umana, possiamo definire la sessualità come l’impronta digitale che Dio ha lasciato in noi quando le sue mani ci hanno plasmato dalla polvere del suolo. Se l’impronta dice l’identità, a1ermiamo che la dimensione sessuale svela, in quanto immagine e quindi in modo imperfetto, l’amore trinitario. È proprio dal dinamismo della Trinità che nasce e vive la coppia. L’essere immagine divina, dunque rimando a Dio, si riconosce infatti nell’umanità individuale, che trova però pieno compimento solo nella comunione tra le persone; l’intimità tra le Persone divine ha allora la funzione di causalità esemplare per la coppia umana71.
Il desiderio di intimità e comunione è stato inscritto dal Creatore mediante un’energia vitale che definiamo tensione erotica. Questa modalità di relazione, che nutre la volontà dei singoli di lasciarsi modellare dall’amore per l’altro e dell’altro, insegna che la sessualità è tanto migliore quando è responsoriale, cioè nella misura in cui si vive un ascolto attivo dell’altro e si apprende insieme, con!dandosi e intuendo tempi e modi del godimento proprio, altrui e di coppia72. Occorre purificare il corpo: questo non equivale a ridurre le operazioni alla percezione del piacere o del dolore, bensì dirigere le sensazioni, il pensiero, l’immaginazione e il desiderio al !ne di nutrire ed esprimere un amore puro. Se qui si accenna brevemente al piacere !sico, si vuole però intendere questo godimento nei termini di fruizione piena della presenza dell’altro e dunque di un’antropologia nuziale. Spiega la Familiaris consortio che la comunità coniugale «affonda le sue radici nella naturale complementarità che esiste tra l’uomo e la donna»73. La chiamata all’unità fonda e !nalizza l’essenza di questa unione, che raggiunge il suo apice nel matrimonio cristiano: la reciprocità diviene simbolo dell’alleanza che Cristo ha voluto con la Chiesa.
Il riscoprirsi proiettati verso il trascendente trova spiegazione nell’immagine divina inscritta nella persona umana: la mera attuazione storica sarebbe invero limitante per l’uomo, che avverte come necessaria la ricongiunzione eterna con Dio. Anche la sessualità rientra in questa relazione, in quanto benedetta dal Creatore e rimandante a Lui. Relazione quindi di origine e di destinazione, dalla quale si comprende la necessità di un’unità di vita, al !ne di integrarla nella totalità del progetto comunionale ora espresso74. Il Nuovo Testamento presenta l’amore che Dio ha «riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5) grazie allo Spirito Santo con il termine agape, attestando l’alleanza coniugale quale comunione di persone che rimanda al divino mediante il simbolo reale dell’intimità sessuale75.
A questo punto si deve anche avere chiaro che non è corretto distinguere il matrimonio quale realtà voluta dal Creatore e il matrimonio come sacramento dell’economia cristiana: le due cose coincidono nell’unico matrimonio che Cristo rivela per il suo Regno76. «Il sacramento del matrimonio ha questo di speci!co fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell’economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore “al principio”»77. Quanto a1ermato è avvalorato da Cristo stesso in una diatriba con i farisei (cfr. Mt 19,3-12), ove il Maestro riprende i testi di Gen 1,27 e Gen 2,24 per invitare a riconoscere la continuità che intercorre tra lo stato attuale di peccato e lo stato preistorico d’innocenza; se il peccato dei progenitori ha lasciato un vulnus, non ha però distrutto l’imago, pertanto non è venuta meno la predestinazione78.
Possiamo allora assumere quanto Gilfredo Marengo insegna circa il matrimonio quale sacramento primordiale: «La Creazione è già, nel segno, anticipazione dell’Alleanza che, proprio nel segno, spiega l’intenzione del Creatore che attua il suo progetto»79; in altre parole, l’unione dei corpi maschile e femminile è la prima forma di autocomunicazione del divino80. In definitiva, il matrimonio è sacramento perché in esso l’uomo e la donna scelgono liberamente di immettersi nell’intimità della Trinità, che compie in loro l’immagine divina inscritta nella dimensione creaturale.
Quanto espresso è ricordato anche dal Rito del matrimonio: «Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono fra loro la comunione di tutta la vita, riceve la sua forza e solidità dal disegno della creazione; per i cristiani viene elevato a superiore dignità perché è uno dei sacramenti della nuova alleanza»81.
Gli sposi cristiani sono allora investiti di una vocazione profetica, volta ad annunciare lo splendore della corporeità; essi sono «i guardiani della verità del linguaggio del corpo»82 e nella loro nuzialità annunciano al mondo la verità più profonda dell’uomo.
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