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Le «Piccole donne» hanno grandi eredi

di Annachiara Sacchi intervista Anne Boyd Rioux

Un classico della letteratura. Che continua a interrogarci sul senso della vita, a porre domande senza tempo, a presentare prospettive nuove. Un testo «sovversivo», perché parla di libertà, di affermazione, perché supera i confini di genere. Un modello, perché ha ispirato decine di autori, sceneggiatori, registi. Perché le sorelle March hanno segnato un canone nella narrativa angloamericana: le ritroviamo in decine di personaggi, da Anna dai capelli rossi a Hermione Granger di Harry Potter fino alle quattro amiche di Sex and the City. Ecco perché Piccole donne ancora conta. Anche a centocinquanta anni dalla sua prima pubblicazione, il 30 settembre 1868. Anne Boyd Rioux, studiosa di scrittrici statunitensi del Diciannovesimo secolo, docente di inglese all’Università di New Orleans, lo spiega nel suo libro Meg, Jo, Beth, Amy: The Story of Little Women and Why It Still Matters, in uscita da Norton il prossimo 21 agosto. «Contiene messaggi che travalicano lo spazio e il tempo.»

Quali sarebbero questi messaggi?

Anzitutto che le ragazze possono prendere una strada diversa rispetto a quella delle loro madri e delle loro nonne. Tanto nell’America dell’Ottocento quanto nella Cina di oggi. Uno dei grandi segreti di Piccole donne è proprio l’essere adattabile a latitudini ed epoche diverse: forse per questo motivo è così famoso in tutto il mondo.

Non è, questa, una caratteristica esclusiva di «Piccole donne».

È vero, ma è anche vero che molti libri del Diciannovesimo secolo, e non solo, insistono su cosa una ragazza dovrebbe dire o pensare, mentre Louisa May Alcott non lo fa mai. Piuttosto sprona a farsi un’idea, a decidere con la propria testa. Per questo la sua lezione vale in Pakistan, in Italia, in Corea, in Francia, in Australia. E continua a riflettersi nei lavori di tanti autori contemporanei.

Esempi?

Tra le scrittrici che riconoscono l’influenza di Louisa May Alcott troviamo Doris Lessing, Simone de Beauvoir, Zadie Smith, Margaret Atwood, Jhumpa Lahiri.

Uomini?

George Orwell, Stephen King, Julian Fellowes, John Green.

In Italia?

Adattamenti e citazioni in abbondanza. Penso a Come se niente fosse di Letizia Muratori; Bagna i fiori e aspettami e Se lo dico perdo l’America di Lidia Ravera. Sono solo alcuni esempi. Dimenticavo: in L’amica geniale di Elena Ferrante le due protagoniste leggono il libro fino quasi a distruggerlo.

«Piccole donne» resta ed è un libro per giovinette?

In realtà è una lettura formidabile anche per i ragazzi. Del resto nel libro c’è un protagonista maschile, Laurie, che come le sorelle March è in cerca della propria strada, suo nonno nutre forti aspettative su di lui, mentre il ragazzo vorrebbe diventare un musicista. Direi quindi che Piccole donne è un grande libro destinato a tutti. Parla di identità di genere, mostra quanto sia difficile essere un giovane uomo o una giovane donna, spiega come certe aspettative culturali influenzino i percorsi di crescita di ognuno e come sia possibile cambiarle. Un altro dei meriti del romanzo di Louisa May Alcott è proprio questo: aiutare i lettori a considerare il genere non come un marchio con cui si nasce, ma come un aspetto «flessibile» dell’esistenza.

In realtà non sono molti i lettori maschi del romanzo.

Piccole donne compare sempre meno nelle scuole. Tra i libri raccomandati dalla National Education Association era al quarantasettesimo posto nel 1999 e al settantatreesimo nel 2007. In una ricerca del 2016 Louisa May Alcott non era nemmeno menzionata tra le autrici «scolastiche».

Passata di moda?

Il punto è un altro: i docenti non «insegnano» Piccole donne perché lo ritengono un libro «per ragazze» da leggere in cameretta. Non è sempre stato così, all’inizio piaceva a tutti e a tutte le età. Poi è diventato un testo per bambine.

Il motivo?

Tra le varie spiegazioni c’è il fatto che i ragazzini non vogliono essere indicati come «quelli che leggono un libro per femmine». Preferiscono farsi vedere con in mano Tom Sawyer o Huckleberry Finn. Eppure oggi più che mai è importante che leggano la storia delle sorelle March.

Perché?

La nostra scuola è maschilista (usa il termine «maledominated», Ndr). La società è maschilista. Letture come Piccole donne diventano allora importanti per capire il punto di vista delle ragazze. Come possono gli uomini rispettare le donne se non sono mai incoraggiati a guardare il mondo con gli occhi delle donne?

Un libro di genere che va oltre il genere?

Assolutamente. Piccole donne insegna a tirare fuori la propria individualità e a pensare alle ragazze non come a un’estensione dell’uomo. È un libro sulla libertà individuale, sulla bravura che ciascuno di noi ha nel costruire il proprio futuro, a sviluppare una personalità definita. E ognuna delle protagoniste lo fa in modo unico e autentico. Quello che è fantastico è che il romanzo mostra non un modo per entrare nell’età adulta, ma tanti.

Un inno alla ribellione?

Non proprio. Nessuna delle sorelle March vuole liberarsi della famiglia. Anche nella seconda parte del libro, quella dedicata a un’età più adulta, le ragazze fanno le loro scelte, ma rimanendo unite, cosa che può essere molto difficile, anche oggi.

Qual è il suo personaggio preferito?

Jo vuole diventare una scrittrice, a lungo mi sono sentita come lei. Ma quello che è fantastico di Piccole donne – ecco un’altra delle sue eredità – è che, leggendolo in varie fasi della vita, possiamo dire «tutte le sorelle sono io». Amy che è la più «social» e artistica, Meg, così legata alla famiglia. Ognuna ha un carattere molto particolare, mai idealizzato. E in ognuna è possibile identificarsi. È un romanzo con cui crescere.

Quest’anno ricorrono i centocinquanta dalla pubblicazione di «Piccole donne», ma anche i centodieci di un altro classico, «Anna dai capelli rossi», scritto dalla canadese Lucy Maud Montgomery. Sono romanzi affini?

Il personaggio di Anna è sicuramente ispirato a Jo March. Ma quello che manca in Anna dai capelli rossi (o Anna di Tetti Verdi, Anne of Green Gables, uscito nel 1908, Ndr) è il racconto corale: in Piccole donne le quattro sorelle sono uniche e diverse, tanto da diventare un paradigma. Ci sono tante Jo March là fuori.

Tipo?

Hermione Granger di Harry Potter (J.K. Rowling ha ammesso di essere una grande estimatrice di Piccole donne), forte lettrice e non convenzionale come Jo; Katniss di Hunger Games, Rory della serie Gilmore Girls (in Italia Una mamma per amica). E ancora le quattro amiche di Sex and the City, le Girls di Lena Dunham anche se crescono molto meno delle sorelle March. L’idea di quattro ragazze che cercano il loro posto nel mondo è ancora attuale.

Ma allora perché nemmeno le ragazzine leggono più il romanzo?

Perché pensano di non aver più bisogno del messaggio di cui la storia è portatrice. Sbagliano, purtroppo. E sbagliano perché da bambine viene loro detto che possono diventare qualunque cosa. Giusto, vero. Ma appena crescono quelle bambine che potevano tutto iniziano a sentire la pressione della società. Come devono essere, come devono piacere. Super magre, super belle, super simpatiche. Piccole donne allora diventa uno spazio unico, un guscio in cui le ragazze possono pensare a loro stesse senza computer, senza immagini. Che peccato non capirne l’importanza. Qualcosa però sta cambiando.

Tempo di revival?

L’ultimo Piccole donne che abbiamo visto al cinema, quello di Gillian Armstrong con Winona Ryder, Susan Sarandon, Kirsten Dunst, risale al 1994. A parte una serie della Bbc non c’è stato quasi nulla. Fino a oggi. Ora si parla di una nuova produzione (pronta nel 2019) con la sceneggiatura e la regia di Greta Gerwig, che ha firmato Lady Bird. Sarebbe importantissimo: un film diretto e scritto da una cineasta giovane e pluripremiata. Già si parla di un cast stellare con Meryl Streep e Emma Stone. Donne di talento che coinvolgeranno un nuovo pubblico.

Grandi aspettative.

Sì. So che la sceneggiatura si concentrerà molto sulla seconda parte del romanzo, quella in cui le scelte diventano più difficili. Sarà molto brillante.

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