Rebecca libri

Santi librai

di Claudio Calzana

Dopo aver svelato che i professori di santi patroni ne hanno ben tre, mi è venuto l’uzzolo di sapere quale martire protegge i librai, mestiere tanto bello quanto esposto a venti e procelle. Bene, anche in questo caso un santo non basta, visto che sono due i martiri che si contendono la categoria. Il primo, san Giovanni di Dio, vanta una storia invero curiosa: nel corso di una vita a dir poco rocambolesca, che lo vede tra l’altro aprire una libreria a Granada a inizio ’500, il futuro santo a un certo punto viene rinchiuso in manicomio, e non è chiaro se i due eventi siano in qualche modo collegati. Fatto sta che proprio in manicomio si rende conto di quanto siano terribili le condizioni dei degenti, al punto che, una volta uscito, se ne prende cura con metodi innovativi, che qualcuno paragona alle più recenti pratiche psicoanalitiche, niente meno.

E l’altro santo? Ecco, l’altro è Lorenzo, proprio quello del 10 agosto, data che il Pascoli – chi non lo ricorda? – tratteggia così: «San Lorenzo, io lo so perché tanto | di stelle per l’aria tranquilla | arde e cade, perché sì gran pianto | nel concavo cielo sfavilla». Firmamento a parte, nella versione più accreditata san Lorenzo viene martirizzato su una graticola, tanto è vero che nei dipinti il santo si porta sempre dietro la griglia, a richiamare la sua terribile fine. Mentre san Giovanni di Dio, che si festeggia l’8 marzo, è prevalentemente rappresentato nell’atto di portare sulle spalle un bisognoso, sostenendosi a un bastone, mentre un angelo lo aiuta nell’impresa. Giovanni era talmente caritatevole che in molti lo seguirono: l’ordine religioso è quello dei Fratelli Ospedalieri, meglio noto come Fatebenefratelli, un nome che è insieme un programma e una scelta di vita.

Eccoci al punto: se tanto mi dà tanto, i librai – quelli degni del nome e della stima, s’intende – proprio come Giovanni si portano sulle spalle quei matti dei lettori, dispensando loro consigli e volumi capaci di rendere migliore la vita, o perlomeno di attenuarne la risacca; sullo sfondo, terribile profezia nel segno di Lorenzo, la graticola di un mercato che promuove i titoli più sciatti, magnifica figure di secondo piano, esalta astrusi imbrattacarte come geni del tempo che ci tocca. Guai se l’editoria promuovesse testi e autori che svegliano il lettore, titillano sinapsi, maltrattano il mediocre e l’ordinario. L’intento è chiaro: il lettore va tenuto nella sua bambagia di ignorante, sennò poi non abbocca più all’amo dei titoli più sciapi, e il fatturato principe va a farsi benedire. In gergo si chiama flusso di cassa, è la regola aurea che regge il sistema: ricorda lo squalo che, se smette di nuotare, non riesce a respirare, tanto che per dormire deve trovare un angolino in favore di corrente, altrimenti semplicemente muore.

Già, ma come uscire dal busillo? Per conto mio ho fatto una scelta semplice e assoluta, magari estrema, che vi svelo in tre passaggi: punto primo, non acquisto né leggo novità librarie, quand’anche di autori un tempo amati et venerati; due, evito scientemente tutto quel che viene promosso dal mercato, più se ne parla, più mi astengo e scanso; tertium, leggo solo quel che è uscito minimo 30, meglio 50 anni fa, e oltre, fino a pescare tra classici e sempreverdi di secoli lontani Basta così poco per salvarsi? No, è solo il primo passo, ma pur sempre il più difficile e rischioso.


Siccome ogni regola ha le sue brave eccezioni, ecco la mia recensione a L’uomo che rovinava i sabati, romanzo di Alan Poloni, guarda caso libraio e scrittore.

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