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Psicoanalisi per librai

Stefano Bolognini - psicoanalista - delinea le cinque regole auree per far felici i lettori

Riprendiamo parte dell’intervento che lo psicoanalista Stefano Bolognini ha tenuto all’ultima edizione del Seminario di perfezionamento della Scuola per librai “Umberto e Elisabetta Mauri”.

1. Evitare possibilmente la relazione «alto-basso».
In molti casi il libraio è oggetto di un transfert del tipo: «adulto (che sa) bambino (che non sa e che dunque è costretto a chiedere)». È molto importante che il libraio percepisca se la richiesta è rivolta con fastidio per questa temporanea micro-dipendenza o se al contrario il cliente gradisce di essere consigliato e «nutrito» (attraverso il consiglio tecnico) dalla persona competente.
Ovviamente, nel primo caso conviene ridurre il peso di tale dipendenza (vedremo come), mentre nel secondo caso è da evitare viceversa un sentimento di «abbandono» nel cliente bisognoso.
2. Dare valore alla personalizzazione della richiesta.
Questo significa che la libreria non deve risultare simile a una mensa che tende a rifilare a tutti un menu standard, ma dovrebbe piuttosto concedere qualche secondo di interlocuzione in favore del cliente per confortare la sensazione che qualcuno sia disponibile a «cucinare qualcosa di speciale per lui».
Questo riguarda, ovviamente, soprattutto il paziente sperduto che cerca un suggerimento o un’indicazione, che non è in contatto con i propri bisogni e sente di volere qualcosa, ma non sa bene che cosa.
3. Comunicare il fatto (vero!…) che in un libro c’è un mondo.
Per alcune persone un libro è un insieme rilegato di carta stampata; per altri, è la porta su un mondo che si dispiega nella mente dei lettori, veicolandovi scenari, temperature emotive, colori, storie, relazioni, e comunque parti già sperimentate o solo potenziali del proprio Sé.
Il libraio somministra qualcosa che può avere gli effetti trasformativi di un farmaco o, come dicevo, di un alimento; non dico che ad esso si dovrebbe accludere un “bugiardino” (compresa la descrizione degli effetti collaterali: l’ultimo libro che ho letto «Montenegro» di Bato Tomasevic, mi ha tenuto in una condizione piuttosto alterata di commozione per una intera settimana…), ma la seconda e la quarta di copertina possono essere intese come qualcosa di analogo.
Un libro può essere qualcosa che ti cambia la vita, o per lo meno che la arricchisce potentemente: è un mondo interno di altri che si mescola con il nostro e lo trasforma.
La libreria come farmacia della mente, come ristorante dello spirito, come officina delle idee, come apertura di porte su laboratori, giardini segreti, cattedrali silenziose, fiere di paese, stanze private, e via dicendo.
Ma io so che i librai queste cose le sanno, e sono certo che svolgono il loro lavoro più che altro per questo, oltre che per avere una professione che consenta loro di guadagnare e di vivere.
4. La dimensione «Timeless».
A differenza dei compratori su Internet, che di solito compiono acquisti ultra-mirati e programmati, e che non vogliono intermediari di sorta tra loro e l’acquisto, quelli che si rivolgono alla libreria abbisognano di una paradossale situazione: da un lato richiedono competenza, efficienza commerciale e rapidità nell’esaudire le aspettative del cliente; dall’altro, sembrano entrare viceversa in una dimensione «senza tempo», dove il vagabondare esplorativo tra un banco e l’altro induce a perdere il senso del tempo.
Per comprendere meglio questa realtà soggettiva dell’esploratore di libreria, è utile rifarsi alle sensazioni dell’infanzia quando non si era a scuola e ci si abbandonava al gioco o comunque a momenti sospesi, senza tempo appunto.
La libreria – consentitemi un altro paragone apparentemente incongruo – può diventare qualcosa di analogo a un campeggio estivo, nel quale il tempo è scandito più da movimenti interni che da ritmi coscienti esterni: l’orologio, in libreria, perde la sua centralità, e questo va bene.
Si regredisce al punto giusto, e le difese si allentano, consentendo alla curiosità e al desiderio di emergere dal magma del non sentito e del non pensato (o non pensabile, fino a che non si crea la situazione adatta). Secondo me in nessuna libreria dovrebbe esserci alla parete un orologio.
5. L’importanza della dedica.
E per finire, un dettaglio che non dovrebbe mancare: un libro destinato a costituire un dono dovrebbe sempre essere accompagnato da una dedica, non dovrebbe mai essere «sbolognato» anonimamente come un oggetto di pura rilevanza quantitativa.
Il destinatario del libro sta per ricevere qualcosa di potenzialmente molto significativo: è consigliabile che chi lo regala gli manifesti qualcosa di più personale e «pensato» che non la semplice consegna di un pacchetto più o meno costoso. Non so come si potrebbe favorire l’usanza della dedica, ma so che si dovrebbe.

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