La centralità di Pier Vittorio Tondelli
Ci sono diverse ragioni che spingono a valorizzare la scrittura e l’opera di Tondelli, un autore centrale nel panorama letterario degli anni ottanta e fondamentale per una riflessione sulla letteratura più vicina a noi, compresa quella di oggi. Non è un caso che uno degli studi più accurati disponibili sul romanzo italiano degli ultimi decenni, dovuto alla penna di Elisabetta Mondello, si intitoli In principio fu Tondelli (Milano, il Saggiatore, 2007). “Tondelli, ormai è innegabile,” scrive Giuseppe Antonelli, “rappresenta un punto di svolta. Sia nel suo marcare una netta distanza (soprattutto psicologica, invero) rispetto al passato più prossimo, sia nell’aprire una strada nuova al romanzo” (Lingua ipermedia. La parola di scrittore oggi in Italia, Lecce, Manni, 2006, p. 56).
La contemporaneità e le sfide della letteratura
La prima caratteristica di Tondelli è quella di essere e di apparire subito come uno scrittore moderno, anzi contemporaneo. Basti pensare alla sua vita, segnata da una continua mobilità, intellettuale prima ancora che fisica, e animata da una sincera e aperta curiosità per le varie forme di espressione artistica, e per gli inediti risultati che scaturiscono dalla contaminazione tra i diversi ambiti artistici e culturali (la letteratura con le arti figurative, con il rock, con il cinema: all’insegna dell’idea di una sorta di “arte totale”): interessi tutti ampiamente documentati da quella piccola enciclopedia sugli anni ottanta che è Un weekend postmoderno.
Lo scrittore emiliano è stato anticipatore in fieri, in una direzione tutta postmoderna, della tendenza della nuova narrativa (tendenza che sarà tipica negli anni novanta e successivi) alla contaminazione reciproca tra i diversi generi e all’ibridazione con gli altri linguaggi, compresi quelli non letterari.
Ma conviene tornare, in questo senso, all’esempio e all’insegnamento originario di Tondelli, perché non sempre gli scrittori che hanno proseguito quest’opera di intersezione tra i linguaggi hanno dimostrato di possedere la consapevolezza, che in lui era ben salda, dell’alterità e dell’insostituibilità della scrittura e del fare letterario. La letteratura sembra oggi versare in una profonda crisi, rischiando di autoconfinarsi in una posizione di subalternità ai nuovi linguaggi (quelli dei media e dei new media, per esempio) e dunque di diventare superflua, esaurendo completamente il suo potenziale emozionale e conoscitivo.
Da questa situazione potrebbero nascere due ipotetiche e contrapposte configurazioni di quella che dovrebbe essere la migliore scelta di poetica per scrittori, come quelli che operano oggi, alle prese con la pervasività dei linguaggi non letterari. Si potrebbe reagire, come azzarda Marino Sinibaldi, “mescolando le lingue, provando a inglobarle in quella della scrittura letteraria o viceversa enfatizzando il proprio linguaggio, la propria tradizione e qualità, esaltando la ‘distinzione’ della letteratura o valorizzando, del romanzo, le potenzialità
d’ibridazione, l’infinita capacità di metamorfosi e contaminazione” (Pulp. La letteratura nell’era della simultaneità, Roma, Donzelli, 1997, p. 90). Se rimarcare la propria specificità rischia di portare a un irrigidimento autoreferenziale del fenomeno letterario, fino a renderlo incapace di una fattiva comunicazione con la società, la mescidazione dei linguaggi (che pure si configura, apparentemente, come l’opzione più accattivante), se portata alle estreme conseguenze, finirebbe con il produrre, alla lunga, una sostanziale irrilevanza della letteratura stessa. Rileggere Tondelli serve anche a trovare una soluzione, diversa nelle diverse fasi del suo lavoro di scrittore, e perciò ancor più stimolante, a questo problema cruciale della lingua e dello stile della narrazione.
La condizione omosessuale: una nuova visione
Tuttavia la modernità (o postmodernità) di Tondelli non si esaurisce sul mero piano stilistico, ma coinvolge, e molto significativamente, quello della vita e, potremmo dire se il vocabolo non rischiasse di suonare troppo generico, del costume. Consideriamo anche solo il modo disinibito, libero da ogni pruderie o understatement, con cui affronta, in quasi tutti i suoi libri, la tematica omosessuale.
In questo, Tondelli marca una distanza abissale rispetto agli autori italiani delle due generazioni precedenti. Nella letteratura italiana del Novecento l’omosessualità era stata oggetto di rimozione e di sostanziale censura, e in certi casi di autocensura da parte degli stessi scrittori: da Aldo Palazzeschi a Carlo Emilio Gadda, da Giovanni Comisso a Umberto Saba, da Giovanni Testori a Sandro Penna. Significativo è il caso di Pier Paolo Pasolini, il quale, pur non facendo mistero del proprio essere omosessuale, non pubblica in vita Atti impuri e Amado mio, i suoi due testi più espliciti sull’argomento (insieme al romanzo incompiuto Petrolio, al quale lo scrittore stava lavorando al momento della morte), che saranno editi postumi (nel 1982), proprio come l’Ernesto di Saba (uscito soltanto nel 1975).
I frutti del cambiamento nel costume sociale indotti dalla rivoluzione sessuale tra gli anni sessanta e settanta appaiono invece maturi nella produzione letteraria degli anni ottanta, a partire proprio dai libri di Tondelli (ai quali seguiranno quelli di Aldo Busi). Il personaggio omosessuale diventa d’ora in poi protagonista a pieno titolo di romanzi e racconti. L’“amore che non osa dire il suo nome” (come alla fine dell’Ottocento lo definiva Oscar Wilde, condannato a due anni di carcere per la sua relazione con lord Alfred Douglas) finalmente può gridare se stesso a gran voce.
L’essere contemporaneo di Tondelli, a questo proposito, sta proprio nel rappresentare la condizione omosessuale (nelle diverse fasi della vita: università, servizio militare, età matura) nei termini di una quotidiana normalità, senza che per questo, però, vengano negati o anche solo sottaciuti i problemi, sociali e psicologici, che essa continuava a comportare nel contesto di quegli anni.
Lo sguardo sugli anni ottanta
Il sottotitolo di Un weekend postmoderno, Cronache dagli anni ottanta, sottolinea, consapevolmente, un altro aspetto importante dell’opera di Tondelli: il destino di coprire – di aprire e di chiudere – l’intero decennio. Emblematiche da questo punto di vista sono le date: 1980, pubblicazione di Altri libertini (il primo libro di narrativa), e 1989, Camere separate (l’ultimo). La riflessione di Tondelli su questo decennio è quindi quella di un protagonista che, con un’intensità di vita e di esperienze straordinaria, inizia ed esaurisce in quegli anni il
proprio essere scrittore e intellettuale.
Della letteratura, e prima ancora del dibattito culturale, degli anni ottanta Tondelli rappresenta bene una tendenza caratteristica: il deciso rifiuto delle ideologie, dopo le abbuffate politicoideologiche tra Sessantotto e Settantasette, e di una letteratura necessariamente “impegnata”, a vantaggio di tematiche individuali, private, minimaliste. Ciò non è stato del tutto digerito dai settori più convenzionali di una certa critica orientata a sinistra, che ha pretestuosamente attaccato Tondelli (salvo poi ricredersi dopo la sua morte) accusandolo di qualunquismo, quando non addirittura di simpatia verso modi di pensare sostanzialmente di destra. In realtà, la sua non è stata una posizione qualunquistica, bensì una scelta meditata, forse sofferta, senz’altro consapevole.
Il valore progressivo della sua opera, nonostante questo, è del tutto evidente (si pensi anche solo al contributo offerto con i suoi libri alla questione dei diritti degli omosessuali), e più pregnante che in molti scrittori apertamente schierati. Del resto, non è forse un programma politico, ma è certamente un impegno morale quello delineato dallo stesso Tondelli: “Far scoprire cosa significa seguire la propria natura e il proprio istinto, saper essere sinceri con se stessi e pieni di desiderio e di voglia di amare e di cambiare il mondo, anche se io non posso dire in che modo” (Fulvio Panzeri – Generoso Picone, Tondelli. Il mestiere di scrittore. Una conversazione autobiografica, Ancona, Transeuropa, 1994, p. 58). A ogni modo, si può essere d’accordo con un recensore d’eccezione quale Massimo D’Alema, che, all’apparire del volume d’esordio di Tondelli nel 1980, scriveva: “Altri libertini è un libro ‘politico’. Se non altro perché l’esperienza giovanile che racconta svela una ‘mancanza’ di politica o, se si preferisce, una crisi della politica” (Massimo D’Alema, Ma non sono tutti così, ne “L’Espresso”, 10 febbraio 1980).
Dall’Italia all’Europa (e ritorno)
Altro suo tratto distintivo è quello di essere uno scrittore molto italiano. I suoi romanzi sono per lo più ambientati in Italia: a Bologna, a Milano, a Roma, a Rimini, nella provincia. I continui viaggi e spostamenti dei personaggi, in Italia ma anche all’estero, testimoniano un’inquietudine che è tipica di molti (giovani) italiani e che si declina nella dialettica provincia/metropoli, periferia/centro, Italia/Stati Uniti, Italia/Europa, cioè tra desiderio di fuga e richiamo delle origini (motivo, quello del bisogno di ritornare “a casa”, particolarmente presente in Camere separate).
Tondelli è però, al tempo stesso, uno scrittore profondamente europeo: l’Europa del Nord è spesso, per i suoi personaggi, un mito al pari dell’America per quelli dei romanzi di De Carlo. Nei libri di Tondelli la scena si sposta di frequente nelle grandi capitali europee: Londra, Berlino, Madrid. Non è un caso la fortuna europea dei suoi libri (tradotti in francese, tedesco, spagnolo, inglese). L’incidenza, decisamente maggiore (anche solo sul piano quantitativo), dell’ambientazione delle trame dei libri fuori dai confini patri è un altro tratto di novità degli autori italiani della sua generazione. Formatosi in una cultura fortemente legata alla provincia, Tondelli compie a un certo punto il salto verso una visione cosmopolita.
Anche questa, in realtà, è una fuga. Parlando del suo rapporto con Milano, Tondelli spiegava di esservisi trasferito non perché l’amasse particolarmente, ma perché questa città “era in grado di garantirgli quella sorta di anonimato, quella possibilità di passare ‘straniero’ tra gli altri, in una sorta di scudo protettivo, contro invece la indebita intromissione che avviene nella provincia da cui proveniva o in tutte le province, dove tutto è più controllato e limita le scelte individuali” (cito da un testo inedito di Fulvio Panzeri, dal titolo Il rapporto tra Tondelli e la città, gentilmente messomi a disposizione dall’autore).
Per Enrico Palandri le due strade percorse da Tondelli nei diversi momenti della sua vita (e della sua scrittura) equivalgono in fondo a due scelte esistenziali diverse, anzi opposte, ma nello scrittore di Correggio di fatto complementari: la strada “della partenza e quella del ritorno a casa, o più precisamente quella della sfida al perbenismo della provincia e quella del mimetismo doloroso e impossibile con le abitudini domestiche della famiglia di origine”. L’autore di Boccalone individua in Tondelli “la mescolanza di repressione e liberazione, la provincia e la fuga dalla provincia” come “intrecciate in un nodo irresolubile”. E aggiunge: “È in fondo una condizione eminentemente italiana, di un paese che non ha un grande centro dove andare a essere altro da ciò che si era. […] Pier sembra trasmettere un incoraggiamento alla presa di potere su se stessi che è antico, certo, ma che è anche la più bella eredità della contestazione sessantottina” (Enrico Palandri, Pier. Tondelli e la generazione, Roma, Laterza, 2005, pp. 90-91).
Letteratura come emozione
Tondelli è poi uno scrittore profondamente emozionale, ed è lui stesso a definirsi così: “La mia letteratura è emotiva, le mie storie sono emotive; l’unico spazio che ha il testo per durare è quello emozionale” (L’abbandono. Racconti dagli anni ottanta, a c. di Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani, 1993, p. 7).
Questa scelta, o vocazione o destino, lo porta spesso, soprattutto nelle prime prove, a un’irruenza emotiva e di conseguenza verbale, che potrebbe talora sembrare andare a scapito del controllo stilistico. Per quanto ci si possa chiedere se lo slang del primo Tondelli non sia frutto di una raffinata e scaltrita operazione sulla lingua, è chiara ed evidente la distanza, non qualitativa ma determinata da una netta scelta di campo, che separa le sue pagine da quelle di un Daniele Del Giudice (per citare un bravo romanziere a lui contemporaneo), con le loro atmosfere rarefatte in cui si accampano “sorrisi leggeri, saluti rapidi, […] domande appena pronunciate” (Daniele Del Giudice, Atlante occidentale, Torino, Einaudi, 1985, p. 78), “frasi leggere e veloci” (ibi, p. 125), e in cui la precisione delle scelte lessicali ha un che di rigorosamente scientifico (sul modello fornito dal magistero di Italo Calvino). A Tondelli invece piace avere “anche delle pagine un po’ sporche, un po’ materiche, un po’ grumose, come quando in un quadro si vede la materia, la pennellata, il gesto dell’artista” (Panzeri-Picone, op. cit., p. 44). A lui stanno a cuore “anche quelle pagine non proprio nitidissime o lavoratissime, che abbiano però in sé ancora la traccia del gesto della scrittura” (ibid.).
Le passioni rappresentate da Tondelli nei suoi libri sono forti, potenti, non giusto accennate o alluse. La scelta di campo per la letteratura emotiva, per la literature of power più che per la literature of knowledge (per utilizzare la terminologia usata da Tondelli, il quale a sua volta la mutuava dallo scrittore inglese Thomas de Quincey), lo porta in ogni caso a risultati di estrema intensità, un’intensità che non può non coinvolgere emozionalmente il lettore. La qualità che più segna la pagina tondelliana è proprio l’intensità, quella delle emozioni che riesce a trasmettere.
È un’intensità che deriva da un piacere. I libri di Tondelli sono evidentemente scritti nel piacere (o nella sofferenza, che per l’artista è condizione equivalente, ai fini creativi) dello scrivere e del raccontare: “C’è un piacere nel farsi vedere nudi, nell’esibire le proprie ferite o il proprio dolore” (Panzeri-Picone, op. cit., p. 37) Tondelli sperimenta su di sé, e fa sperimentare al lettore disponibile all’avventura estetica e conoscitiva, quel “piacere del testo” (da parte dello scrittore e da parte del lettore), quel piacere, quasi erotico, della scrittura di cui parla Roland Barthes: “Se leggo con piacere questa frase, questa storia o questa parola, è perché sono state scritte nel piacere (questo piacere non è in contraddizione con i lamenti dello scrittore)” (Roland Barthes, Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1975, p. 4).
Una produzione multiforme
Un’altra caratteristica dell’opera tondelliana è quella di sfuggire a tentativi di definizione troppo schematici. Tondelli ha scritto libri tutti piuttosto diversi l’uno dall’altro (nelle strutture, negli impianti narrativi, nei temi). Ciò è sembrato ad alcuni un segno di discontinuità, la prova dell’assenza di una solida identità artistica, il che comprometterebbe l’omogeneità della produzione tondelliana quando essa venga globalmente considerata. Tuttavia bisogna chiedersi se non si possa rovesciare tale giudizio, interpretando questa diversità di soluzioni come un’apprezzabile capacità di evoluzione, di superamento, come aperta possibilità di cimentarsi con tematiche, forme e stili diversi, e quindi come segno di vitalità creativa.
È vero: Tondelli si è cimentato con generi diversi, “dai racconti (Altri libertini) alla cronaca diaristica sul servizio di leva (Diario del soldato Acci), dal romanzo (Pao Pao, Rimini, Camere separate) al teatro (Dinner Party), dalla prosa poematica delle messe ascoltate in diverse parti del mondo (Sante Messe, rimasto in fase progettuale) a scritture private (Biglietti agli Amici)” (Monica Lanzillotta, Giganti e cavalieri di strada. Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, Ravenna, Longo, 2011, p. 5). Ma forse il senso dell’operazione tondelliana non è così scontato né lineare: sono probabilmente proprio questa complessità e questa capacità di cambiamento, che talora può essere mascheramento, travestimento, i tratti distintivi di un percorso in cui, a una lettura attenta, in grado di andare oltre le differenze tra un libro e l’altro, si possono cogliere diversi elementi di continuità, che danno sostanza a un nucleo originario e originale, sia sul piano tematico sia su quello stilistico.
Lo scrittore giovane
Un altro motivo che rende interessante la lettura dell’opera di Tondelli è il suo essere uno scrittore giovane che piace ai giovani (al di là, se possibile, di ogni retorica giovanilistica). E il gradimento di Tondelli da parte del pubblico giovanile ha continuato a persistere anche nei decenni successivi alla sua scomparsa.
Tondelli è sicuramente il leader dei cosiddetti giovani scrittori, non nel senso del “più bravo”, ma quale primus inter pares, in quanto catalizzatore di rapporti, per la sua capacità di stabilire e intrattenere contatti, per la sua rappresentatività, per la frenetica attività in molteplici campi. In quel gruppo di narratori artificiosamente costruito e compattato dai mass media a partire dal 1985, convivevano come in un grande calderone scrittori giovani (quali quelli cui abbiamo accennato nelle pagine precedenti: Palandri, De Carlo, Busi, ma anche Claudio Piersanti e Alessandro Tamburini, nati entrambi nel 1954) e meno giovani (tra cui Gianni Celati, n. 1937, Antonio Tabucchi, 1943-2012, Daniele Del Giudice, n. 1949, o anche Gesualdo Bufalino, 1920-1996, che aveva esordito sessantunenne nel 1981 con il romanzo Diceria dell’untore).
Tuttavia – come ha opportunamente osservato Fulvio Panzeri – questa omologazione tout court di Tondelli alla categoria del giovane scrittore comporta anche dei rischi: “La riflessione sull’attività di Tondelli è andata trasversalmente incrociandosi con i destini della ‘nuova’ narrativa italiana che si è sviluppata soprattutto negli anni ottanta. Tondelli ne è diventato un autore-simbolo. Se da una parte l’incrocio risulta legittimo e necessario, dall’altra sembra aver limitato una progressiva e sempre più autonoma considerazione della sua singolarità di scrittore. In pratica si tratta di lasciar libero Tondelli dalla gabbia restrittiva degli anni ottanta, intesi come unica chiave interpretativa” (Fulvio Panzeri, Il paesaggio come tentazione, in Generoso Picone – Fulvio Panzeri – Massimo Raffaeli, Paesaggi italiani, a c. di Angelo Ferracuti, Ancona, Transeuropa, 1994, pp. 67-102: 87-88). Da qui la necessità di riscoprire la fisionomia specifica e autentica della sua opera. Oltre a essere giovane (nel 1980, l’anno del suo esordio letterario, ha venticinque anni), Tondelli è uno scrittore particolarmente letto dai giovani, di cui, soprattutto nei primi due libri, rappresenta la vita, i problemi, le ansie, le frustrazioni, gli entusiasmi.
In questo senso si può dire che è uno scrittore generazionale. Quelli di Tondelli sono, per utilizzare il titolo di un saggio di Renzo Paris, dei veri “romanzi di culto” (Romanzi di culto. Sulla nuova tribù dei narratori e sui loro biechi recensori, Roma, Castelvecchi, 1995).
Sempre a proposito del rapporto di Tondelli con il mondo e la cultura giovanili, va ricordata la sua ricerca letteraria sulla scrittura dei ragazzi nel progetto Under 25, grazie a cui parecchi giovanissimi autori hanno potuto pubblicare i propri lavori (alcuni di loro hanno poi proseguito con successo la carriera letteraria). Si trattò di un’iniziativa quasi unica nel contesto letterario italiano degli anni ottanta, che ha avuto il merito di aprire ulteriormente un mercato editoriale ancora poco penetrabile dall’esterno e che testimonia l’importanza di Tondelli, oltre che come scrittore in proprio, anche come organizzatore di cultura: per Giuseppe Culicchia o Silvia Ballestra Tondelli è stato importante quanto Calvino lo è stato per Del Giudice o De Carlo. Insomma, un vero e proprio maestro.
[A gennaio è uscito per Bompiani il volume di Roberto Carnero, Lo scrittore giovane. Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana. Carnero vi ripercorre la vita e le opere di Tondelli, individuando le ragioni della sua influenza sulla nuova narrativa italiana, dagli anni ottanta in avanti. Il pezzo qui pubblicato è un estratto dal terzo capitolo].