Rebecca libri

Bibbia e letteratura, Vincenzo Arnone, Studium, 2015

Abstract

Bibbia e letteratura: un binomio che parte da molto lontano, nella storia che ha fatto la nostra civiltà e la nostra cultura, e che si confonde con la scientificità degli antichi Padri, dei Cantori, dei Filosofi e la fantasia dei Poeti, dei Narratori, degli appassionati di sacre rappresentazioni. Quel che rimane e rimarrà della Parola di Dio e della parola dell’uomo che vuole accostarsi, calato nella sua storia, alle pagine bibliche. Il volume analizza grandi opere letterarie di tutti i tempi che hanno preso lo spunto dalle pagine bibliche, nella passione, nell’estasi, nell’inquietudine, nella lotta spirituale, negli ambiti insomma che sono vitali per l’uomo. Quella poesia dell’infinito, dei grandi spazi, del tempo immemorabile, delle vuote latitudini, delle solitudini attraversate da voci che colloquiano con Dio, che aprono le primissime pagine bibliche, si riversano in opere di poesia, di narrativa, nate nell’animo, nel cuore e nella fantasia di grandi scrittori.
In tal senso il volume, seguendo la classica divisione biblica – Antico e Nuovo Testamento – ripercorre Il paradiso perduto di John Milton, il ciclo de Le storie di Giuseppe di Thomas Mann, Il trittico romano di Giovanni Paolo II, Giobbe di Joseph Roth, fino ad arrivare ai romanzi sulla vita di Cristo e alle suggestive visioni dell’Apocalisse. È un modo – saggistico-letterario – per dimostrare quel che affermava Julien Green: «Soltanto la Bibbia è eternamente giovane, come un torrente di montagna che rotola da migliaia di anni».

 

Estratto

I. Il grande codice

 

Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore, per vocazione pellegrino della specie più misera, errante di luogo in luogo. I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso con un po’ di pan secco e, nella tasca interna del camiciotto, la Sacra Bibbia. Null’altro.

Racconti di un pellegrino russo

 

Soltanto la Bibbia è eternamente giovane, come un torrente di montagna, che rotola da migliaia di anni. Non soltanto essa è più giovane d’ogni altro libro, ma più recente, in testa a tutto ciò che si possa mai scrivere. L’uomo che scriverà tra mille anni è già in ritardo nei suoi confronti.

Julien Green, Journal

 

E voi de’ figli dolorosi il canto,
voi dell’umana prole incliti padri,
lodando ridirà; molto all’eterno
degli astri agitator più cari, e molto
di noi men lacrimabili nell’alma
luce prodotti. Immediati affanni
al misero mortal, nascere l pianto
e dell’etereo lume assai più dolci
sortir l’opaca tomba e il fato estremo,
non la pietà, non la diritta impose legge del ciel…

Giacomo Leopardi, Inno ai Patriarchi

 

Al tempo in cui tenevo i Corsi su Letteratura di ispirazione cristiana del Novecento nelle Facoltà teologiche di Firenze e di Palermo, mi rendevo conto di come dovesse essere molto importante e determinante, in un corso del genere, approfondire la tematica della dimensione letteraria della Bibbia o del rapporto letteratura-Bibbia.
Fin troppo scontata l’idea che si sa tutto o quasi della Bibbia, in ambienti religiosi, ecclesiastici o comunque culturali… Se val bene la concezione secondo cui la Bibbia equivale a una lunga lettera di Dio all’uomo, da leggere e da ascoltare con umiltà e fede, tuttavia tale lettera ha un variegato ventaglio di caratteristiche storiche, letterarie, ambientali che, per un cristiano (o no) amante della cultura biblica, è necessario aprirsi a varie suggestioni come a stimoli che aiutano a comprendere meglio tutta la Parola di Dio.
Fui perciò preso, poco alla volta, da un sacro furore di accostarmi a tale mondo biblico culturale-letterario che mi consentisse di leggere la doppia, tripla, quadrupla… realtà della Sacra Scrittura; una sfaccettatura a più forme e colori che compone una unità meravigliosa e divina, in un orizzonte storico e perenne proiettato verso un progetto di Salvezza, concepito nella mente di Dio, fin dall’eternità.
Andavo pensando a una dimensione letteraria della Bibbia sotto due aspetti, in maniera del tutto principale: il valore letterario soggettivo, intrinseco alla Bibbia, e il valore letterario oggettivo, cioè le opere letterarie nate sotto lo stimolo delle pagine bibliche; l’uno e l’altro richiamantisi e confusamente coinvolgenti come causa ed effetto di opere altamente poetiche.
In primis pensavo alla Bibbia come al “Grande Codice dell’arte”, al dire di Blake1, che contiene in sé suggestioni poetiche e letterarie, indipendentemente da altri libri orientali o coevi. Pensavo alla Bibbia come a un Libro verso cui, secondo Northrop Frey, «un approccio letterario non è in sé illegittimo, nessun libro avrebbe potuto esercitare un’influenza letteraria così specifica senza possedere esso stesso delle qualità letterarie. Ma è oltretutto ovvio che la Bibbia è ‘più’ di un’opera di letteratura, qualsiasi cosa questo ‘più’ possa significare»2.
Pensavo alla Bibbia come un Grande Contenitore di poesia che, nell’arco dei suoi 72 libri, riporta il lettore a rivedere tutti gli aspetti della storia e della vita come uno specchio che mette a nudo se stessi.
Pensavo alla Bibbia come al Cammino di Dio tra le strade dell’uomo, con tutte le sue conseguenze: la pace e l’inquietudine, la mistica e l’imprecazione…
Pensavo alla Bibbia come al “Discorso su Dio”, alla Teologia, da cui non si può prescindere; e di conseguenza al rapporto primordiale tra letteratura e teologia, come al primo anello da cui partire per continuare a intrecciare una corona di parole tanto lunga quanto preziosa, secondo quanto già Giovanni Boccaccio scriveva, tra l’altro, nella sua Vita di Dante, in merito a questa tematica: «Dico che la teologia e la poesia quasi una cosa si possono dire, dove uno medesimo sia il soggetto; anzi dico di più: che la teologia niuna altra cosa è che una poesia di Dio. E che altra cosa è poetica fizione nella Scrittura dire Cristo essere ora leone e ora agnello e ora vermine, e quando drago e quando pietra, e in altre maniere molte, le quali volere tutte raccontare sarebbe lunghissimo? che altro suonano le parole del Salvatore nello evangelio, se non uno sermone da’ sensi alieno? Il quale parlare noi con più usato vocabolo chiamiamo allegoria»3.
La grande cultura filosofica e umanistica, non da ora, si è interessata a tale rapporto. Nella storia del cristianesimo, da quando, alla morte degli apostoli, la nuova fede si è dovuta confrontare con varie culture e religioni preesistenti, diversi Padri della Chiesa – quelli che avevano una grande responsabilità di pastori delle chiese e quelli che erano poeti e scrittori in proprio: Agostino, Basilio il grande, Gregorio Nazianzeno, Gregorio di Nissa, Ambrogio, Girolamo, Giovanni Crisostomo, Giustino, Policarpo, Efrem… – ebbero modo di affrontare il problema con i metodi che la cultura preesistente forniva loro: Platone, Aristotele, Socrate, la filosofia greca, la tradizione giudaica. Rilessero la Bibbia, prevalentemente, ma non esclusivamente in chiave allegorico-spirituale, sottolineando, non di rado, gli aspetti letterari, poetici. In opere sistematiche o per lo più occasionali – omelie, discorsi pronunciati nei ritmi dell’anno liturgico – i Padri della Chiesa si resero testimoni della Parola, in maniera forte e determinante. Educati per lo più alla cultura del mondo greco-romano, non rifiutarono tutto in blocco gli autori precedenti, ma cercarono di travasare nei loro scritti il “vino nuovo” della Rivelazione. Di particolare incidenza e importanza, in tale senso, sono stati i Cappàdoci – S. Basilio Magno, S. Gregorio Nisseno, S. Gregorio Nazianzeno –, vere colonne della Chiesa nel secolo IV (già così ricco di personalità straordinarie con S. Agostino, S. Girolamo, S. Ambrogio… da potere essere definito il secolo d’oro della Patristica, come in campo artistico-poetico lo sarà successivamente il 1400 in Italia). S. Basilio, oltre a numerose opere teologiche, scrisse anche un opuscolo Oratio ad adulescentes, occasionato dalla richiesta fatta a lui dai suoi nipoti e da altri giovani su come comportarsi dinanzi a pagine di classici greci e romani che non di rado contenevano tematiche contrarie alle Sacre Scritture; l’eterno problema dell’incontro-scontro tra cristianesimo e cultura pagana o altre religioni. Il Santo, memore dei suoi studi classici a Cesarea e ad Atene, non proibisce ai giovani di leggere gli scrittori pagani, ma li esorta a non leggerli supinamente, acriticamente e spiega e motiva: «Se vi è qualche affinità reciproca fra le due dottrine (quella pagana e quella cristiana) la conoscenza di ambedue non potrà che essere utile, se poi non c’è affinità, il fatto però di metterle a confronto e riconoscerne la differenza aiuterà non poco a confermarci nella migliore. Ma a che cosa possiamo paragonare i due insegnamenti per averne un’immagine? Ecco: come è virtù propria di una pianta ricoprirsi di frutti della stagione, e ne formano un certo ornamento anche le foglie che sui rami stormiscono, così anche per l’anima il frutto precipuo è la verità, e tuttavia non è affatto sgradevole che si rivesta di sapienza profana come di foglie che offrono riparo al frutto e una vista gradita»4.
Una visione aperta, moderna che intende superare tante difficoltà ed eccessive preoccupazioni, nell’ambito di una cultura in costante evoluzione.

 


1 N. Frye, Il grande codice, la Bibbia e la letteratura, Einaudi, Milano 1986, p. 9.
2 Ibid.
3 G. Boccaccio, Vita di Dante, Moretti e Vitali, Bergamo 2001, p. 81.
4 Basilio di Cesarea, Discorso ai giovani, a cura di M. Naldini, EDB, Bologna 1990, p. 89.

 

 

Bibbia e letteratura | Vincenzo Arnone | Studium | 2015 | pp. 280 | euro 19,50