Cari comunicatori sociali: non fatevi frenare dall’autovelox
Recensione di “Comunicare vuol dire fiducia” di Fabrizio Minnella, responsabile comunicazione di Fondazione con il Sud e dell’impresa sociale Con i Bambini: «La comunicazione per definirsi sociale deve generare cambiamento ovvero generare processi di trasformazione sociale e culturale della società». Un invito a tutti i comunicatori sociali a osare anche in modo provocatorio
a tesi di fondo del saggio “Comunicare vuol dire fiducia” di Fabrizio Minnella, responsabile comunicazione di Fondazione con il Sud e dell’impresa sociale Con i Bambini (14 euro, Rubbettino), è che la comunicazione per definirsi sociale deve generare cambiamento ovvero «generare processi di trasformazione sociale e culturale della società». Un postura, che VITA condivide fin dal sua genesi, fondata su un patto con i soggetti sociali membri del comitato editoriale, che parte da due premesse. La prima: «La comunicazione sociale deve provocare una reazione, anche minima, ma di senso positivo». La seconda collegata alla prima: «La comunicazione sociale o è partecipativa o non è comunicazione sociale». Questo nella teoria. Perché poi le cose accadono diversamente. Minnella con lucidità fin dalle prime pagine mette il dito nella piaga: «…Mentre si sottolinea da più parti la valenza politica, nel senso più ampio e bello del termine, del Terzo settore come attore di cambiamento, dall’altro si alimenta una “narrazione” distante da questa visione…non c’è la volontà di nessuno di creare un cortocircuito. Semplicemente siamo molto assorbiti dal “fare” (cioè entrare operativamente nel vivo delle questioni sociali) e dal “fare rete” (cioè alimentare e rafforzare relazioni funzionali a uno scopo) che perdiamo di vista la centralità strategica del “comunicare” e del costruire o rafforzare “alleanze di senso”.
Minnella non solo parla in prima persona, ponendosi dentro il problema, ma accompagna ogni considerazione, spesso critica, con esempi di esperienze dirette o comunque con proposte concrete.
Ma veniamo ai nervi scoperti della narrazione sociale.

Il primo è l’effetto “autovelox”. Come gli automobilisti che si rallentano ben più del dovuto avvicinandosi ai rilevatori di velocità, così le organizzazioni sociali privilegiano «l’aspetto eccessivamente prudente, più che rassicurante, rispetto a quello provocatorio, ben inteso non fine a se stesso, ma nel senso stretto del termine, cioè finalizzato a indurre, provocare una reazione: anche il semplice riflettere sul messaggio, il che sarebbe già un bel traguardo».
Secondo: produrre cambiamento senza narrazione non è possibile. Il “fare” non basta. Scrive Minnella: «L’esperienza mi porta a distinguere almeno tre diverse relazioni esistenti tra la comunicazione e l’innovazione sociale, e in senso più ampio con il cambiamento. Comunicazione intesa come azione per veicolare o promuovere un’innovazione sociale. Come azione per favorire o stanare un’innovazione sociale. Come azione di innovazione sociale, ovvero la comunicazione stessa rappresenta un’innovazione sociale».
Terzo: la comunicazione sociale non può essere episodica o concentrata in concomitanza con eventi o notizie istituzionali. Al contrario «deve essere simile a un flusso comunicativo più o meno intenso, ma costante nel tempo». Da qui l’importanza di non mettere l’accento tanto sul prodotto o il servizio, quanto sul processo: «Dichiarare che il prodotto o il servizio è realizzato da una non profit non è sufficiente per giustificarne l’acquisto a maggior ragione se ci posizioniamo su una fascia di prezzo medio-alta. La natura sociale è qualcosa che ci differenzia da tutti gli altri, ma non può essere soltanto esplicitata, deve essere raccontata».
Quarto: non si comunica da soli: «Impostare, a monte, una comunicazione “partecipativa”, cioè tracciare un processo capace di attivare e coinvolgere stakeholder e pubblico, utenti, cittadini non rappresenta un vezzo o una virtù, ma è funzionale ad aumentare il potenziale impatto comunicativo», propone Minnella.

Nel saggio a partire da questi quattro punti Minnella sviluppa una solida teoria della comunicazione sociale analizzando l’uso (e il cattivo uso) da parte dei soggetti sociali dei testimonial, dei social network fino ad arrivare all’intelligenza artificiale proponendo al lettore chiavi di lettura di grande interesse.
Chiudiamo prendendo a prestito qualche riga dalla prefazione del presidente di Fondazione con il Sud, Stefano Consiglio che ben riassume il filo rosso che lega assieme le pagine di “Comunicare vuol dire fiducia”: «Secondo Minnella la comunicazione non può essere considerata una funzione di staff in un’organizzazione del Terzo settore, ma un’attività fondamentale insieme a quelle di erogazione del servizio o dei prodotti. Senza comunicazione l’organizzazione di Terzo settore non è in grado di svolgere il ruolo generativo e realizzare il cambiamento».
In foto il progetto “Santi Paduli”, sostenuto dalla Fondazione Con il Sud e coordinato da Lua– Laboratorio Urbano Aperto
Comunicare vuol dire fiducia | Fabrizio Minnella | Rubbettino | 2025 | pagine 160 | euro 14.00
Le immagini che corredano gli articoli del Pensare i/n Libri sono immagini già pubblicate su internet. Qualora si riscontrasse l'utilizzo di immagini protette da copyright o aventi diritti di proprietà vi invitiamo a comunicarlo a info@rebeccalibri.it, provvederemo immediatamente alla rimozione.

