Rebecca libri

Franz Haas, giovane studioso austriaco, approda a Napoli nell’autunno  1986 per insegnare all’Istituto Universitario Orientale. Porta con sé,  come guida spirituale per l’ingresso nella città Il mare non bagna Napoli. Poco prima, in un negozio della capitale aveva scoperto Il porto di Toledo di Anna Maria Ortese, che leggeva estasiato, ritenendolo giustamente un capolavoro, “un’opera d’arte di tale bellezza  come di rado mi è capitato (con Kafka forse)”. Una sera Haas – che  condivideva un appartamento con Andreas. F. Muller (coautore del libro Dadapolis) – invitò a cena Fabrizia Ramondino e la scrittrice raccontò che ad Anna Maria Ortese occorrevano alcune fotografie di una zona di Napoli, il Pallonetto di Santa Lucia, per la stesura di quello che sarebbe stato poi Il Cardillo addolorato.

Franz Haas si assume il compito di scattare le foto e scrive una lettera all’anziana scrittrice, offrendosi di consegnarle di persona, esprimendo al contempo la sua grande ammirazione per Il porto di Toledo, il romanzo per certi versi più sfortunato della Ortese. Lo studioso austriaco raggiunge i vicoli del Pallonetto e scatta le foto con una piccola Contax e intanto aspetta la risposta da Rapallo che non tarda di molto. Prende avvio così un rapporto di amicizia fraterna testimoniato da un libro di recente pubblicazione: Anna Maria Ortese, Possibilmente il più innocente. Lettere a Franz Haas (1990-1998), a cura di Francesco Rognoni e del destinatario, Sedizioni, pp. 191, euro 25.00.

Rapallo, 21 marzo 1990

Gentile Signor Haas, ho ricevuto la Sua lettera e La ringrazio molto della Sua stima e della Sua cortesia. Ma ringraziare è una parola povera, che adopero perché necessario così. In realtà, la Sua lettera mi  ha portato una emozione felice e infelice insieme, che non conosco più da tempo.

In breve: quando scrissi Toledo, e per molto tempo dopo, amavo questo libro, lo consideravo il mio più caro e fondamentale. Poco  alla volta, sono stata svegliata: il libro era cosa illeggibile, e io – dopo tanti beati anni d’illusione – non ero più nulla. Toledo, insomma, è stata l’esperienza letteraria umiliante, l’esame – la prova  d’esame – in cui sono caduta.

Se, dopo, qualcuno ha cercato di rivalutare altri miei libri – Toledo mai – questo non ha cambiato le cose. E dopo quel libro – per il gran silenzio e spesso il compatimento avvertito intorno – io non sono stata più la stessa, e ho conosciuto una lunga-lunga depressione.

E come, se dopo una giornata piena di dispiaceri, ci si addormenta, e poi ci si sveglia che è sera, e il  giorno non riserva più nulla: così, con tanta ombra nel cuore ho vissuto. E a quel libro, sempre alle mie spalle come un reato, ho cercato – cerco – di non pensare più.

Ecco perché la Sua lettera ha suscitato in me una emozione. E – con l’emozione – ha rinnovato tutti i miei dubbi sul resto della mia “opera” (esigua, e anche contraddittoria, e trascurata nella scrittura): sono stata una persona che ha fatto qualcosa? Oppure ho solo tentato? Vivo quasi fuori del mondo, con questo cruccio, con questa domanda senza risposta – e in un timore infinito del mio Paese, che mi ha dato qualcosa (per vivere) solo da alcuni anni, e per il quale – in sostanza – e certo a causa del linguaggio – e della visione del mondo soprattutto – sono stata e resto una straniera.

Questo il mio vero “male”, e questo il motivo per cui ho finito d’isolarmi: per non accettare che l’estraneità mi era stata data, per affermare che  l’avevo voluta io. Uno stupido orgoglio, in fondo. Metà della mia lettera se n’è andata in queste deboli spiegazioni. (Le spiegazioni reali sono sempre invisibili e sempre più forti di quelle che presentiamo.)

Quando Lei verrà a Rapallo – perché spero proprio che venga – mi auguro di esser così saggia da non parlare più di questo argomento (Toledo), né di questa esperienza di estraneità. Adesso, sto scrivendo, e avrei quasi finito, un libro-fiaba. C’è una Napoli di memoria, del tempo borbonico, e ci sono luoghi che probabilmente non esistono più. Quando verrà, parleremo anche di questo, se Lei vorrà.

Sono curiosa di vedere le fotografie del Pallonetto. Sono soprattutto riconoscentissima. Lì, al Pallonetto, era nata e cresciuta, nella realtà storica, la persona che è al centro del libro. Io ne ho saputo qualcosa dal sentito dire di alcune generazioni. E anche della casa dove abitava. Ma era qualcosa di ancora più vago della Reggia della Sirenetta in fondo al mare. C’è stata mai una casa così ricca e silenziosa? La sede è improbabile – ma le fiabe – o i sogni – non tengono conto di queste cose.

Proprio a causa di questo libro – che porto avanti da alcuni anni, leggero e inconsistente come una ragnatela d’argento che voli nell’aria – libro che in aprile dovrei poter finire – proprio a causa di questo lavoro non Le dico, caro Signor Haas, di incontrarci ora. Se a Lei non dispiacesse rimandare, sarei più tranquilla di attendere, per questo incontro, la fine di aprile. A Lei va bene? Ora, con questi personaggi e queste cose “non esistenti”, vivo un periodo ansioso e faticoso.

Così, potrà venire a Rapallo in aprile? Se me lo consente, potrei fissare per Lei un albergo – in modo che possa riposare e non essere stanco – e sarebbe assolutamente mio ospite. Faccio così quasi sempre, quando amici vengono fuori a cercarmi – perché ho una casa soffocata e periferica, che non è fatta per la conversazione. Dunque: rimango in attesa di una Sua risposta, senza fretta, perché ci sono ancora quaranta giorni.

Non so se conosce Rapallo: una cittadina come tante, ma la gente è molto buona. Grazie di tutto quanto c’è nella Sua lettera, di attenzione alle mie cose. A me, sembra che non potrò o saprò dirLe quasi niente, dopo quanto Le ho detto; anche perché non sono molto informata su quanto accade nel mondo della letteratura, mi sembra solo di conoscere le tendenze generali, forse più importanti della “letteratura” (che fiorisce, che forse è bene, solo ogni cento anni!)

Buon lavoro, caro Signor Haas. E ancora grazie-grazie! Tanto cordialmente, Anna Maria Ortese. Questa lettera è scritta molto alla buona. Voglia scusarmi. Mi sembra quasi di non saper quasi più scrivere lettere. – Scusi, anche, le correzioni. Grazie.

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