Mio fratello Pier Giorgio. Una vita mai spenta (Luciana Frassati, Effatà, 2022)
Premessa
Non è facile essere nipote di un uomo santo, averlo in famiglia, sentirne la presenza esaltante e condizionante. Condizionante è stato per me Pier Giorgio negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, quando a casa ne sentivo parlare sovente e non lo capivo. Infatti non fui subito attratto dalla sua figura che conoscevo poco e rifiutavo di approfondire, forse perché avevo la sensazione che mi venisse imposta. La mia curiosità nei suoi confronti nacque e si sviluppò quando iniziai a viaggiare per il mondo e a incontrare gente che conosceva e mi parlava di Pier Giorgio con curiosità ed entusiasmo. Una volta ad Haiti, in una precaria saletta VIP dell’aeroporto, eravamo rimasti in due in attesa di un aereo in ritardo, io ed un enorme sacerdote nero che poi ho scoperto essere il vescovo di quel paese. Non sapendo più di cosa parlare gli dissi che ero nipote di un beato, di Pier Giorgio Frassati. Al sentire quel nome balzò in piedi con uno slancio che sembrava incompatibile con la sua mole, mi abbracciò sollevandomi da terra, e cominciò a pormi domande che rivelavano la sua estesa conoscenza della vita e dell’opera di mio zio. Episodi come questo mi hanno fatto riflettere che se in tutto il mondo cattolico si conosce e si apprezza la figura di Pier Giorgio, ci doveva essere una ragione che anch’io avrei dovuto scoprire. Ed anche gli echi di casa mia, i ricordi dei racconti che ascoltavo allora riluttante hanno poi assunto un tono diverso, comprensibile, condivisibile.
Ho cominciato ad informarmi, a leggere i tanti libri a lui dedicati, soprattutto quelli di mia madre, di cui questo, che scandisce le ore della sua agonia e della sua morte, è forse il più toccante. Ho cercato di parlare con preti e laici attratti dalla sua figura. E presto ho capito come la sua santità fosse diversa da quella di altri, più normale, più semplice, più laica, più «straordinariamente ordinaria» come qualcuno ha detto. Una santità che sentivo sempre più vicina. Fui particolarmente attratto da questo suo essere un santo attivo, con una visione laica della religione, così piena di luce, capace di espandersi nella società, nel mondo della scuola, dell’università, del lavoro, della politica, e soprattutto dei poveri.
E forse questo è il tratto che più lo avvicina a Giovanni Paolo II, con il quale condivideva anche l’amore per la montagna. Ebbi più volte occasione di parlare di Pier Giorgio con Papa Wojtyła, ed ogni volta i suoi occhi si illuminavano di nuova energia, di giovane entusiasmo. Ricordo quando la mia famiglia ed io ricevemmo il Papa a Pollone, nel Biellese, dove venne per «rendere omaggio», come disse allora, alla tomba di Pier Giorgio. Atterrò con l’elicottero sul prato vicino a casa nostra, e nel piccolo paese fu grande festa. A mia madre, salutandola, fece una carezza sulla guancia, e in quel momento mi attraversò la mente un pensiero improprio, che il Papa fosse geloso di chi aveva conosciuto Pier Giorgio così bene e aveva convissuto con lui la sua breve vita, che attraverso quella carezza alla sorella volesse sfiorare il volto di quel santo che lui aveva amato e beatificato.
Mi è difficile parlare di Pier Giorgio, forse perché la sua vita è stata così breve, forse perché è stata così semplice, semplicemente dedicata alla carità che lo animava giorno e notte. Oggi per me lui è come un’ancora a cui affido problemi, desideri, aspirazioni. Vorrei che lo fosse anche per i miei figli, per lasciare quello straordinario piacere di scoprire gradualmente la sua eccezionalità e normalità, come tante persone hanno fatto e continueranno a fare in tutto il mondo, e come questo straordinario libro di mia madre ci aiuta a capire.
Jas Gawronski
Prefazione
Segreta, mesta, tetra fin quasi ai confini della disperazione, la fine di Pier Giorgio. Era vissuto, fino allora, nella luce della sanità fisica e della bellezza spirituale. Tutto il suo amore di giovane imitatore di Cristo era rivolto a illuminare di fraterna pietà il dolore altrui, il dolore dei suoi poveri, dei suoi malati. E un certo giorno, all’improvviso, il dolore entrò anche in lui, e a poco a poco, con spietata lentezza, divenne anche lui un malato, divenne anche lui un povero che aspettava, attonito ed eroico, la carità della morte.
Tutta la sua carità l’aveva fatta in segreto, come gli altri giovani fanno in segreto il peccato, e per molti giorni, fino alla vigilia dell’agonia, fu quasi per tutti un segreto la malattia terribile e inesorabile che doveva far di lui un martire immoto.
Parve che tutto cospirasse per far sì che la sua fine fosse accompagnata da una impreveduta e angosciosa solitudine. La madre, che tanto l’amava e che avrebbe forse capito le prime offese del male meglio dei medici era al capezzale di sua madre morente e l’affetto filiale fece meno vigile quello materno. La sorella, prediletta, sposata da poco, pur sempre vicina a lui, era appena tornata; molti amici, essendo d’estate, eran fuori di Torino. Pier Giorgio rimase solo, per molti giorni, col male incompreso che sempre più s’impossessava di lui. Il medico di casa che lo visitò non capì la vera natura del morbo e forse, anche se l’avesse compresa, sarebbe stato impotente a vincerlo. Una sola e semplice creatura, una cameriera tedesca, fu vicina al condannato fin dai primi giorni.
Egli stesso, per quel suo pudore gentile ch’era una delle doti più care della sua indole, non volle che la famiglia, già turbata dalla morte imminente della nonna, fosse messa in allarme per colpa sua e sopportò in silenzio, con virile e cristiana serenità, i progressi del male implacabile. E fu pressoché solo nell’appressamento della morte, come aveva voluto esser solo nell’esercizio della carità.
La narrazione minuta, paziente, pacatamente commossa che Luciana Frassati – la sorella fedele – ci offre ora, dopo tanti anni, di quella atroce settimana di angoscia solitaria e taciturna, stringe e morde il cuore. Non scene patetiche, non colloqui solenni, non frasi memorabili: una cronaca semplice, esatta, accorata ma senza abuso di aggettivi e di effetti. Eppure io conosco pochi racconti di morti – oltre il libro che Isabelle Rimbaud dedicò agli ultimi giorni del fratello poeta – così capaci di commuovere l’animo di chi legge, anche degli animi non confortati dalla fede.
Giovanni Papini
Breve vita del Beato Pier Giorgio
Coloro che pensano ai santi come a gente timida e solitaria, che disdegnando questa vita sospirano pensando all’altra, resteranno sorpresi dalla figura del beato Pier Giorgio Frassati.
Di animo schietto e aperto, soprannominato «Robespierre» dagli amici con i quali aveva fondato la «Società dei tipi loschi», Frassati era l’amico dei poveri nei quali riconosceva Cristo. Ed il laicato di oggi, soprattutto i giovani che sono in cerca di un senso per la loro vita, troveranno un modello in cui identificarsi in questo robusto, sportivo, vivace bel giovane, che univa l’attività politica all’impegno per la giustizia sociale, che visse la sua breve vita «in pienezza».
Pier Giorgio nasce a Torino il 6 aprile 1901. Sua madre Adelaide Ametis era una appassionata pittrice. Suo padre Alfredo, agnostico, aveva fondato il quotidiano liberale «La Stampa» e ne era proprietario e direttore. Amico di Giolitti, fu senatore del Regno e ambasciatore in Germania.
Terminati gli studi elementari in casa, frequenta assieme alla sorella Luciana, minore di un anno, la scuola pubblica «Massimo D’Azeglio». Passa poi all’Istituto Sociale retto dai padri gesuiti; s’iscrive alla Congregazione Mariana, all’Apostolato della Preghiera e inizia la pratica della Comunione quotidiana che manterrà per tutta la vita. L’Eucarestia e la Vergine Maria, venerata da lui particolarmente nel Santuario di Oropa e alla Consolata di Torino, diventano i due poli della sua devozione. A 17 anni si iscrive alla Confraternita del Rosario di Pollone e a Torino diventa socio delle Conferenze di San Vincenzo, dedicando la maggior parte del suo tempo libero ai poveri, agli ammalati, agli orfani, ai reduci.
Nel 1918 s’iscrive ad Ingegneria industriale mineraria al Politecnico di Torino. «Sarò ingegnere minerario – diceva ad un amico – per poter ancor di più servire Cristo tra i minatori».
Gli studi, che considerava il suo primo dovere, non gli impediscono l’attività politica e sociale. Milita nella FUCI e nella Gioventù Cattolica, il cui distintivo porta sempre all’occhiello. Scende anche sul terreno politico: in contrasto con le idee liberali del padre nel 1920 s’iscrive al Partito Popolare Italiano, appena fondato da don Sturzo. «La Carità non basta ci vogliono le riforme sociali» diceva impegnandosi in tutt’e due.
La carità è sempre più la nota dominante della vita di Pier Giorgio. Essa non consisteva nel dare qualcosa agli altri, ai soli, ai bisognosi, agli ammalati, agli amici, ma nel dare tutto se stesso. «I poveri ed i sofferenti di ogni miseria naturale e morale erano i suoi prediletti, – scrive Giuseppe Lazzati – anzi erano addirittura i suoi padroni ed egli faceva per loro letteralmente il servo, col fare di chi è persuaso di godere di un privilegio; i poveri li considerava i suoi superiori, nelle loro sofferenze onorava la passione di Cristo: perciò gli volevano bene, lo aspettavano, lo desideravano». Questa carità era nutrita dalla Comunione quotidiana, dal rosario che portava sempre in tasca, dalle adorazioni notturne, dalle epistole di san Paolo.
Nel 1920 segue il padre a Berlino. Qui frequenta circoli di cui fanno parte operai e studenti insieme; quest’esperienza lo entusiasma e nel 1921 a Ravenna, al I Congresso della Pax Romana e X Congresso della FUCI ne propone, senza successo, la fusione con la Gioventù Cattolica. A Roma, durante una grande manifestazione della GC, difende con coraggio la bandiera del suo circolo dall’assalto delle guardie Regie.
Nel 1918 s’iscrive al CAI ed alla «Giovane Montagna». L’alpinismo era una sua grande passione. Le escursioni che organizzava con i «Tipi loschi» erano anche occasione di apostolato. Andava a teatro, all’opera, visitava i musei, amava la pittura e la musica, conosceva a memoria interi brani di Dante.
Gli scritti di santa Caterina da Siena e gli accesi discorsi di Savonarola, di cui era fervente ammiratore, lo spinsero ad entrare nel 1922 nel Terz’Ordine Domenicano col nome di fra Girolamo.
Come suo padre, dal suo nascere riconosce il vero volto del fascismo e gli si oppone, come prima si era opposto alle sopraffazioni dei rossi. È profondamente deluso dall’ingresso di parte dei popolari nel governo fascista.
Due mesi prima della laurea, la sua esuberante giovinezza viene stroncata in cinque giorni di sofferenze da una poliomielite fulminante, contratta molto probabilmente nell’assistere i malati. Muore il 4 luglio 1925, all’età di 24 anni. La sua ultima preoccupazione sono stati i poveri; la vigilia della morte, facendo prendere un pacchetto dalla tasca della sua giacca, con la mano semiparalizzata scrive questo biglietto per un amico: «Ecco le iniezioni di Converso. La polizza è di Sappa. L’ho dimenticata, rinnovala a mio conto».
I funerali, che furono un vero trionfo, con la partecipazione di una folla di gente sconosciuta alla famiglia, hanno rivelato chi veramente era Pier Giorgio.
Il processo di beatificazione ebbe inizio nel 1932. Nel 1981, come ultima tappa del processo apostolico è stata aperta la tomba di Pier Giorgio. I testimoni dell’avvenimento sono rimasti colpiti dal sorriso ancora fissato sul suo volto, e dal suo aspetto non cambiato.
Nel 1989 Giovanni Paolo II si è recato a Pollone per pregare sulla sua tomba: «Volevo rendere omaggio ad un giovane che ha saputo testimoniare Cristo con singolare efficacia… Anch’ io nella mia giovinezza, ho sentito il benefico influsso del suo esempio e, da studente, sono rimasto impressionato dalla forza della sua testimonianza cristiana».
Il 20 maggio 1990, in piazza San Pietro, il Papa beatificava «l’uomo delle otto beatitudini», il suo «alpinista tremendo» come lo aveva anche chiamato. Le spoglie mortali venivano trasferite dalla tomba di famiglia nel cimitero di Pollone al Duomo di Torino, dove ora riposano.
Nel 2001 il Politecnico di Torino gli conferiva la laurea in Ingegneria Post Mortem.
È patrono delle Giornate Mondiali della Gioventù. La bara con il corpo di Pier Giorgio è stata portata nel 2008 a Sydney e nel 2016 a Cracovia per essere venerata dai giovani di tutto il mondo.
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