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Tutta la radicalità della passione nelle pagine di Ágnes Heller: «Il demone dell’amore», per Gabrielli Editore

di Enrico Paventi
Fonte: il manifesto

Per la studiosa scomparsa, arte, filosofia e letteratura devono essere intrecciate quando si affrontano tali temi. Fino all’ultimo dei suoi giorni, Ágnes Heller (1929-2019) ha continuato a riflettere soprattutto sull’etica, la filosofia politica e l’estetica prendendo spesso parte anche al dibattito che ha avuto luogo su giornali e riviste.

NE SONO UNA PROVA – qualora ce ne fosse ancora bisogno – i recentissimi Orbanismo (Castelvecchi, 2019), un breve scritto nel quale la studiosa ha individuato nella debolezza delle istituzioni liberali il problema principale dell’Ungheria contemporanea, l’appassionante autobiografia dal titolo Il valore del caso. La mia vita (Castelvecchi, 2019) che ha costituito il racconto del «suo» Novecento, un lungo periodo costantemente vissuto all’insegna dell’impegno intellettuale e, da ultimo, il suo intervento all’European Forum di Alpbach in cui, nello scorso luglio, ha affrontato la questione relativa al rapporto tra modernità, democrazia, sicurezza e responsabilità.

Il demone dell’amore (Gabrielli Editore, pp. 139, euro 15,00) altra sua opera pubblicata in Italia appena qualche mese fa, è invece un colloquio a tre che la filosofa ha intrattenuto con il giornalista Francesco Comina e l’attivista Genny Losurdo. La studiosa ebrea-ungherese vi ripercorre la storia del pensiero, dai primordi all’età contemporanea, ponendo al centro della sua riflessione l’analisi del sentimento amoroso: un viaggio avvincente lungo il quale – grazie a una narrazione serrata e stimolante – le intuizioni di carattere filosofico si mescolano con le leggende prodotte dalla mitologia, dalla letteratura nonché dall’arte; vi sono poi presi in esame concetti quali erosphiliaagapeamor passioamor intellectualis e viene infine indagata la dottrina morale relativa alla sollecitudine che va riservata al prossimo.

RIGUARDO ALL’IMPULSO passionale, occorre sottolineare come la saggista riesca a coglierne la radicalità, che descrive efficacemente in questo modo: «L’amore ha questo di particolare: infiamma. A differenza di altri sentimenti, brucia come un giacimento di petrolio. E muta. Ogni momento è buono per creare situazioni nuove di tensione emotiva e di comprensione del mondo. L’innamorato filtra la realtà con gli occhi dell’amore». Una peculiarità dalla quale prende le mosse la sua riflessione che – arricchita dal contribuito di tanti celebri autori – si caratterizza per la spiccata originalità.

Ágnes Heller non trascura tuttavia di meditare sull’oggi interrogandosi sul rapporto tra amore e politica in un’Europa dilaniata dalle contraddizioni, che ha caldeggiato per decenni l’universalità dei diritti umani, la solidarietà transnazionale, la libertà di circolazione, la pace tra i popoli, il rispetto nei confronti dell’ambiente e poi – pochi anni dopo aver festeggiato la caduta del muro di Berlino – ha iniziato a erigere nuovi steccati, nuovi ostacoli, nuove barriere sormontate dal filo spinato.

Il libro si conclude con un breve saggio nel quale la filosofa celebra un compleanno – il novantesimo: il suo e quello della coetanea Anne Frank. Entrambe vittime della macchina dello sterminio allestita dalla Germania nazista, vissero esperienze simili che ebbero però un epilogo assai diverso: reclusa nel ghetto di Budapest, la sedicenne Ágnes riassaporò la libertà grazie all’arrivo dell’Armata Rossa e riuscì dunque a scampare alla Shoah. La giovane francofortese fu invece deportata nell’agosto del 1944 prima ad Auschwitz e poi a Bergen-Belsen, dove sarebbe stata uccisa qualche mese dopo. La filosofa parla anzitutto del profondo senso di colpa nutrito dai sopravvissuti e individua successivamente le ragioni alla base dell’enorme notorietà di Anne nel potere e nel fascino della scrittura, che le hanno consentito di trasformare il passato in presente, la morte in vita: un miracolo capace di rinnovarsi grazie alla magia della parola.

Fonte: il manifesto
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