Non fate il funerale ai libri si intitola un famosissimo articolo di Umberto Eco del 2010 in cui il semiologo si diceva sicuro che l’ebook non avrebbe sostituito il libro cartaceo.
Quindici anni dopo possiamo dire che Eco aveva ragione. Il problema è che oggi la tentazione è quella di cominciare ad approntare il funerale ai lettori di libri, quelli in grado di leggere dalla prima all’ultima riga senza fatica.
Stiamo cambiando, lo dicono i dati; lo dicono i deprimenti dati di vendita dei libri dell’ultimo anno nel nostro Paese (l’Italia è al terzultimo posto sui 27 membri dell’Unione europea per numero di lettori). Lo dice anche una interessante ricerca AIE 2024, sulla quale vale la pena soffermarsi, che fotografa in particolare la situazione di una delle istituzioni d’eccellenza del sapere: l’università.
La ricerca si concentra in particolare sulle abitudini di studio; ne risulta che su 1000 studenti e studentesse iscritti a corsi di laurea triennale o ai primi tre anni di corso di laurea a ciclo unico 4 su 10 non usano i libri per prepararsi agli esami: preferiscono slide, appunti, registrazioni delle lezioni, materiali autoprodotti. Il libro, contenitore per secoli di quelle conoscenze attorno alle quali si trasmette il sapere, comincia a sparire dai programmi di studio.
Preoccupandoci, ma senza scandalizzarci, e proviamo a capire il perché. Tre sono i motivi principali, stando alle risposte degli studenti: è più facile e comodo usare slide e appunti; questi sono sufficienti per superare l’esame e sono spesso forniti direttamente dai docenti.
Su questa terza motivazione va specificato che spesso i docenti – che qui sembrano farsi concorrenza da soli – devono tenere conto dei cosiddetti cfu, i “crediti formativi universitari”. Semplificando al massimo per chi non ne conoscesse il meccanismo: a numero di ore corrispondono numero di crediti e calcolo delle ore di impegno per lo studio (quindi anche il numero di pagine da studiare). Cercando una definizione della parola credito sulla Treccani troviamo: «è il diritto di pretendere l’adempimento di una prestazione, suscettibile di valutazione economica»: rende l’idea di una burocratizzazione del sapere in cui conta più la prestazione che il contenuto.
Tornando alla questione libri va aggiunto quindi che spesso gli esami inferiori a 6 cfu non hanno volumi in bibliografia; dato rilevante perché i crediti potrebbero diminuire in futuro con la parcellizzazione di esami e materie e quindi la percentuale di esami senza libri potrebbe aumentare. Se aggiungiamo a questo panorama la bacchetta magica dell’Intelligenza artificiale nel creare riassunti, schemi e presentazioni possiamo prevedere che il libro sparirà dai corsi di studio? Che diventerà un oggetto per pochi privilegiati custodito da biblioteche senza lettori? Le distopie sul sapere non mancano, e non vengono più dalla fantascienza o dal fantasy; gli alert ci arrivano innumerevoli dalla saggistica e dalle inchieste di attualità.
L’economista Jacques Attali, ad esempio, nel libro Conoscenza o barbarie immagina tra i vari scenari futuri globali – grazie a una forbice economica sempre più ampia – che ai poveri non sarà più permesso studiare e che l’insegnamento sarà riservato ai figli dei ricchi, in college esclusivi o a domicilio. Il libro quindi tornerà a essere privilegio di pochi, magari rilegato nei modi più sontuosi, così come è stato ai tempi di Gutenberg? Guardando ancora una volta al mondo universitario la rivista “Nature” ci informa che nonostante i ricercatori producano più articoli di prima i risultati latitano perché sono stati ridotti i tempi del pensiero.
E c’è un altro dato della ricerca sugli studenti universitari che è una sorpresa: i nativi digitali preferiscono la carta per studiare. Il 78% degli intervistati dichiara di preferire il prodotto cartaceo e il 70% di stampare anche le slide, per poter sottolineare e memorizzare. I materiali digitali quindi non funzionano per lo studio e quasi sempre vengono stampati, nonostante la preoccupazione delle nuove generazioni per il rispetto dell’ambiente e il consumo della carta. Una preoccupazione paradossale visto quanto consumano a livello ambientale i data center necessari a tutte le attività online e in particolare per il funzionamento di IA. Eppure la necessità di stampare, sottolineare, appuntare i propri schemi su carta è un dato che a mio parere testimonia che c’è un limite umano insuperabile al momento, anche per i giovanissimi: per memorizzare abbiamo bisogno di tempo e di leggere su carta. Un limite che offre uno spiraglio di speranza, perché per la nostra umanità la finitezza è essenziale, come la nostra vulnerabilità, come ci ricordano costantemente l’antropologia e la filosofia.
Ha scritto a proposito la filosofa Anne Dufourmantelle: «il pensiero richiede una pazienza infinita, è la condizione paradossale del suo essere folgorante.» L’impazienza cognitiva, stimolata dal digitale e ancor di più da un uso “comodo” dell’IA che non restituisce fonti e percorsi di ragionamento, rischia di spegnere la scintilla della lenta e buona fatica del pensiero profondo, pressata dall’urgenza del “non posso perdere tempo”. L’Università sembra vessata sui due fronti da questo mantra – i docenti devono produrre articoli per le metriche di valutazione e i finanziamenti della ricerca e gli studenti si trovano compressi in un momento della loro vita che invece, come scrivono Chiara Faggiolani e Catterina Seia, «dovrebbe essere deputato a un apprendimento riflessivo, contaminato, esplorativo che ha bisogno di tempo perché non può essere efficace senza sedimentazione.»
Il percorso è avviato; indietro non si torna, diranno molti, ma spetta a noi adulti di questa epoca di transizione tra umano e postumano vegliare, arginare, decidere come andare avanti, combattere perché la luce del pensiero non venga spenta o sostituita da una lampadina a basso consumo.
«Si hortum in bibliotheca habes, deerit nihil» scriveva Cicerone in quella lettera a Varrone che spesso, come ricorda Manguel nella sua Biblioteca di notte, ritroviamo ancora su tazze e magliette: «Un po’ di giardino e molti libri e noi siamo contenti». Nel 2035 senza libri e senza giardini, dove troveremo la felicità?
Velania La Mendola
Velania La Mendola, giornalista pubblicista, laureata in filologia, è responsabile della Comunicazione e degli eventi della casa editrice Vita e Pensiero e fa parte della redazione del quindicinale online VP Plus. Collabora con il master di Editoria dell’Università di Pavia. Si occupa di storia dell’editoria del Novecento, su cui ha scritto diversi articoli e saggi; il suo ultimo libro è “Tolkien e ‘Il Signore degni anelli’: storia editoriale di un capolavoro” (Luni). È stata Componente del Comitato di redazione della Rivista internazionale di studi sciasciani «Todomodo» (Olschki). Ha fondato l’associazione culturale Festamobile e coordina il progetto “I giusti continuano a leggere”.
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