Rebecca libri

L’unico vero asset per gli editori oggi è il copyright

La Buchmesse di Francoforte ha pubblicato un White Paper che concentra la sua attenzione sulla “giungla digitale”, ovvero su come la digital transformation in atto non solo non sia ancora stata affrontata davvero dalla maggior parte degli editori tradizionali, ma in alcuni casi non è stata nemmeno compresa.

Nelle prime righe si legge una cosa interessante e che merita una riflessione approfondita: può sembrare paradossale ma proprio in un’epoca in cui il digitale e l’online hanno resto tutto più liquido l’unico asset davvero fondamentale per chiunque produca contenuti oggi non è più il contenuto stesso, ma i diritti legati a quel contenuto.

Gli editori da questo punto di vista si sono mossi con enorme ritardo, continuando a perpetrare il loro business tradizionale per decenni senza capire che l’unico asset duraturo era proprio quello dei diritti. Invece per anni gli editori più importanti hanno accettato di firmare contratti in cui cedevano totalmente i diritti di sfruttamento per cinema, tv, fumetti e tutto il resto agli autori, concentrandosi esclusivamente sui diritti legati al libro cartaceo (o, recentemente, digitale).

Questo naturalmente nel caso di autori affermati che avevano un forte potere contrattuale, ma che in questo modo hanno minato alle basi quello che era il centro dell’editoria tradizionale, ovvero la casa editrice.

Il ragionamento era, ed è, molto semplice: tu sei uno scrittore famoso e quindi io pago tantissimo in aticipo per pubblicare il tuo libro. Investo centinaia di migliaia di euro in comunicazione, pubblicità, ufficio stampa finché il tuo libro diventa un bestseller. A quel punto tu scrittore vendi i diritti per il cinema, incassi verosimilmente molti di soldi (e popolarità) e io editore sono tutto contento perché venderò ancora più libri. In realtà dovrei essere triste perché sto perdendo un sacco di soldi, dato che anche grazie al mio pesante investimento l’autore è riuscito a vendere al cinema la sua storia.

Questo naturalmente se l’editore non ha firmato un contratto in cui trattiene per sé una percentuale sui diritti di sfruttamento dell’opera per il cinema o per altri media. Ma sta proprio qui l’errore di fonde delle case editrici: accettare di pubblicare opere su cui non hanno la titolarità completa dei diritti, o su cui non si sono garantiti almeno una percentuale sulle vendite dei diritti “secondari”. Certo, dovrebbero pagarle molto di più, ma si sa che chi più spende più guadagna.

Perché Marvel e DC Comics sono diventate imperi miliardari grazie al cinema? Perché Star Wars è riuscita a diventare quella macchina da guerra che conosciamo? Per tanti motivi, chiaro, ma troppo spesso di dimentica una ragione fondamentale: da sempre hanno attuato una politica di acquisizione totale dei diritti dei loro prodotti.

Nel mondo libraio invece si assiste al paradosso per cui gli editori hanno aiutato gli autori a diventare grandi con investimenti pesantissimi, ma poi non hanno avuto nessun ritorno diretto dai grandi successi cinematografici o di marketing nati da quei libri. Certo, hanno continuato a vendere molti altri libri, ma si sono limitati a reiterare il loro business senza rendersi conto che stavano guadagnando le briciole mentre, anche grazie ai loro investimenti, gli autori e gli studios cinematografici incassavano miliardi di dollari.

Se io fossi un grande editore ragionerei in modo molto semplice: vuoi 100mila euro di anticipo? Vuoi che garantisca investimenti pesanti per il tuo libro in termini di marketing e comunicazione? Ok, però mi cedi il 30% dei diritti per lo sfruttamento cinematografico dell’opera. No? Bene, pubblica con un altro editore.

 

The Future of IP Exploitation: Surviving the Digital Jungle, a white paper produced at The Arts+, Frankfurter Buchmesse 2016