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Poesia religiosa

Le poesie qui raccolte sono il frutto della traduzione del volume Poesía Religiosa curato da Pedro Pablo Zegers Blanchet e testimoniano il rapporto con la religione della poetessa cilena – Premio Nobel per la Letteratura 1945 – e il suo rapporto con la figura di Gesù.

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Il catalogo storico della Libreria Editrice Vaticana non manca di testi dedicati alla letteratura e alla letteratura religiosa in particolare. Basta ricordare gli scritti del gesuita Ferdinando Castelli, grande critico letterario e nostro autore. Il rapporto letteratura-religione viene visto nei suoi rapporti con la Bibbia, con la metafisica in genere, con la mistica. Tutti temi, questi, riscontrabili nella vena poetica della poetessa cilena Gabriela Mistral, Nobel 1945 e scrittrice dalla vita complessa e fors’anche discussa. Ecco perché quando l’Ambasciatore del Cile presso la Santa Sede ha manifestato il progetto di voler pubblicare con la Libreria Editrice Vaticana questi versi ispirati e religiosi non ho esitato a dare il mio assenso. Non soltanto. Ho ringraziato l’Ambasciatore dell’idea avuta, tanto più che l’attenzione alla cultura latino-americana grazie a Papa Francesco in Vaticano è cresciuta. Ho pensato ad una sorta di ritorno a casa di una scrittrice che, partita dal mondo cattolico e cristiano, ha finito con il navigare verso religioni piuttosto lontane. Che la Mistral guardi direttamente a Dio al quale chiede aiuto e al quale chiede perdono con un atteggiamento dialogante, filiale e confidente è chiaro in questi suoi versi pubblicati. Così come è chiara l’altra qualità della sua arte poetica. Ancora vivente, la sua attività artistico-letteraria, fu ben nota soprattutto nel mondo anglo-americano. La sua fama giunse subito anche in Italia e qui mi piace fra l’altro ricordare il fascino che la sua personalità ha avuto sull’italiana Margherita Guidacci – si sono incontrate negli anni quaranta – influenzandola su stili e contenuti. Leggere questi versi è respirare tensioni e ritmi di appassionata umanità e religiosità. Grazie ancora all’Ambasciatore Mariano Fernández Amunátegui e al suo governo per aver pensato questa pubblicazione.

Città del Vaticano, 30 giugno 2017
Don Giuseppe Costa, sdb
direttore Libreria Editrice Vaticana

Il volume di poesia religiosa di Gabriela Mistral (Premio Nobel per la Letteratura 1945) edito dalla Libreria Editrice Vaticana è una iniziativa molto bella che riconosce il valore intellettuale di una grande poetessa cilena che, come l’altro Premio Nobel cileno Pablo Neruda, è di umili origini. La Mistral, a differenza di Neruda, ha avuto un profondo legame con la religione. Un legame che, nel corso degli anni, non è mai scomparso e che risulta essere presente nelle sue poesie. I suoi scritti, infatti, diventano vere e proprie preghiere. Gabriela non si limita a descrivere stati d’animo ma tende a lanciare in alto questo desiderio, come solo la preghiera può arrivare. Una parte delle sue poesie è stata pubblicata dopo la sua morte e tra le sue opere più note vale la pena ricordare Desolación, Tala, Lagar, Ternura, I motivi di San Francisco, Poema de Chile. Il patrimonio lasciatoci da Gabriela non è soltanto poetico-letterario. Ella ha viaggiato per il mondo, lasciando i suoi oggetti, documenti, libri e scritti in diversi luoghi affascinando chi iniziava a conoscerla. Scrivo tutto questo – e mi commuovo ogni volta che ci penso – perché casualmente mi sono ritrovato a partecipare attivamente al recupero dei suoi beni materiali in Italia e di una parte importante del suo patrimonio letterario lasciato negli Stati Uniti, senza i quali questo libro non sarebbe mai potuto essere pubblicato. Con queste righe ringrazio tutti coloro che sono stati coinvolti nel processo di recupero, pubblicazione e diffusione degli scritti di questa poetessa orgoglio del Cile. Ringrazio Pedro Pablo Zegers, curatore dell’edizione spagnola e in modo particolare desidero dire grazie alla Libreria Editrice Vaticana e al suo Direttore, Don Giuseppe Costa S.D.B., per aver scelto di tradurre quest’opera in italiano rendendo così possibile una bella edizione bilingue.

Mariano Fernández Amunátegui
Ambasciatore del Cile presso la Santa Sede

La religiosità ha costituito uno degli aspetti che più intensamente ha segnato la vita di Gabriela Mistral fin dalla sua infanzia. Ciò fa capire quel profondo cristianesimo che ha caratterizzato tutta la sua vita, e che ha lasciato segni profondi in tutta la sua opera. Prova di ciò sono le poesie qui raccolte, che testimoniano in modo particolare la figura di un Gesù pieno di amore, di rispetto e di gratitudine per la sua opera di redenzione. Del Cristo in croce invoca il suo cuore straziato e al Maestro dei bambini implora perdono, in quanto anche lei porta il nome di maestra. Possiamo quindi affermare, con qualche certezza, che tutta la produzione della Mistral si sviluppa nel solco di questa profonda ispirazione cristiana e si potrebbe anche definire la sua vocazione di vita come estremamente religiosa.

Tutta la sua vita è stata una costante ricerca della verità. Se in gioventù si avvicina alla teosofia e alle discipline orientaliste, negli ultimi anni si definisce come buddista, ma le radici, le sue origini cristiane rimangono latenti. Ed è così perché, malgrado in alcuni momenti della sua vita si sia allontanata dal cattolicesimo, ha conservato intatti tali valori ispirati all’amore e alla fede. È attirata dalla teosofia perché questa le consente in un momento della sua vita la contemplazione, e l’idea dell’unità tra le creature e le cose. Tuttavia, nella sua infanzia a Elqui acquisirà i valori cristiani, appresi dalla Bibbia, ai piedi e sullo sgabello della nonna paterna.

«Non so per quale ragione, all’altezza di quegli anni del 1898, una vecchia cattolica, dal cattolicesimo provinciale, poteva essere una cilena con la Bibbia letta, e non solo con la Bibbia letta, ma col testo sacro orale, appreso a memoria in atri larghissimi. Ma quella strana donna era chiamata dai sacerdoti della città di La Serena “la teologa” e aveva una passione quasi maniacale per quella grande cosa che è la Teologia, oggi disdegnata dalla gente banale delle nostre povere democrazie… Mia madre mi mandava a trovare la vecchia ammalata, e donna Isabel mi metteva ai suoi piedi in un banchetto o uno sgabello che aveva un solo uso: vi si sedeva la bambina con le trecce per sentire i salmi di David.

La nipote cominciava a ricevere quel getto caldo di poesia, sgorgato dal profondo dolore di un reuccio di Israele, che è diventato il dolore di un Re del genere umano».

Alla stessa maniera, per tutta la sua vita, il libro prediletto, come livre de chevet, sarà la Bibbia, che aveva conosciuto nel paesino di Montegrande, dove, insieme con l’apprendimento delle prime parole scritte sotto lo sguardo attento della sorella maestra e della madre, comincia a conoscere anche i personaggi dell’Antico Testamento.

«Il mio primo contatto con la Bibbia ha avuto luogo nella Scuola Primaria, in quella molto particolare Scuola Primaria che io ho avuto, che è stata la mia casa, in quanto mia sorella era la maestra del paese Elqui di Montegrande. E l’incontro è stato con quel curioso testo della Storia Biblica che lo Stato dava ai bambini. Quella storia era costituita per tre quarti dall’Antico Testamento, non aveva commenti dottrinali, e così il mio libro è diventato un ampio spiegamento di stampe, una quantità di creature ebree che mi hanno riempito l’infanzia».

E questa Bibbia, che era stata la sua lettura costante, si trasforma in una compagna inseparabile, si trova sempre sul suo comodino, e lì lei segna, con la matita di colore azzurro, note al margine e registra di suo pugno osservazioni: «Libro mio, libro per qualsiasi tempo e qualsiasi ora, buono e amico per il mio cuore, forte, sicuro compagno. Tu mi hai insegnato la potente bellezza e il semplice candore, la verità semplice e terribile in brevi canti. I migliori compagni non sono state persone del mio tempo, sono stati quelli che tu mi hai dato: David, Ruth, Rachele e Maria. Con la mia famiglia questi sono tutta la mia gente, quelli che albergano nel mio cuore e sono nelle mie preghiere, quelli che mi aiutano ad amare e a sopportare. Anticipando i tempi, sei venuto a me, ed io inondando le epoche sono con voi, sono vostra come uno di quelli che hanno lavorato, hanno sopportato e hanno vissuto il vostro tempo e la vostra luce. Quante volte mi avete confortato? Tutte le volte che sono stata con la faccia a terra».

Per questa antologia, abbiamo rivisto tutta l’opera ufficialmente pubblicata da Gabriela Mistral. Nello stesso tempo, abbiamo incluso poesie inedite con altre di recente pubblicazione. Il criterio privilegiato nella selezione delle poesie è stato che avessero un rapporto diretto con un sentimento religioso della vita o che schivassero nella concezione dell’amore, la morte, lo sguardo sugli uomini, le cose, o ogni creatura vivente, quel senso che un testo riversa sulla concezione del Mondo, cioè quella trascendenza che, vista alla luce di una specifica concezione, concepiamo come religiosa.

Cioè la costante ricerca di una Verità che vada al di là dei desideri terreni, ma che, a un tempo li contenga in quella sfera Maggiore che è riservata non solo agli eletti, anche solo ai sofferenti, e a tutti quelli che sono seguiti in un modo o nell’altro, toccati dalla fede o chiamati dalla sua necessità.

Sarebbe forse rischioso che tutta la poesia per il suo particolare rapporto con ciò che vi è di più sublime in un discorso sia o contenga necessariamente tratti religiosi; ma è invece vero che in ogni poesia c’è un atto di fede; in alcune, in misura maggiore, in altre in misura minore. L’affermazione di Hölderlin secondo cui la poesia è la casa o lo spazio dove abita l’Essere, ha molto di vero; ma quando facciamo allusione alla religiosità, pensiamo a una trascendenza che guarda più lontano: è quella fede che è riposta in ogni azione umana, provenga dalla Bibbia, dalla Teosofia, dallo sguardo panteista di ciò che è indigeno, ma allude a una istanza superiore che chiamiamo Divinità e che vive non solo nel calice ma in tutte le cose del Mondo, da una montagna al soffio d’aria di un moribondo. Sono questi gli aspetti che abbiamo inteso raccogliere in questa selezione di poesie. Con molta convinzione e anche con rigore e con cura in ciò che abbiamo percepito nel leggerle.

Per questo lavoro di ricerca, ordinamento e revisione della presente edizione, fondamentale è stata la collaborazione del poeta e studioso Gustavo Barrera Calderón, a cui esprimiamo qui tutta la nostra infinita gratitudine.

Pedro Pablo Zegers Blachet

La supplica
Credo
La supplica
Padre protettore
Benedizioni
Atto di ringraziamento
Pranzo al sole
Lodato, lodato e sempre lodato
Preghiera dello studente per la grazia
La preghiera della maestra
Estasi

 

Credo
Credo nel mio cuore, ramo di aromi
che il mio Signore agita come una fronda,
profumato di amore tutta la vita
e rendendola benedetta.
Credo nel mio cuore, che non implora
nulla perché è capace del sommo sogno
e abbraccia nel sogno il creato
immenso padrone!
Credo nel mio cuore, che quando canta
affonda nel Dio profondo il fianco ferito,
per venire su dalla piscina viva
come neonato.
Credo nel mio cuore, che ondeggia
perché l’ha fatto chi ha turbato i mari,
e dove la Vita dà orchestrazioni
come di alte maree.
Credo nel mio cuore, che io esprimo
per colorare la tela della vita
di rosso o di pallore, facendole
veste accesa.
Credo nel mio cuore, che nella semina
dal solco è stato senza fine accresciuto.
Credo nel mio cuore, sempre sparso,
ma mai svuotato.
Credo nel mio cuore, dove il verme
non morderà, perché attaccherà la morte;
credo nel mio cuore, chinato
sul petto di Dio terribile e forte.

 

La supplica
Signore, tu sai come la mia parola,
con veemenza e impeto, per gli esseri estranei ti invoca.
Vengo ora a implorarti per uno che era mio amico,
calice che disseta, favo della mia bocca.
Calce delle mie ossa, dolce ragione della giornata,
gorgheggio per il mio udito, cintura della mia veste.
Mi curo anche di quelli in cui non ho posto nulla;
non mi guardare storto, se ti imploro per lui!
Ti dico che era buono, ti dico che aveva sempre
il cuore in mano, che era
dolce di indole, chiaro come la luce del giorno,
gonfio di miracolo come la primavera.
Mi ribatti, severo, che è indegno di implorazione
chi non ha unto di preghiere le sue labbra febbrili,
e quella sera se ne è andato senza attendere il tuo segno,
mandando in frantumi le tempie come un fragile calice.
Ma io, mio Signore, rispondo che ho toccato,
come il nardo sulla sua fronte,
tutto il suo cuore dolce e tormentato
ed era come la seta del baco nascente!
È forse stato crudele? Dimentichi, Signore, che l’ amavo,
e che egli conosceva l’anima sua con piaghe.
Ha forse intorbidato per sempre le linfe della mia gioia?
Non importa! Tu capisci: io lo amavo, lo amavo!
E amare (lo sai bene) è amaro esercizio;
il tenere le palpebre bagnate di lacrime,
il rinfrescare di baci le trecce del cilicio
conservando, sotto di esse, gli occhi estasiati.
Il ferro che trapana ha un sapore freddo,
quando apre, come fasci, le carni amorose.
E la croce (Te lo ricordi, tu, Re dei giudei!)
si porta con leggerezza, come un grappolo de rose.
Sto qui, Signore, con il viso caduto
sulla polvere, parlandoti per un crepuscolo intero,
o per tutti i crepuscoli a cui giunge la vita,
se tardi a dirmi la parola che aspetto.
Stancherò il tuo udito con preghiere e singhiozzi,
lambendo, timido levriero, i bordi del tuo mantello,
e non possono evitarmi i tuoi occhi amorosi
né il tuo piede può scansare l’irrigazione calda del mio pianto.
Dai il perdono, dàllo finalmente! Vai a spargere al vento
la parola, il profumo di cento boccette di odori
che si svuotano, ogni acqua abbaglierà;
il deserto fiorirà e i ciottoli risplenderanno.
Gli occhi delle fiere si bagneranno,
e, comprendendo, il monte che hai fatto di pietra
piangerà per le palpebre bianche delle sue ghiacciaie:
tutta la tua terra saprà che hai perdonato!

 

Padre protettore
Padre protettore, Padre amorevole,
proteggila, proteggila, proteggila, proteggila,
dall’orizzonte sanguigno,
dalla neve che bacia e uccide,
dalla foschia che avvolge e acceca
e dalle spiagge sature di sale,
e dallo spirito che va nel vento
ululando parole oscure.
Signore padrone delle strade
di argilla rossa e di argilla pallida,
che rendi leggero il cammino
e liberi le nostre piante
dal filo di quarzi crudeli
e dall’orma insanguinata
e rendi alacre il passo
o lento come una ballata,
dalle il ritmo del lama lento
o quello della vigogna cauta.
Padre senza padrone come i mari
pieno di silenzio o di parole:
affina, affina, il suo orecchio di uccello,
per il lento serpente ondulato.
Padre segreto come la miniera
come il nido o come la valva;
ascolta il suo passo quando incespica
o le viene meno come la lacrima.
A quanto hai fatto che incita e corre
per monti e per spianate
assomigliano la rondine
la quaglia e la cerva,
il dolce ramo del salice
e il gabbiano sulle onde.
Misurale il vento, il sole, l’arena
e svíale la tornata,
e abbassa il ramo del pino
quando su esso l’allodola canta.
Cammina lungo i tre sentieri,
quello dell’aria, dell’arena, dell’acqua,
quello invisibile del Destino
e quello inintelligibile della Grazia.
Dalle il volo del gabbiano,
dalle un mare gesucristiano,
un girotondo di stelle amorose
e la canzone che la trasporti
inebriata.
Sebbene i tuoi occhi la conoscano
te lo dico perché tu ti avvicini a lei:
è stata occhi per una cieca,
insonnia per una insonne,
udito attento per il grido
che risuona in una notte di congedo.