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Cattolici e società italiana

Il voto del 4 marzo, con i suoi «vincitori» e i suoi «vinti», ha radicalmente trasformato gli scenari della politica italiana, ponendo al suo centro forze che sino ad allora erano apparse marginali e destinate a rimanere tali. Una «novità» irrompente in un contesto che sembrava caratterizzato da un ricorrente confronto fra una «destra» e una «sinistra» che erano state, con varie vicende, le dominae di una politica italiana che, sotto questo profilo, era stata caratterizzata da un confronto protrattosi – con alterne vicende e con frequenti cambiamenti della natura delle forze in campo – dal 1948 al 2017: dapprima con il serrato confronto (nella stagione della Democrazia cristiana) fra «centro» e «sinistra»; poi, nella stagione «berlusconiana» fra sinistra e destra. Ora il tavolo, per così dire, è saltato: nuovi soggetti sono entrati in campo (il movimento «Cinque stelle» e la Lega, un tempo soltanto «Nord», ma passata nel volgere di pochi anni da partito «locastico» a partito nazionale).

Il problema che tutti gli osservatori di cose politiche si pongono è se si tratti di un nuovo assetto destinato a durare o di un fenomeno passeggero e transitorio che, dopo un’irruenta esplosione, sarebbe destinato a lasciare il posto alla tradizionaledialettica politica fra i partiti «storici». È una questione che si pone non soltanto per l’Italia ma per numerosi Paesi europei, travagliati da fenomeni di mutamento, cui non sempre le forze politiche tradizionali hanno saputo dare una risposta.

Si tratta, dunque, di un insieme di cambiamenti che solo in futuro potranno essere valutati nel loro insieme: fenomeni di breve durata o eventi destinati a modificare il corso della storia dell’Occidente?

Un manifesto dell’Azione cattolica

In vista della necessità di rispondere ai profondi sconvolgimenti degli scenari della politica verificatisi nello scorso marzo si situa un importante intervento della più antica organizzazione dei cattolici italiani, attraverso una sorta di pamphlet del suo attuale presidente, Matteo Truffelli, le cui riflessioni meritano un’attenta considerazione, attraverso la lettura diretta di pagine di cui le note che seguono intendono soltanto offrire un quadro di insieme, rinviando alla diretta lettura del testo e a una sua pubblica discussione, non solo nell’ambito relativamente ristretto dell’Associazione cui appartiene Truffelli ma, augurabilmente, in tutti i luoghi, civili ed ecclesiali, nei quali si intenda riflettere seriamente su questo «nuovo corso» della politica al quale i cattolici non possono guardare con indifferenza e con sufficienza (rintanandosi, magari, nella quotidiana routine parrocchiale), ma cui devono prestare una persistente attenzione: non dimentichi, fra l’altro, delle costanti sollecitazioni all’impegno civile rivolte ai credenti da papa Francesco, le cui posizioni, largamente riprese dall’autore del libro cui si è fatto dinanzi riferimento, ritmano di continuo le pagine di questa interessante intervista.

A partire dalla «rivoluzione elettorale» del 4 marzo 2018, l’autore si domanda se quel voto non interpelli da vicino la coscienza cattolica e non implichi una rinnovata riflessione sul rapporto fra cattolici e politica in Italia: traendone la conclusione che si tratta di un compito inderogabile, dati gli stretti legami intercorrenti tra coscienza religiosa e coscienza civile: a partire dal riconoscimento di diffusi sentimenti «di paura e di sfiducia», confermati anche dai preoccupanti dati relativi all’astensionismo. È, anch’esso, un elemento che – insieme a molti altri – attesta il clima di distacco nei confronti della politica presente nel Paese e al quale non sono estranei gli stessi cattolici. Derivano di qui i successi di forze «anti-sistema» e, nello stesso tempo, le preoccupanti lacerazioni del Paese.

Come tenere insieme un Paese lacerato? La risposta, a giudizio del presidente dell’ACI, sta innanzitutto nell’educazione civica dei cittadini, soprattutto ponendo in evidenza – contro la tendenza a facili semplificazioni – la complessità delle cose (e ciò al di là di riduttive letture di una situazione che presenta una serie di aspetti non facilmente riconducibili a unità).

Si tratta dunque di ri-avviare un processo di «educazione alla cittadinanza» che ha un risvolto interno e uno esterno all’Azione cattolica.

Su piano interno, il presidente dell’ACI invita a fare dell’associazione un luogo di approfondimento delle questioni, «per offrire a chiunque l’opportunità di misurarsi seriamente con i problemi attraverso un confronto libero e disinteressato tra posizioni e sensibilità differenti»: così da fare dell’Azione cattolica «uno spazio di dialogo e di comprensione dei problemi», un luogo aperto anche a chi non fa parte dell’associazione ma intende acquisire una più approfondita conoscenza della società italiana. Si tratta, dunque, all’interno dell’ACI, non di «fare politica» ma di «fare cultura politica» (e qui sembra affiorare un giudizio almeno parzialmente critico verso la diffusa tendenza, anche nell’ACI, a prendere le distanze dalla politica, soprattutto per il timore di essere considerata essa pure «di parte»).

Sul piano esterno, nell’ambito della società civile, l’Azione cattolica è sollecitata a promuovere iniziative di formazione alla cittadinanza: in una prospettiva di pluralistico dialogico e non di «indottrinamento». La «nostra preoccupazione – nota al riguardo Truffelli – non deve essere quella di dire ad altri che cosa pensare, ma fare tutto il possibile per spingere e aiutare chiunque a pensare» (e anche pensare politicamente, ci permettiamo di aggiungere). È, questo, il senso del richiamo, già presente nell’intitolazione data a questa intervista, a tornare a una politica con la «P» maiuscola e cioè capace di «ritrovare il senso di un impegno che non può esaurirsi nella gestione dell’esistente»: quello affidato all’Azione cattolica è «il compito di insistere sulla necessità che il nostro Paese torni a scommettere, insieme, sul suo futuro».

Come realizzare, in concreto, questa attiva partecipazione dei cattolici alla vita civile, come «formare e accompagnare cittadini appassionati e politici generosi?». Nella sua risposta a questo interrogativo Truffelli indica alcune fondamentali direttive: la riproposizione della dignità della politica; l’insistenza sul dovere della partecipazione alla vita della città; il superamento dell’indifferenza nei confronti dei problemi del Paese. Condizioni preliminari, queste, per superare la «cultura dell’indifferenza» rispetto alla politica e per il ritorno a una buona e alta politica (quella, appunto, con la P maiuscola…).

Per questa via potranno essere formati cittadini maturi, disposti a vivere la Città, capaci anche di ritirarsi quando abbiano ritenuto compiuta la loro missione: una nuova classe dirigente, dunque, alla cui formazione l’Azione cattolica è chiamata a dare il proprio contributo, mobilitando quanti abbiano una visione alta della politica e siano disponibili a considerarla come un «servizio a termine» (e abbiano, dunque, «un mestiere a cui tornare»), e non intendano mai la politica come unica ed esclusiva «professione». Compito formativo che Truffelli ritiene impegnativo e difficile ma che non può essere eluso da una comunità cristiana cosciente delle sue responsabilità e attenta al magistero della Chiesa. È importante rilevare, a tale riguardo, che l’intera intervista è costellata di puntuali citazioni tratte dal magistero sociale di papa Francesco, al quale manifestamente l’autore si ispira.

Questo, conclusivamente, appare il problema centrale che Truffelli ritiene doveroso affrontare e risolvere, non solo all’interno del – l’ACI ma, in generale, nella Chiesa italiana: rifondare e rilegittimare la (buona) politica, superando la «diffidenza diffusa» per la politica presente in non pochi ambienti ecclesiali appena lambiti della parola del magistero. È necessario pertanto, formare donne e uomini sensibili al bene comune, disposti a impegnarsi in politica, diffidenti di una «politica come professione», attenti alla forte sollecitazione all’impegno del magistero ecclesiastico.

Si tratta dunque – come si legge proprio a conclusione dell’intervista –, di «rafforzare e rigenerare la trama del tessuto civile, mettendo in collegamento tra loro realtà diverse che, dentro e fuori la Chiesa, s’impegnano a formare cittadini, contribuire fattivamente alla vita dei territori, immaginare un futuro migliore».

L’ideale e il reale

Quelle dianzi esposte sono le grandi linee della proposta avanzata da Truffelli nelle pagine di cui, in modo inevitabilmente succinto, si è cercato di ricostruire il significato complessivo (ma solo un’attenta lettura del testo potrà consentire una più meditata riflessione). Proprio a partire da questa interessante «provocazione» siano consentite alcune notazioni circa il rapporto fra cattolici e politica nell’attuale momento. Si riprendono e si sviluppano qui alcune osservazioni proposte in altra sede.

Punto di partenza di questa riflessione non può non essere la constatazione che, con il voto del 4 marzo, è avvenuta in Italia una vera e propria mutazione antropologica della politica. In passato si erano verificati, periodicamente, importanti cambiamenti dello scenario politico, anche con specifico riferimento al ruolo dei cattolici: dalla polemica transigenti-intransigenti di fine Ottocento, dalla vicenda del popolarismo sturziano al clerico-fascismo, dalle tensioni fra cattolici conservatori e «cattolici sociali» nel dopoguerra, e così via. Entrambe le forze in campo, tuttavia, si inserivano in un determinato sistema e si rifacevano, sia pure in modo e in forme diverse, a un comune patrimonio di valori.

Attualmente appare con evidenza che, anche fra i cattolici, si è realizzata una vistosa diversificazione tra i fondamenti – quelli tuttora consegnati alla dottrina sociale della Chiesa – e la prassi. Gli «ideali», per consistenti componenti di un elettorato che può definirsi genericamente «cattolico», sembrano non contare nulla: hanno rilevanza soltanto i (presunti) problemi «reali», primo fra tutti quello della crescita e della collocazione delle ricchezze. Appare, questa, l’affermazione postuma, anche fra cattolici, del «materialismo storico»: ciò che conta non sono i dimenticati e talora sbeffeggiati «valori», ma ciò che finisce nella «busta paga», latamente intesa, degli italiani.

Si può definire, questo processo, come una sorta di trionfo della «concretezza» della politica? Anche grandi esponenti del cattolicesimo sociale – da De Gasperi e Adenauer – erano certamente «concreti» (assai più, riteniamo, di quanto lo siano gli attuali fautori del «primato della prassi»…), ma ciò non significava affatto identificare la politica come il luogo in cui si realizzasse soltanto il «massimo spendibile» alla fine del mese. Così i grandi «confronti», le «grandi divisioni» – da una parte e dall’altra –, sembrano riguardare oggi soltanto ciò che, in generale, fa riferimento all’area dell’economia: la misura e le forme dell’allocazione dei redditi sembrano essere diventati il primum della politica, anche per i cattolici: non si spiegherebbero altrimenti certe scelte di campo evidenziate dal recente evento elettorale. Sembra destinato a vincere, in politica, chi «offre di più» (e poi, magari non realizza questa aspirazione). Anche i cattolicielettori sembrano contagiati da questa «sindrome pecuniaria»; ed è legittimo domandarsi se la Chiesacomunità abbia fatto sino in fondo la propria parte per evitare questa deriva, che determina inevitabilmente la mercificazione della politica, ridotta a una lotta disperata fra chi «offre di più» e per questa via acquisisce il consenso dei cittadini.

Non stupisce, su questo sfondo, che la dottrina sociale della Chiesa, la sua forte attenzione al «bene comune», sia la «grande assente» – così sembra a noi –, degli scenari della politica italiana di oggi.

Ruolo e responsabilità dell’associazionismo cattolico

Alla luce di queste necessariamente rapide notazioni, il problema posto da Matteo Truffelli non è una questione interna all’Azione cattolica, ma un problema che si pone per l’intera Chiesa italiana. Quale risonanza ha avuto in essa il forte e ricco magistero sociale di papa Francesco, tutto impostato sui doveri di solidarietà, sulla lotta alla povertà, sull’inderogabile impegno alla costruzione di una società libera e giusta? Si profila – sottolinea il pontefice in un importante e per certi aspetti singolare documento – il pericolo di «una fede chiusa nel soggettivismo, di una mente (ma anche di una prassi), senza Dio e senza carne». È quello che sta avvenendo in vaste aree del secolarismo italiano, che a volte lambiscono, al di là delle intenzioni, anche talune componenti del cattolicesimo.

Si tratta, dunque, di restituire il senso della storia all’associazionismo cattolico in generale e di riportarlo alla sua nativa responsabilità di formare non solo i credenti ma i cittadini, nella consapevolezza, oggi in gran parte smarrita, che non si può essere «buoni cattolici» se non si è anche «buoni cittadini»; né si può consentire che la cittadinanza venga esercitata solo in funzione degli interessi propri e del gruppo umano al quale si appartiene.

Questo «vizio privatistico» accomuna anche certo clero ormai incapace, in non pochi casi, di parlare di politica e di economia anche quando importanti e penetranti pagine evangeliche sollecitano fortemente questa attenzione sociale. Prevale, in molti casi, il timore di
essere accusati di «fare politica»: come se la Chiesa non avesse il dovere di affrontare quelle problematiche la cui corretta soluzione condiziona in larga misura la «buona vita» delle persone.

Non si tratta, dunque, di una nuova «discesa in campo» come quella che avvenne – in un contesto storico profondamente diverso – nel 1948, ma di tornare a prendere sul serio la politica (la buona politica, si intende), nella consapevolezza che dal suo corso dipende in notevole misura la «buona vita» della città. Non, dunque, omelie come comizi o goffe intrusioni in ambiti che devono essere lasciati – nella linea indicata dalla Gaudium et spes – ai laici cristiani, ma piena e matura consapevolezza che i credenti sono membri di due città, quella di Dio e quella degli uomini e che non si può abitare l’una disertando l’altra senza venir meno all’obbligo che quasi duemila anni fa l’ignoto autore della Lettera a Diogneto indicava ai cristiani: proprio perché devono abitare la città degli uomini, e non soltanto la «città di Dio» i cristiani non devono disertare la città: «tanto nobile è il posto che Dio ha loro assegnato che a nessuno è concesso di disertare».