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“Finché ci sia tempo”, Giuseppe Dossetti, Zikkaron, 2022

La prima cosa da fare, in modo molto risoluto, sistematico, profondo e vasto, è l’impegno per una lucida coscienza storica e perciò ricordare: rendere testimonianza in modo corretto degli eventi.

A tutti i livelli. Dalla pura ma rigorosa ricostruzione dei fatti, alla loro documentazione, rielaborazione e rimeditazione sul piano storico e sul piano politico, e finalmente su quello filosofico e teologico. Corona di tutto questo «ricordare» deve essere la memoria espressa, non occasionale ma costante, nella preghiera individuale e comunitaria.

Non si deve pensare che ciò contrasti col tassativo dovere cristiano di perdonare e di avvolgere tutto, qualsiasi cosa, anche la più tremenda, in un’atmosfera viva e conseguente di vera pace cristiana.

Elie Wiesel anche in questo può insegnarci. Egli per esempio non ha concordato col processo israeliano ad Eichmann, pur essendo ben convinto che Eichmann era colpevole, anzi l’incarnazione del male. Ha visto Eichmann due volte: una alla stazione di Sighet mentre partiva il suo treno con gli altri ebrei deportati, e l’altra a Gerusalemme durante il processo. Eppure Wiesel dice di avere abbassato lo sguardo davanti ad Eichmann, perché ha sentito «paura di se stesso» e delle proprie potenze di male, della possibilità di divenire anche lui un carnefice, e ha sentito la colpevolezza di tutti fuorché dei morti: tutti quanti eravamo vivi allora e non siamo morti, per il fatto solo di essere vivi, abbiamo una certa misura di colpa. I morti solo sono innocenti.

Si sarà osservato che in queste pagine io mi sono dato cura il più possibile di non fare mai un nome delle persone colpevoli, morte o viventi che siano: appunto per la convinzione che a Monte Sole innocenti in assoluto siano stati solo gli uccisi e specialmente i bimbi.

Ma questo radicatissimo convincimento è lo stesso che mi fa dire che non le persone singole ma il sistema – ciò che impersonalmente ho sempre chiamato il Terzo Reich – e le SS come il corpo scelto dei suoi sacrificatori specializzati, quelli sì bisogna ricordarli. Bisogna studiarli, enuclearli, scoprirne sempre meglio le origini, le occasioni, le implicazioni, i fatti, le procedure; per rendere sempre più evidenti e inconfutabili le responsabilità del sistema e per poterci sempre più convincere come e perché, e con quali complicità, anche nostre, esplicite o implicite, prossime e remote, coscienti e incoscienti, abbiano potuto verificarsi queste catastrofi «umane».

Tutto questo non può turbare la pace, personale o comunitaria, ma è l’unica via autentica per fondarla ed edificarla stabilmente.

Ogni altro tentativo – per esempio quello della pura dimenticanza o quello della indistinta sussunzione della fattispecie in un genere più ampio di mali del secolo – porterebbe a risultati perniciosi, non arriverebbe a conoscere la eziologia e la patologia, non potrebbe prevederne precocemente i sintomi e non interverrebbe in tempo con una terapia specifica e quindi più adeguata ed efficace. Ad ogni male il suo rimedio: e quanto più il male è caratterizzato, tanto più il rimedio, o il vaccino preventivo, deve essere specifico.

 

In secondo luogo, il ricordo deve essere continuato, divulgato e deve assumere sempre più ispirazione, scopi e forme comunitarie, cioè, per noi, ecclesiali.

Non basta un ricordo e una testimonianza individuale e neppure tante testimonianze che si moltiplichino; deve esserci la memoria comunitaria, la memoria della Chiesa.

Perciò il libro di Gherardi ha un pregio particolare e può contribui­re già non solo alla diagnosi, ma anche a una certa terapia preliminare: perché il suo oggetto, come abbiamo rilevato, è la comunità cristiana. Ciò che conta e che veramente edifica è il fatto che come sono stati comunitari gli eventi, così la loro memoria sia ricevuta, incorporata e assimilata dalla memoria e dalla testimonianza della Chiesa in quanto tale.

E perché questo avvenga e sia efficace e salvifico, occorre che la Chiesa assuma questi fatti, anche scrutando e confessando le proprie colpe a monte e in atto e persino post-factum.

Occorre perciò che la comunità cristiana non li assuma con una dialettica esterna (cioè in contrasto con qualcuno) e neppure interna – con turbamento, rossore, reticenze – ma con una sincerità incondizionata e progressivamente sempre più sovrannaturale: allora non sarà una veridicità solo umana, ma sarà un parlare «come mossi da Dio, sotto lo sguardo di Dio, in Cristo».

Bisogna persuadersi che la coscienza storica è, almeno a un certo grado di purificazione e maturazione, un elemento integrante della coscienza della Chiesa, cioè della sua coscienza di fede, di speranza e di carità. Sono passati più di 40 anni dagli eventi di Monte Sole: non è detto che questo intervallo così lungo sia stato solo negativo, se ha servito a decantare le emozioni, le dispute, i giudizi ancora approssimativi. Ma a questo punto per la Chiesa, soprattutto per la nostra Chiesa, occorre che la sua fede, la sua speranza, la sua carità si misurino e si affinino con un’immagine lucida, pura e univocamente recepita di un evento che, come quello di Monte Sole, è stato un evento non soltanto storico, ma anche un evento ecclesiale, di peccato e di grazia.

Bene ha fatto Luciano Gherardi a darci nuovi apporti sugli anni di poco antecedenti al 1944 – nella parte di racconto quasi autobiografica – e ad evidenziare, per esempio, il sottile fermento di antifascismo presente in una parte della formazione seminaristica ricevuta da lui e dai suoi compagni di classe don Marchioni e don Fornasini. Opportunamente ha ricordato l’integrità di Alfonso Melloni che ancora laico e dirigente dell’A.C. bolognese rifiutò le pressioni ricevute perché prendesse la tessera fascista. E così pure andavano ricordate le prese di posizione antirazziste del card. Nasalli Rocca.

Ma è indubbio che, in altra sede, il discorso va allargato e completato e deve portarci a dare il giusto rilievo anche ad altri elementi in senso diverso od opposto relativi alla storia dell’immediato prefascismo, dell’avvento e consolidamento in Italia della dittatura e alle sue modalità d’azione fino al patto di acciaio con la Germania e alla guerra.

È ora che i cristiani riprendano in modo organico e sereno tutta questa materia, non per senso di colpa o per fare esibizione delle incertezze, debolezze e infermità che ci possono essere state, ma per trarre insegnamenti dal passato per il futuro, e soprattutto per una lealtà doverosa verso i morti che ora ci vedono come siamo stati e come siamo davanti a Dio. Ciò porterà ad esercitare un magistero veramente credibile nella stessa trasmissione della fede alle generazioni venture.

Memoria di Chiesa vuol dire anche questo.

 

In terzo luogo, occorre proporsi di conservare una coscienza non solo lucida, ma vigile, capace di opporsi a ogni inizio di «sistema di male», finché ci sia tempo.

 

 

“Finché ci sia tempo” | Giuseppe Dossetti | Zikkaron | 2022 | pagine 176 | euro 12,00