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«Il destino diventa così destinazione»

Un percorso di lettura a 90 anni dalla nascita di Wolfhart Pannenberg

Wolfhart Pannenberg è uno dei teologi più rappresentativi del XX secolo. Così Marco Ivaldo delinea i tratti fondamentali della sua biografia.

Teologo evangelico tedesco, laureato a Heidelberg nel 1953, fonda giovanissimo lo Heidelberger Kreis, un circolo di teologi fortemente ispirato alle posizioni del biblista Gerhard von Rad, esperto del Vecchio Testamento, il quale poneva fortemente l’accento sulla rilevanza della dimensione storica rispetto a quella esistenziale, sulla quale si focalizzava l’interesse comune di molti studiosi del Nuovo Testamento (soprattutto Bultmann).

La posizione del circolo verrà definita nel manifesto Offenbarung als Geschichte, volume del 1961 che raccoglie gli atti di un convegno tenutosi l’anno precedente, e nel quale si esprime uno dei punti fermi della successiva riflessione pannenberghiana: la rivelazione avviene in fatti storici. Il centro di questa storia è Cristo, la cui vicenda anticipa la fine della storia e dell’umanità, in modo che – così Ivaldo – «Il destino diventa così destinazione».

Docente di Teologia Sistematica a Monaco dal 1968 al 1994, Pannenberg dedicherà la sua Teologia Sistematica al problema del rapporto tra fede cristiana e ragione moderna. A questo punto, successivamente alla linea che va da Kant a Hegel la modernità non offre più un modello univoco di ragione, ma diverse concezioni della stessa, senza che nessuna possa essere indicata come “la” ragione. La ragione moderna è storica, la sua struttura non è rigida ma si articola come ricerca di significati da inserire in una totalità sempre non ancora attuata. La comprensione del singolo evento si ha, così, sempre nella prospettiva del futuro e in particolare del futuro ultimo. La ragione storica, così come la fede in virtù della propria dimensione escatologica, è strutturalmente aperta al futuro. In questo modo ragione e fede non risultano affatto in contrasto, dacché sono entrambe orientate al futuro. Solo che la fede è orientata al futuro escatologico, proletticamente apparso nella figura di Gesù di Nazareth. Proprio in quanto orientata al futuro, la fede può essere criterio della razionalità. Pannenberg, teologo evangelico che si vede figlio dell’illuminismo, si vede così impegnato nella riconciliazione di fede e ragione sotto il segno dell’anticipazione.

Questi temi vengono ulteriormente sviluppati nel volume del 1969 Theology and the kingdom of God. Il progetto di una “teologia della ragione” è possibile se si intende la ragione come apertura a ciò che nella realtà non è incasellato in schemi predeterminati. In questo modo il dubbio non è malattia da esorcizzare, e la fede non è nemica della ragione stessa. La teologia della ragione non tenta di uniformare il terreno accidentato della realtà, non appiana le contraddizioni né tenta sintesi superficiali. La ragionevolezza è rispettoso timore di fronte al mistero dell’esistenza. «È l’essenza della fede a venire sacrificata – suggerisce Ivaldo interpretando Pannenberg – se si smarrisce la convinzione del suo fondamento razionale». L’assenso rimane il fondamento della fede-fiducia, anche da un punto di vista logico.

Continua a leggere il «Ricordo di Wolfhart Pannenberg» su hegelab.com…

Per approfondire segnaliamo anche l’intervista “teologica” di Rosario Gibellini.

Prof. Pannenberg, Lei ha compiuto i suoi studi universitari di filosofia e di teologia prima a Basilea e poi a Heidelberg. Come vede oggi l’insegnamento dei suoi grandi maestri: Karl Barth, Gerhard von Rad, Nicolai Hartmann, Karl Jaspers e Karl Löwith?

In teologia, certamente, il mio debito maggiore è verso Karl Barth e Gerhard von Rad. Dal grande studioso veterotestamentario di Heidelberg ho guadagnato una prospettiva di teologia della storia, che io poi ho cercato di estendere al cristianesimo primitivo e alla storia della chiesa e che ho trasposto in una concezione sistematica. La permanente prossimità del mio pensiero a Karl Barth è sfuggita per lo più ai miei critici. Ma in realtà c’è un vasto accordo con i pensieri fondamentali di Barth – la sovranità di Dio, la singolarità della sua rivelazione in Cristo, l’universalità della teologia – anche se poi io sono giunto alla convinzione che questi pensieri fondamentali dovevano essere sviluppati su una via del tutto diversa da quella praticata dallo stesso Barth. Il pensiero, soprattutto, della sovranità di Dio sul mondo non può trovare applicazione nella forma di una dualistica contrapposizione di Dio alla realtà naturale, ma, se Dio è il creatore di tutte le cose, allora il teologo deve partire dalla fiducia che la presenza di Dio costituisce intimamente tutto ciò che è. In questo senso il mio modo di procedere in teologia, orientato più storicamente o, detto in termini più generali, orientato empiricamente, è ispirato dal pensiero barthiano della sovranità di Dio. Dei miei maestri di filosofia nessuno è stato per me di una importanza così duratura. In Karl Löwith mi attirava il suo sforzo di ricerca dei presupposti teologici della filosofia della storia, che durante i miei anni heidelberghiani di studio mi sembrava convergere con il lavoro teologico di Gerhard von Rad, anche se era chiaro che per Löwith la dipendenza della filosofia della storia da presupposti teologici valeva piuttosto come un argomento di critica. La sua propria posizione di un ritorno ad una comprensione pre-storica, ‘naturale’ del mondo mi è sempre apparsa strana. Karl Jaspers mi ha mediato la posizione del protestantesimo liberale, che riconosce il tema della religione come fondamentale per l’essere-uomini, ma che tuttavia nutre riserve nei confronti del cristianesimo. Anche oggi mi sembra ancora necessario tener testa intellettualmente a simili questioni critiche rivolte alla teologia. Come filosofo tuttavia Jaspers alla lunga non è riuscito a convincermi a causa della sua sottovalutazione del compito di una penetrazione concettuale-filosofica dell’esperienza del mondo: questa egli la lasciava troppo alla svelta al positivismo delle singole scienze e limitava la filosofia ad una autocomprensione dell’uomo sulla sua situazione vitale. Per quanto riguarda l’esigenza di una penetrazione filosofica dell’esperienza del mondo ho ricevuto più impulsi da Nikolai Hartmann, che mi ha introdotto nella grande tradizione filosofica. Tuttavia mi sono presto convinto che Hartmann nel suo tentativo di rinnovamento della metafisica rimaneva troppo dipendente dal neokantismo. II mio più importante maestro di filosofia è stato poi Hegel, che da solo in qualche modo ho riscoperto, quando da libero docente nel 1956 preparavo le mie prime lezioni sulla storia della teologia del XIX secolo.

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Titolo: Teologia sistematica 1.

Autore: Pannenberg, Wolfhart

Editore: Queriniana

Data di pubblicazione: 01 / 1990

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