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“Dalla Bibbia a Internet. Ecco come l’indice organizza le nostre vite”

di Eleonora Barbieri

Lo studioso racconta la storia di uno strumento ritenuto “noioso” ma fondamentale. Anche oggi

 

Dennis Duncan, traduttore, insegnante di inglese all’University College di Londra e membro della Royal Historical Society, è un appassionato dell’«Oulipo», il gruppo di scrittori che avvicinava Queneau, Perec e Calvino. «Sette anni fa mi sono accorto che alcuni dei loro romanzi hanno un indice: La vita, istruzioni per l’uso di Perec, The Sinking of Odadrek Stadium di Harry Matthews e Palomar di Calvino. Così ho pensato di scrivere un articolo sul loro approccio alla narrativa, che li spinge a fare cose che i romanzieri di solito non fanno, come stilare un indice». Duncan si è messo a indagare sulla storia degli indici e, come ogni accademico, ha chiesto ai colleghi se conoscessero un buon libro sull’argomento… «Solo che nessuno lo conosceva. E così mi sono detto: Beh, qualcuno deve scrivere quel libro». Dopo sette anni di lavoro, è nato Storia dell’indice (Utet, pagg. 334, euro 28; in libreria da oggi), in cui lo studioso inglese racconta «Dai manoscritti a Google, l’avventurosa storia di come abbiamo imparato a orientarci nel sapere». Con 45 pagine di indice, illustrazioni di antichi codici, numerosi aneddoti. E in effetti «è divertente che un libro di storia bibliografica sia scaturito da una riflessione sulla letteratura giocosa e d’avanguardia». Ma, del resto, anche l’indice è un’arte, e si contano indicizzatori illustri, da Sherlock Holmes a Virginia Woolf…

Partiamo dall’inizio: come si definisce un indice?

«Diciamo che ha due colonne. Nella prima c’è qualcosa in un ordine che conosciamo, di solito quello alfabetico; la seconda ci indirizzerà verso un luogo che non conoscevamo».

Perché è così importante nelle nostre vite?

«Perché organizza tutta la nostra ricerca di informazioni, sul web e sui libri. È il modo in cui cerchiamo qualcosa, e troviamo ciò che ci serve nella massa enorme dei dati».

E perché è importante nella storia del libro?

«L’indice è stato inventato proprio per trasformare i libri in strumenti per immagazzinare le informazioni, cosicché, anziché dover legger in modo lineare dall’inizio alla fine, i lettori potessero saltare direttamente a quell’informazione precisa che stavano cercando».

Quando nasce l’indice?

«Viene inventato in contemporanea in due luoghi, intorno all’anno 1230: a Parigi dai frati domenicani e a Oxford da un uomo di nome Robert Grosseteste».

Già allora ci sono due modi diversi di intendere l’indice…

«Sì, perché a Parigi inventano quella che chiamiamo concordanza, un indice per parola. Prendono la Bibbia, la spezzettano in singoli vocaboli e li mettono in ordine alfabetico, ciascuno con un localizzatore che indica dove si trovi: diecimila parole e 127mila luoghi diversi».

E a Oxford?

«Grosseteste compila un indice di tutto ciò che legge – e legge davvero di tutto, teologia, letteratura classica, scienza, giurisprudenza, storia, greco, latino, arabo… Non è un indice per vocaboli bensì per argomento: se un tema spunta nelle sue letture, lui se lo appunta e lo aggiunge alla sua Tavola. È come un indice universale, un motore di ricerca del sapere medievale».

Fra i due generi, uno è più importante dell’altro?

«Nel Medioevo, la concordanza ha avuto grande influenza, ma l’indice per argomento è stato un aiuto fondamentale per gli studiosi per molti secoli. Oggi, il comando Ctrl+F è una concordanza digitale».

L’indice nasce con i codici, perché?

«Perché il codice si può aprire in qualsiasi punto, e quella è la comodità di avere un indice: saltare qua e là fra le pagine del libro fisico, cosa che per i rotoli è impossibile».

Un’altra invenzione cruciale è il numero di pagina.

«Eh sì. Diventa veramente utile con la diffusione della stampa, perché è solo a quel punto che la pagina 17 della mia copia è uguale alla pagina 17 della tua e, così, possiamo iniziare a condividere dei riferimenti. Infatti in inglese si dice essere sulla stessa pagina di un altro per dire che si è d’accordo. Il primo numero di pagina stampato si trova in un sermone pubblicato a Colonia nel 1470».

Un indice può essere pericoloso?

«Non sempre si può controllare l’indice… Ci sono indicizzatori ideologicamente contrari al testo di cui dovrebbero compilare l’indice, che sfruttano l’occasione per ridicolizzare o danneggiare il libro. Succede, per esempio, nell’Inghilterra del ‘700, fra avversari politici…»

Galileo, Erasmo, Pope e Swift si lamentano di chi «legge solo l’indice». Se diamo una sbirciatina preliminare dobbiamo sentirci in colpa?

«No. Questa idea risale già al Medioevo e c’è sempre stata la preoccupazione che le persone leggessero solo l’indice, o che usassero l’indice per assaggiare un testo anziché immergersi in esso dall’inizio alla fine. Ma non credo sia così e non dobbiamo sentirci in colpa per come leggiamo un libro».

L’indice può diventare a sua volta un’opera letteraria?

«Certamente. C’è un racconto di J.G. Ballard intitolato L’indice che è solo… un indice. L’idea è che sia tutto ciò che rimane della biografia del protagonista, Henry Rhodes Hamilton. Dobbiamo ricostruirne la storia dalle voci dell’indice, guardando i numeri di pagina per immaginare l’ordine degli eventi. Poi ci sono Fuoco pallido di Nabokov, in cui il grosso dell’azione avviene nelle note e nell’indice, e Sylvie e Bruno, l’ultimo romanzo di Lewis Carroll, che propone un indice con voci particolari…»

Che tipo di attività è compilare un indice? Noiosa, infinita, impossibile?

«Si pensa che sia noiosa, ma oggi la maggior parte dei processi più faticosi è stata automatizzata grazie ai software, e ciò che resta è davvero una attività intellettuale: leggere qualcosa, cercare di capirla in profondità e decidere quali siano i dettagli più importanti di essa, quali siano le parole migliori per descriverli e pensare a come i lettori futuri vorranno utilizzare quel libro».

Può diventare una forma d’arte?

«Sì. È un processo soggettivo, che alcuni realizzano in modo più artistico di altri. Gli indicizzatori sono innanzitutto lettori e compiono una attività molto umana».

Un computer può sostituirci in questo lavoro?

«Al momento non molto bene. Ci sono dei software ma commettono errori e lasciano lacune. Alla fine del mio libro ne offro un esempio, con un doppio indice: uno generato da un computer, uno compilato da un umano».

Google è un enorme indice?

«Sicuramente sì. Tutte le ricerche vengono svolte continuamente in background: loro lo chiamano strisciare, per cui viene visitata ogni singola pagina del web e tutto ciò che viene trovato finisce in grandi tavole di indici; così, quando digitiamo i termini della nostra ricerca, Google cerca le parole nei suoi indici».

Quindi siamo dipendenti da un indice digitale?

«Direi di sì. È difficile immaginare la nostra vita e il nostro lavoro senza i motori di ricerca, che sono indici. Google è il sogno di un indice universale che diventa possibile».

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