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Vivere d’amore (Teresa di Lisieux, Paoline, 2019)

di Vivere d’amore (Teresa di Lisieux, Paoline, 2019)

Introduzione

Thérèse Martin (1873-1897), conosciuta come sainte Thérèse de Lisieux o, in Italia, come santa Teresa di Gesù Bambino e ancor più come santa Teresina, non cessa di stupire il mondo con il suo mistero.
Nata ad Alençon, cittadina della Francia nord occidentale, il 2 gennaio 1873, Teresa comincia a sognare il Carmelo fin dall’età di nove anni.
Nonostante i gravi ostacoli incontrati, mostra la verità della sua vocazione con la tenacia con cui si impegna a perseguire il suo obiettivo: avrà perfino il coraggio di andare a Roma e parlare con papa Leone XIII, pur di ottenere l’autorizzazione per entrare al Carmelo nonostante la sua giovanissima età. Il suo sogno, fortemente contrastato, si realizzerà il 9 aprile 1888: a soli quindici anni, Teresa lascerà tutto e tutti, per vivere «per sempre» con Gesù.
Il nome scelto, Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, sintetizza mirabilmente la sua spiritualità.
Teresa contempla stupita il mistero di un Dio che, per amore, non teme né di farsi «bambino» né di lasciarsi crocifiggere e di mostrare il «suo volto sofferente»: l’infanzia e la passione di Gesù saranno pertanto le coordinate di tutta la sua esistenza.
Un’esistenza piccola, nascosta agli occhi di tutti: Teresa sceglie di essere «un piccolo granellino di sabbia» ignorato da chiunque, «una piccola goccia di rugiada» che nessuno vede, ma che può rinfrescare Gesù, l’amatissimo «fiore dei campi».
La sua esistenza sarà fatta di piccole cose, ma ogni azione di Teresa sarà grande agli occhi di Dio, perché animata dall’Amore. Uno «spillo sollevato da terra per amore può salvare un’anima», afferma con sicura certezza Teresa, e da questo convincimento scaturiscono numerose e decisive conseguenze:

1) l’ importanza del tempo presente, dell’oggi, che è, in questa terra d’esilio, lo spazio per incontrare Gesù. Ogni atto d’amore vero è un segno, un’offerta da offrire al Signore, e dunque un’occasione preziosa da non sciupare: «Mio Dio, per amarti non ho che l’oggi!»;

2) l’urgenza di diventare bambini, non nel senso di scegliere l’infantilismo, il capriccio egoistico o la deresponsabilizzazione, quanto piuttosto di voler vivere con la speranza e l’entusiasmo dei bambini, che sanno gustare i colori della vita e sanno far festa anche nella ferialità e continuano a stupirsi e a sognare: «Papà, il buon Dio, sa di che cosa ho bisogno. Il solo mezzo per fare rapidi progressi nella via dell’Amore è di restare sempre piccola piccola…»;

3) la sua « piccola via », ossia scegliere di percorrere con docilità la via della fiducia e dell’abbandono: «La mia strada è una strada tutta di fiducia e d’amore. Uno solo è il cammino che conduce alla fornace divina: questo cammino è l’abbandono del piccolo bambino che si addormenta senza paura nelle braccia di suo padre»;

4) il ruolo centrale e ineliminabile della semplicità e dell’umiltà, che configurano la spiritualità delle mani vuote, mani che donano non perché possiedono, non perché stringono qualcosa, ma perché, ricolme della sovrabbondanza dei doni di Dio gratuitamente ricevuti e gratuitamente donati, si aprono generose verso chi ha bisogno: «Alla sera di questa vita, non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere, giacché io comparirò dinanzi a te a mani vuote. Sarai tu la mia giustizia!»;

5) uno sguardo sereno sulla propria debolezza, sulle personali miserie, giacché «l’amore sa trarre profitto dal bene e dal male». Molto diversamente da quanto si è di solito abituati a fare, Teresa insegna a non temere i propri limiti: «Il Dio forte ama mostrare la sua potenza servendosi del nulla e dunque si servirà della mia debolezza per compiere la sua opera»;

6) la spiritualità delle piccole cose: non è necessario fare grandi cose, perché la santità non consiste nel compiere azioni eroiche, ma piuttosto nell’aderire sempre più intimamente alla volontà di Dio: «Quando non sono capace di praticare la virtù né di pregare, quello è il momento di cercare piccole occasioni, piccole cose da nulla che fanno piacere a Gesù»;

7) il senso della missionarietà e della corresponsabilità e una fede intensa e concreta nel mistero della comunione dei santi: «Sono venuta al Carmelo per salvare le anime e soprattutto a pregare per i sacerdoti!».

La piccola Teresa, nel deserto del Carmelo, è aperta interiormente a tutto l’universo. È l’Amore che dilata tutto il suo essere ed è per questo Amore e in questo Amore che sceglie di vivere: «Amare è dare tutto, amare è dare se stessi».
Sì, Teresa ha capito il mistero dell’Amore, è penetrata nel cuore di Dio e dunque ha conosciuto il cuore umano, il suo e quello di chi la circonda.
La sapienza che viene dall’alto è la sua luce.
La parola di Dio è il suo cibo quotidiano.

Perché Teresa oggi?

Che senso può avere parlare oggi di una suorina sconosciuta, morta di tisi a ventiquattro anni, in un Carmelo della Francia, più di un secolo fa?
In questa nostra società moderna animata dall’egoismo più sfrenato, dalla smania dello spettacolare, dall’avidità irrefrenabile a stringere, a possedere, ad affermarsi a tutti i costi, in una società fondata sulla violenza e immersa nel compromesso e nell’ambiguità più squallida, la piccola Teresa è la maestra adatta a insegnarci una piccola-grande strada, quella che conduce alla cima della «montagna dell’Amore».

La «piccola via»: Teresa può insegnarci la via dell’abbandono filiale, l’attenzione e il gusto delle piccole cose, la gioia di soffrire per avere qualcosa da offrire all’Amore misericordioso.
Una «piccola via» da percorrere con le «mani vuote», senza «nessuna paura», nemmeno nel tunnel oscuro della prova, quando sembra che Gesù si sia dimenticato di noi e ci lasci travolgere dall’onda tempestosa del dubbio, dell’angoscia più opprimente.
La giovanissima carmelitana insegna a noi, uomini e donne del terzo millennio, che la fede viva è dilatazione nell’Amore, oltre ogni limite di tempo e di spazio.
Soltanto vivendo in umiltà, impegnati in una seria conversione che possa condurre finalmente alla semplicità del proprio essere, è possibile ogni giorno ripartire, andare, e andare senza fermarsi, andare sempre «oltre», «seminando gioia e pace, senza mai scoraggiarsi».
Ecco l’importanza di approfondire la conoscenza della piccola-grande santa, perché la sua testimonianza ci aiuti a voler scegliere di restare giovani nello spirito, sempre più capaci di offrire a questo nostro povero mondo ragioni di autentica speranza.

Con questo testo, non si ripropongono passivamente, pur con qualche variante, raccolte già esistenti.
Esso nasce da una motivazione ben precisa: l’approccio comune a Teresa avviene attraverso la lettura-meditazione di Storia di un’anima, opera certamente fondamentale per la conoscenza della carmelitana di Lisieux, ma che da molti purtroppo viene considerato l’unico testo.
La traduzione delle lettere, da me realizzata in occasione della ripubblicazione delle Opere complete di Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, è stata un’occasione privilegiata per gustare la ricchezza di vita e di dottrina presente in questo epistolario. Ma le lettere, nella loro stesura completa, si rivolgono ovviamente a un interlocutore e si riferiscono a situazioni specifiche, ed è pertanto possibile che il lettore, che non è ancora entrato nell’universo di Teresa, venga distratto e disperda le ricchezze di grazia presenti in questo epistolario.
Dal testo integrale ho pertanto tratto tutti quei passi che consentono di arricchire la conoscenza della spiritualità di Teresa, raggruppandoli per temi, al fine di permettere la conoscenza delle lettere della santa a un pubblico che non sia costituito soltanto dai suoi «devoti».
È fin troppo evidente che nella vita dello spirito non ci sono divisioni e le diverse esperienze, vissute nel profondo, sono fra loro intimamente collegate: non può esserci esperienza di abbandono senza una fiducia illimitata e non può esserci fiducia senza avere sperimentato un immenso Amore. E per scoprire l’Amore occorre essere interiormente poveri, umili.
Il raggruppamento per temi non è pertanto che una divisione fittizia, ma realizzata nell’intento di proporre al lettore un itinerario per meglio seguire il cammino interiore di Teresa, verificare in questo specchio la propria coscienza e riceverne luce e forza per un personale progresso spirituale.

Mi auguro che questa presentazione dell’epistolario, suddiviso in ventiquattro sezioni corrispondenti agli anni vissuti da Teresa di Gesù Bambino, possa aiutare il lettore a meglio penetrare nel cuore del messaggio cristiano, che poi è il cuore della vocazione e missione della santa, ossia l’Amore.
Nell’Amore tutto si semplifica e si collega, ma per vivere l’Amore occorre che tutti gli interstizi del proprio essere siano stati liberati dall’opera dello Spirito che tutto ricrea: i molti percorsi oscuri vengono illuminati da uno sguardo di misericordia, le molteplici dimensioni della propria personalità e le vicende della propria storia ricevono spessore e significato se illuminate dalla luce sfolgorante di Gesù risorto, l’Amico fedele che ci ha già preparato un posto accanto al Padre.

Ecco allora le lettere di Teresa:
lettere per tutti, perché tutti abbiamo una quotidianità da santificare e non possiamo aspettare domani per essere santi;
lettere per ciascuno, perché ciascuno sperimenti la dolcezza di un’amicizia fedele in cui non ci si scambino chiacchiere, ma soltanto parole di vita.

Radicata nel mistero della Trinità, Teresa, la «rosa sfogliata», ci insegna a non temere la sofferenza, ma piuttosto a vivere ogni esperienza di dolore come occasione privilegiata di offerta e di santificazione.
Colei che Pio X ha definito «la più grande santa dei tempi moderni», con le sue lettere suggerisce, insegna, intercede per noi e a tutti promette una «pioggia di rose» che vivifichi lo spinoso cammino della nostra vita con il «profumo di Cristo».
Vivere d’amore, brani scelti dalle lettere di Teresa destinati a chiunque voglia crescere nell’amore, per «essere di più», per essere se stesso, per essere in Dio, per essere.

Maria Antonietta La Barbera

Dio, l’Amore misericordioso

Canterò eternamente
le misericordie del Signore!!!
(A, p. 71)

Domenica 9 giugno 1895, festa della Santissima Trinità, Teresa penetra più intimamente nel mistero di Dio: sperimenta in modo luminoso che Dio è misericordia e che lei è oggetto privilegiato di questa infinita misericordia.
Come potrà manifestare la sua illimitata riconoscenza? Consapevole della sua debolezza e della inadeguatezza di qualsiasi dono, Teresa sceglie di offrirsi, come vittima, all’Amore misericordioso.
Sarà questo Amore ad animare tutto il suo cammino spirituale. Teresa quel giorno scrive il suo atto di Offerta all’Amore misericordioso del buon Dio, che è riportato nella sezione delle preghiere nelle Opere complete, e la cui meditazione consente di partecipare, in qualche modo, alla profonda e rivoluzionaria esperienza interiore della carmelitana di Lisieux.

Da quando mi è stato dato di capire così l’amore del cuore di Gesù, riconosco che quest’amore ha scacciato dal mio cuore ogni timore.
Il ricordo dei miei errori mi umilia, mi induce a non appoggiarmi mai sulla mia forza che non è che debolezza, ma ancor più questo ricordo mi parla di misericordia e d’amore.
Quando con confidenza tutta filiale si gettano i propri errori nel braciere divorante dell’Amore, come potrebbero non essere consumati definitivamente? (247)

La notte del Natale 1886 fu decisiva per la mia vocazione ma per dare un nome più esatto devo chiamarla la notte della mia conversione. In questa notte benedetta, di cui è scritto che essa illumina le delizie di Dio stesso, Gesù, che si faceva Bambino per amor mio, si degnò di farmi uscire dalle fasce e dalle imperfezioni dell’infanzia: mi trasformò in tal modo che io stessa non mi riconoscevo più. Senza questo cambiamento avrei dovuto restare ancora molti anni nel mondo.
Santa Teresa, che diceva alle sue figlie: «Voglio che non siate in nulla come donnicciole, ma che in tutto eguagliate gli uomini forti», santa Teresa non avrebbe voluto riconoscermi come sua figlia, se il Signore non mi avesse rivestito della sua forza divina, se lui stesso non mi avesse armato per la guerra (201).

È vero che la croce mi ha seguito fin dalla culla, ma questa croce Gesù me l’ha fatta amare con passione; mi ha sempre fatto desiderare quel che voleva donarmi (253).

Su questa terra, dove tutto cambia, soltanto una cosa rimane stabile: è la condotta del Re dei cieli nei confronti dei suoi amici (226).

È perché Dio è giusto che «egli è compassionevole e pieno di dolcezza, lento nel punire e ricco di misericordia. Infatti conosce la nostra fragilità e si ricorda che non siamo che polvere. Come un padre ha tenerezza per i suoi figli, così il Signore ha compassione di noi».
Ascoltando queste belle e consolanti parole del Re-profeta, come dubitare che il buon Dio possa non aprire le porte del Regno ai suoi figli che l’hanno amato fino a sacrificare tutto per lui? (226)

Chiedo a Gesù di prendermi quando vuole, anche il giorno della mia professione, se dovessi ancora offenderlo dopo, poiché vorrei portare in cielo la veste bianca del mio secondo battesimo senza alcuna macchia. Ma mi sembra che Gesù possa proprio farmi la grazia di non offenderlo più, oppure di commettere soltanto errori che non l’offendono, ma umiliano e rendono l’amore più forte (114).

Mi sembra che il buon Dio non abbia bisogno di anni per compiere la sua opera d’amore in un’anima: un raggio del suo cuore, in un istante, può far sbocciare il suo fiore per l’eternità! (124)

Non farai fatica a prediligere la croce e le lacrime di Gesù se penserai spesso a questa Parola: «Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me!» (184).

Dio non si lascia vincere in generosità: come potrebbe purificare nelle fiamme del purgatorio anime già consumate dal fuoco dell’amore divino? (226)

Gesù tiene tanto al nostro cuore che, per averlo per lui, acconsente ad alloggiare in un bugigattolo sporco e scuro.

Ah, come non amare un Amico che si riduce a una così estrema indigenza, come osare ancora citare la propria povertà, mentre Gesù, da ricco che era, si è fatto povero per unire la sua povertà alla nostra povertà: che mistero d’amore! (109)

Sì, è nel rifugio segreto dell’anima che Gesù ci istruisce (137).

Gesù ha da molto tempo dimenticato le tue infedeltà; soltanto i tuoi desideri di perfezione gli sono presenti per rallegrare il suo cuore (261).

Gesù si serve di tutti i mezzi, le creature sono tutte al suo servizio ed egli ama servirsene durante la notte della vita.
Ecco una bella pesca, così rosata e zuccherata che tutti i dolciari non riuscirebbero a immaginare un sapore così dolce. Dimmi: è per la pesca che il buon Dio ha creato questo grazioso color rosa così vellutato e gradevole da vedere e da toccare? È sempre per lei che ha consumato tanto zucchero? Ma no, è per noi e non per lei. Ciò che gli appartiene, ciò che fa l’essenza della vita della pesca è il nocciolo, noi possiamo portarle via tutta la sua bellezza senza toglierle il suo essere (147).

Il buon Dio non può darmi prove che sono al di sopra delle mie forze. Mi ha dato il coraggio di sopportare questa prova. Oh, è davvero grande! (36)

Mi fa molto bene vedere che Gesù è sempre così dolce, così tenero verso di me! Mi sono ricordata di quelle parole che un giorno Gesù rivolse alla donna adultera: «Qualcuno ti ha condannata?». E io, con le lacrime agli occhi, gli ho risposto: «Nessuno, Signore. Né la mia piccola Madre, immagine della vostra tenerezza, né la mia suor san Giovanni Battista, immagine della vostra giustizia, e sento proprio che posso andare in pace, perché neppure voi mi condannerete!».
Perché dunque il buon Gesù è così «dolce» verso di me? Perché non mi rimprovera mai? Veramente c’è di che morire di riconoscenza e d’amore! (230)

Il profeta Isaia ci rivela che l’ultimo giorno «il Signore condurrà il suo gregge nei pascoli, riunirà gli agnellini e se li stringerà al petto».

E, come se tutte queste promesse non bastassero, lo stesso profeta, il cui sguardo ispirato si immergeva già nelle profondità eterne, grida in nome del Signore: « Come una madre carezza suo figlio, così io vi consolerò, vi porterò sul mio petto e vi carezzerò sulle mie ginocchia».
Dopo un simile linguaggio, non resta che tacere, piangere di riconoscenza e d’amore (196).

Sì, Gesù ha le sue preferenze: ci sono nel suo giardino frutti che il sole del suo amore fa maturare quasi in un batter d’occhio. Perché noi apparteniamo a questo numero? Domanda piena di mistero… Che motivazione potrebbe darci Gesù? Ahimè, la sua motivazione è che non ha motivazione! (89)

Oh, mio Dio, come siete dolce per la piccola vittima del vostro amore misericordioso! Persino adesso che voi unite la sofferenza esteriore alle prove dell’anima, non posso dire: «Le angosce della morte mi hanno circondato». Ma grido nella mia riconoscenza: «Sono scesa nella valle dell’ombra della morte, ma non temo alcun male, perché voi siete con me, Signore!» (262).

Vorrei cercare di mostrare con un paragone semplicissimo quanto Gesù ami le anime anche imperfette che si affidano a lui: io immagino che un padre abbia due figli birichini e disobbedienti e che, venendo per punirli, ne veda uno che trema e si allontana da lui con terrore, pur sapendo in fondo al cuore che merita d’essere punito, mentre invece il fratello si getta nelle braccia del padre dicendo che gli spiace di averlo addolorato, che lo ama e che, per dargliene prova, d’ora in poi sarà saggio. Poi, se questo figlio domanderà al padre di punirlo con un bacio, non credo che il cuore del padre felice possa resistere alla fiducia filiale del suo bambino di cui conosce la sincerità e l’amore. Tuttavia non ignora che più d’una volta suo figlio ricadrà negli stessi errori, ma è disposto a perdonarlo sempre, se suo figlio lo prenderà sempre per il cuore (258).

So che è necessario essere completamente puri per comparire dinanzi al Dio di ogni santità, ma so anche che il Signore è infinitamente giusto, ed è questa giustizia, che spaventa tante anime, che è invece la causa della mia gioia e della mia fiducia.
Essere giusto non vuol dire soltanto esercitare la severità per punire i colpevoli, vuol dire anche riconoscere le intenzioni rette e ricompensare la virtù.
Io spero nella giustizia di Dio, così come nella sua misericordia (226).

Ahimè, non c’è nulla che perde il suo splendore più facilmente del giglio. Ebbene, io dico che se Gesù ha detto, a proposito di Maddalena, che ama di più colui al quale si è perdonato di più, lo si può dire a maggior ragione, quando Gesù ha rimesso i peccati in anticipo! (130)

Come sono poco conosciute la bontà, l’amore misericordioso di Gesù!
È vero che, per gioire di questi tesori, è necessario umiliarsi, riconoscere il proprio niente ed è questo che molte anime non vogliono fare (261).

Gesù è libero e nessuno ha da domandargli perché dia le sue grazie a un’anima invece che a un’altra (57).

Debolezza

Vedendo le mie imperfezioni
non me ne stupisco più, perché
so di essere la debolezza stessa.
(C, p. 254)

Tutta la forza di Teresa sta nella sua debolezza. Non soltanto non tenta di giustificare a se stessa e agli altri le sue mancanze, ma giunge perfino a gustare la gioia di sentirsi imperfetta.
Dio infatti «sceglie ciò che nel mondo è debole» per compiere le sue meraviglie, e pertanto nulla rende felice Teresa quanto il sentire operare in lei l’Amore misericordioso.
Sperimenta perciò la sua debolezza non come qualcosa di cui vergognarsi, ma piuttosto come lo spazio in cui raccogliere il torrente di grazia che renderà forte e coraggiosa lei che è così debole. È l’esperienza di essere un servo inutile che le dà gioia, « perché non avendo nulla » (DE, p. 1018) riceverà tutto dal buon Dio.
L’ infanzia ipersensibile, i rapporti scolastici difficili, il periodo degli scrupoli, le sofferenze intime alimentano la storia interiore di Teresa, che avrà sempre una piena consapevolezza della sua fragilità.

Sento la mia impotenza a ridire con parole terrestri i segreti del cielo. E poi, dopo aver scritto pagine e pagine, mi sembrerebbe di non avere ancora incominciato…
Vi sono tanti orizzonti diversi, tante sfumature infinitamente varie, che soltanto la tavolozza del Pittore celeste, dopo la notte di questa vita, potrà fornirmi i colori capaci di dipingere le meraviglie che rivela all’occhio della mia anima (196).

Non essere così ingrata da non riconoscere le grazie che ti fa Gesù. Mi fai l’effetto di una contadinella che un re potente venisse a chiedere in sposa e che non osasse accettare, con il pretesto di non essere abbastanza ricca e istruita nelle abitudini della corte, senza riflettere che il suo regale fidanzato conosce la sua povertà e la sua debolezza meglio di quanto non la conosca lei stessa (109).

I suoi prediletti, Gesù vuol renderli simili a lui. Perché spaventarti di non poter portare questa croce senza sperimentare la debolezza?
Gesù sulla via del Calvario è caduto proprio tre volte, e tu, povera piccolina, tu non vorresti essere simile al tuo Sposo, tu non vorresti cadere cento volte, se è necessario, per dargli prova del tuo amore, risollevandoti, dopo la caduta, con una forza ancora più grande? (81)

Ho letto stamattina un passo del Vangelo dov’è detto: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada»; non ci resta che combattere.
Quando non ne abbiamo la forza, è allora che Gesù combatte per noi.
Mettiamo insieme la scure alla radice dell’albero (57).

Com’è facile piacere a Gesù, conquistare il suo cuore: non c’è che da amarlo senza badare a se stessi, senza troppo esaminare i propri difetti (142).

Non temere! Fintanto che la tua lira non cesserà di cantare per Gesù, non si spezzerà mai.
Senza dubbio è fragile, più fragile del cristallo; se tu la dessi a un musicista inesperto, si spezzerebbe subito, ma è Gesù che fa vibrare la lira del tuo cuore.
Egli è felice che tu senta la tua debolezza; è lui che imprime nella tua anima i sentimenti di sfiducia verso te stessa.
Ringrazia dunque Gesù: egli ti colma delle sue grazie più eccelse. Se ti manterrai sempre fedele per fargli piacere nelle piccole cose, lui si troverà obbligato ad aiutarti nelle grandi (161).

Tu ti inganni se credi che la piccola Teresa cammini sempre con ardore nella strada della virtù: lei è debole, molto debole; tutti i giorni ne fa una nuova esperienza.
Ma Gesù si compiace d’insegnarle, come a san Paolo, la scienza di trovar gloria nelle sue infermità: questa è una grande grazia e io prego Gesù di insegnartela, poiché è soltanto in questo che si trova la pace e il riposo del cuore.
Quando ci si vede così miserabili, non ci si vuole più prendere in considerazione e non si guarda che l’unico Diletto! (109)
Il giocattolo di Gesù è la debolezza personificata se Gesù non lo sostiene, e se non è lui stesso a lanciare la sua pallina, questa resterà là inerte, sempre nello stesso posto! (79)
Se noi siamo nulla, bisogna non dimenticare che Gesù è tutto, perciò occorre perdere il nostro piccolo niente nel suo infinito tutto e non pensare che a questo tutto, il solo amabile (109).

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