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Doris Lessing: Leggere per salvarsi la vita

di Severino Cagnin

Verso l’ora di pranzo del 16 ottobre la signora Doris Lessing, sorridendo alla gente e fermandosi a parlare con i vicini di quartiere, con la borsa della spesa, capì di essere attesa da giornalisti e fotografi davanti alla porta di casa. Seppe così che le era stato assegnato il Nobel per la letteratura 2007 e non ne fu per nulla sorpresa. Era nell’elenco fino dal 1996. Molto felici i suoi sostenitori, anche se dubitavano che fosse assegnato ad una donna, l’undicesima dal 1901.
Lei ha detto che lo aspettava da molti anni per gli argomenti di cruda attualità, trattati con appassionata libertà. Andrà pure a ritirare il Premio, a tenere il discorso e devolverà la grande somma ad un villaggio dello Zimbabwe, da cui è stata bandita nel 1956 per la critica alla corruzione del governo dei bianchi. E sull’Africa sarà anche il suo prossimo libro, perché si sente giovane. «Se uno è vivo dentro, non invecchia mai – ha affermato. Il vero momento in cui si invecchia è quando si tirano i remi in barca. Oggi vecchio significa stupido e incapace. C’è sempre qualcuno da condannare e ghettizzare da parte degli altri, che temono di essere disturbati nella loro attività». Si definisce «donna cinica», nel senso che dalla sua età non ha nessun vantaggio, ma non si rassegna a essere quello che fa comodo alla società. La motivazione del Nobel riconosce qualità letterarie ed etiche alla Lessing, definita «cantrice dell’esperienza femminile, che con scetticismo, passione e forza visionaria ha sottoposto una società divisa a un attento scrutinio».
È molto nota a lettori impegnati nel sociale, soprattutto all’estero, ma anche in Italia in spazi culturali qualificati. Una trentina dei suoi cinquanta libri sono pubblicati soprattutto da Einaudi ed ha ottenuto due prestigiosi riconoscimenti con il Premio Mondello. Città di Palermo e il Premio Grinzane Cavour, assegnato anche da studenti delle scuole superiori italiane.
Personalità unica al limite della irregolarità, quasi della stranezza: andare controcorrente è il suo dna. Pochi hanno vissuto una somma di esperienze, così diverse e anche opposte. Nata il 22 ottobre 1919 in Iran, dove si erano trasferiti i suoi genitori, dopo l’infanzia in Russia li seguì a 6 anni nella colonia britannica della Rhodesia. Due volte sposata e divorziata, ha avuto tre figli. Nel 1949 approda trentenne a Londra. Qui pubblica la seconda parte delle sue opere, affronta viaggi in Paesi dove si documenta su situazioni difficili, come in Pakistan nel 1986 sui profughi, da cui nacque il romanzo-réportage Il vento disperde le nostre parole. Scrive molti racconti sulle donne, sull’amore, sull’Africa, dove ancora emerge la questione razziale, a confronto con Londra multietnica e discriminatoria. Si diverte perfino sui gatti, l’animale amato-odiato, che più le assomiglia, casalingo affettuoso, ma egoista e traditore! Gatti molto speciali, come lei, che ribelle ai genitori viene spedita in collegio e ne scappa a 13 anni. Subito lascia definitivamente scuola e famiglia, vivendo da autodidatta e indipendente.
Le sue opere sono comunemente suddivise in femministe, comuniste e psicologiche. Negli ultimi anni scrive di tutte e tre le aree. Taccuino d’oro fu considerato un classico della letteratura femminista, ma lei negò apertamente: «Oggi le donne sono presuntuose, farisaiche e spaventano gli uomini, da loro continuamente vilipesi, insultati e colpevolizzati per i crimini commessi dal loro sesso». Per lei le donne si dovrebbero concentrare sul cambiamento di quelle leggi obsolete che le riguardano, invece di disperdere molte energie in insulti inutili a danno dei maschi.
Nel periodo londinese dal Prix Médicis étranger del 1976 fino al Nobel 2007 sono stati espressi alla Lessing i massimi riconoscimenti internazionali, tra cui di Membro onorario della Royal Society of Literature e del Golden PEN Award, da parte degli scrittori.

Un grido di liberazione lanciato agli oppressi

Per avvicinarsi il meglio possibile al cuore profondo della sua comunicazione e capirne il senso, propongo un percorso su poche opere .
Mia madre può spiegare la radice della sua forza vitale. In questo piccolo capolavoro, intessuto di pena e di bravura, si misura con il tema sempre attuale del rapporto tra madre e figlia. Un lucido ritratto della madre con rifiuto e comprensione per un carattere autoritario e tutto dedito alla famiglia. Il padre, al contrario, sognatore e insofferente della media borghesia londinese, lascia il suo impiego in banca per intraprendere l’avventura coloniale in Persia e in Rhodesia, ma «quello che succedeva era spaventoso – scrive Doris. Oggi si parla in continuazione di un gap generazionale. Ma c’è mai stata distanza più grande di quella tra la generazione dei miei genitori e la mia?» Succedono fatti gravi, fino al tradimento della madre che sposa uno straniero. «Ma io mantenevo alcune stupefacenti convinzioni personali, maturate in me durante quel lungo, lunghissimo incubo in cui ero stata spettatrice del lento distruggersi dei miei genitori». La pacata memoria personale si eleva senza forzature a ritratto di un’epoca, in cui il difficile rapporto tra il padre e la madre riflette le contraddizioni della conquista coloniale e le ragioni del suo fallimento.
Sotto la pelle. Una panoramica sulla prima parte della sua vita, in paesi stranieri, dal 1919 al 1949. Questa opera enciclopedica di cinquecento pagine propone motivati giudizi su di un secolo, con una partecipazione emotiva che intreccia autobiografia personale e storica. Vi si esplicitano valori ed errori della Inghilterra rurale dell’Ottocento, l’emigrazione britannica in Rhodesia, la nascita dell’apartheid, la Grande Depressione economico-sociale degli anni trenta, i movimenti di liberazione ed indipendenza fino all’Europa del secondo dopoguerra. E’ esplicito in ogni pagina un senso critico, cauto e rispettoso. Basta questa citazione: «Ho avuto la possibilità di essere più libera di molti altri perché sono una scrittrice, dotata di quella formazione psicologica propria di chi scrive, che ti pone a una certa distanza dalle cose che tratti». E ne spiega il motivo filosofico, non letterario: «L’intero processo della scrittura consiste nel prendere le distanze. È questo l’importante per lo scrittore e per coloro che leggono i risultati di questo processo, che conduce ciò che è grezzo, individuale, non sottoposto a critica né esaminato, nel dominio di ciò che è generale». E una curiosità: quali sono i libri veri da leggere? Risponde: «Primo fra tutti, il Don Chisciotte. Poi Amleto. Un uomo con il cuore troppo grande per la meschinità che lo circonda. E poi L’uomo senza qualità. Naturalmente non ne hai mai sentito parlare».

Inoltre Dell’amore di Stendhal, che può essere capito solo da adulti; Joseph Conrad per tutti e Il Santo Graal per i bambini. Ma leggere molto è vitale: «Io leggevo, leggevo, leggevo. Leggevo per salvarmi la vita. Com’è difficile trasmettere l’essenza profonda dei periodi difficili, quelli che sembrano non finire mai e che solo quello antico, imperturbabile, occhio di lucertola è in grado di osservare». Ha sempre letto e composto poesie: «Oggi vedo in quel mio scrivere poesie l’equivalente di una che dalla slitta in corsa lancia dei sedativi ai lupi della malinconia».

Da L’Erba canta a Le nonne

Dal primo all’ultimo libro tutto è cambiato, ma lei è sempre rimasta la stessa. La prima opera L’erba canta, meditata per anni, esprime una vibrante dichiarazione d’amore verso l’Africa e una lucida condanna del pregiudizio razziale. Una coppia di bianchi decide di sposarsi e vivere in fattoria. Il matrimonio si rivela un fallimento e per la donna comincia un lungo e doloroso crollo interiore. La giovane Doris traduce nelle vicende emozionanti dei protagonisti il dramma della propria famiglia: la scostante Mary, suo marito Dick, ma soprattutto il Vald, il terreno arido della loro fattoria e il caldo asfissiante, che il lettore ha l’impressione di soffrire. Tutto viene sconvolto dall’arrivo del nero Moses e da un delitto tanto chiaro quanto misterioso. Nelle prime e ultime pagine del lungo racconto confida espressamente che questi anni hanno segnato la sua vita e sono l’ispirazione amara di ogni suo scritto.
Passando per gli undici Racconti africani a confronto con i Racconti londinesi, ritornano i temi eterni dell’umanità: amore, amicizia, dolore, delusione, in storie al femminile, alcune drammatiche, altre ironiche e sarcastiche.
Nel suo ultimo Le nonne dimostra ancora una volta maestria nel catturare la verità della condizione umana, anche in situazioni rischiose.
Nel romanzo Il taccuino d’oro Anna Wulf, la protagonista in cui la scrittrice si identifica, registra le sue esperienze in quattro taccuini: uno nero, per i ricordi della vita in Africa; uno rosso sulla militanza nel partito comunista britannico; uno giallo, dedicato alle sue vicende sentimentali e uno azzurro per sogni ed emozioni. La sfida era di trovare un filo conduttore, che emerge in quello oro, in cui tenta di sciogliere i conflitti tra sesso e società, maternità e politica. Il libro fu considerato uno dei migliori inglesi del dopoguerra e un classico della letteratura femminista da molti critici, ma non dall’autrice.

Solo i piccoli gruppi cambiano il mondo

Ora sono tutti d’accordo che Doris Lessing nelle sue opere migliori esprima una forza straordinaria e dei messaggi drammaticamente attuali. Però troviamo anche ripetizioni, prolissità e contraddizioni. Certamente da 13 a 89 anni ha prodotto un materiale enorme, senza selezionare e rifinire, perché scrivere è stata la forza e il senso della sua vita in ambienti difficili.
In ogni sua pagina sono compresenti pensieri forti e ripensamenti. Lo fa intendere lei stessa, come in questa dichiarazione: «Non ho fiducia nei movimenti per la pace e non credo più nelle grandi organizzazioni. Credo all’impegno di breve periodo di piccoli gruppi su temi specifici. I movimenti per la pace, la lotta contro gli armamenti, semplicemente non funzionano».
La sua poesia preferita è La lode del dubbio di Bertold Brecht:
«Leggete la storia e guardate / in fuga furiosa invincibili eserciti. / In ogni luogo / fortezze indistruttibili rovinano e / anche se innumerabile era l’armata salpando, / le navi che tornarono le si poté contare / […]
Ma d’ogni dubbio il più bello / è quando coloro che sono/ senza fede, senza forza, levano il capo e / alla forza dei loro oppressori / non credono più!»
Il dubbio più bello è la speranza di liberare gli oppressi?

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