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“Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini”. Intorno a Etty Hillesum

di Marina Cvetaeva

Ce lo dice lei: va percorsa da disorientati, da assetati, senza luoghi di ristoro o città rfugio, senza stelle. “Ho sempre nutrito una bruciante voglia di ampie steppe russe”, scrive l’11 giugno del 1941, è “mercoledì mattina, le nove e mezzo”:

“Il mio paesaggio interiore consiste di grandi, vaste pianure, infinitamente vaste, quasi prive di orizzonte, perché ognuna scompare nell’altra”.

Etty Hillesum non lascia illesi, ti spiazza sempre: nelle fotografie sembra una ragazza che ha appena fatto la maturità, esce ora da scuola; ha la limpidezza vorace di chi non può diventare un ricordo. Ti spiazza, Etty, perché è una ragazza comune: non ha il talento dei fratelli, Jaap e Mischa – di cui vanno menzionati i reiterati ricoveri in diversi istituti psichiatrici –, in lei lo stigma dei folli agisce sottopelle, nella voragine della scrittura. Si direbbe – come si dice dei giusti – che sia quasi anonima: ha l’anima nei capelli, spesso in disordine, sa amare con avidità, le “vaste pianure” in cui si rispecchia sembrano quelle percorse dal messaggero di Franz Kafka, che per celeste distanza mai saprà consegnare il messaggio dell’Imperatore (eppure, ne sappiamo, per rifrazione di sogno). Ma tutto è singolare, in Etty Hillesum, tutto scardinato e scandito fino al suo senso intimo, tutto salvato, perfino quelle “tre stelle nella cornice nera della mia finestra”, catalogate il 13 dicembre del 1941, alle nove di un sabato mattina. Il tempo è storico perché assoluto, così la miseria può diventare la quintessenza della grazia.

“Se un uomo delle SS dovesse prendermi a calci fino alla morte, io alzerei ancora gli occhi per guardarlo in viso, e mi chiederei, con un’espressione di sbalordimento misto a paura, e per puro interesse nei confronti dell’umanità: Mio Dio, ragazzo, cosa mai ti è capitato nella vita di tanto terribile da spingerti a simili azioni? Quando qualcuno mi rivolge parole di odio… non provo mai la tentazione di rispondere con l’odio, ma sprofondo improvvisamente nell’altro, in una sorta di disorientamento doloroso e al contempo interrogativo, e mi chiedo perché l’altro sia così, dimenticando me stessa”.

In Etty, i rapporti sono rari, preziosi e laceranti: Han J. Wegrif, vedovo, contabile, che le affitta una camera ad Amsterdam e con cui ha una relazione; Julius Spier, psico-chirologo che la stimola a scrivere – si legge la mano come si scrive un libro – il Diario, tra le più laceranti, analitiche e radiose ‘confessioni’ della letteratura (in Italia l’“edizione integrale” è edita da Adelphi). Fece del lavoro presso il campo di transito di Westerbork una missione, tradusse il corpo in ostia:

“Quando soffro per gli uomini indifesi, non soffro forse per il lato indifeso di me stessa? Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati, e da molto tempo. Lui era il potente tronco attorno al quale le nostre vite femminili si arrampicavano”.

Amava Rilke – “finisco sempre per tornare a Rilke” –, ci ha insegnato che “un’anima è fatta di fuoco e di cristalli di roccia”, è dunque mobile e serpentina, brillante e intoccabile, “dura… ma anche dolce”, e morì, probabilmente, il 30 novembre del 1943, ad Auschwitz, con tutta la famiglia. Il suo Diario non concede pace, è un perpetuo assalto, per questo Etty Hillesum. Il coraggio della scrittura (Edizioni Ares, 2022)non può che essere un libro intimo, personale, un invito alla lettura che riferisce di un mutamento – già: leggere pone un pericolo, sancisce un rischio. Lo ha scritto Annalisa Consolo, “autrice e sceneggiatrice”, con rara empatia. Non si esce indenni dalla Hillesum: ogni rigo è un affronto, la bella lotta dell’anima. Etty aveva urla, dentro, una muta:

“Quello che più mi spaventa è il torpore… Eppure deve esserci qualcuno che sopravvivrà e potrà testimoniare che Dio è vissuto anche in questi nostri tempi. E perché non dovrei essere io quel testimone?”.

Qui, un dialogo con Annalisa Consolo.

L’importanza del corpo nel corpus di Etty Hillesum. Tutto, a leggere la biografia, pare mediato, in EH, dall’esperire, dal toccare, dal sentire con mano, con tutto il corpo. Pure Dio. È così?

È una mediazione che si sviluppa in modo diverso nel corso della vita di Etty. Fino al momento in cui si reca da Spier – e per un po’ anche dopo – quella attraverso il corpo è forse l’unica modalità di esperire la vita che Etty riesce ad attuare, ed è singolare perché in realtà era una persona molto celebrale. Ma per quanto senta di assorbire tutto, troppo, a livello mentale, è poi nel corpo che lo vive, senza alcun equilibrio. È con il corpo che vuol fare tutto suo, anche un fiore: non le basta goderne guardandolo, vorrebbe assorbirlo in se stessa, farsi una sola cosa con esso. Fa lo stesso con gli uomini, senza che però la cosa l’appaghi. È un corpo che non riesce a controllare, che somatizza la realtà e i rapporti, soprattutto quelli – complessi, quasi disfunzionali – con i famigliari. È in seguito, con l’aiuto di Spier e della scrittura, che riesce a trovare l’equilibrio, che raggiunge la tanto agognata armonia tra mente e corpo; corpo che solo allora diventa vero mezzo di esperienza della realtà, vera mediazione. Non è più vorace, ma assorbe e sperimenta con l’equilibrio di una pace raggiunta. È in quel momento che il corpo riesce a manifestare la scoperta e il maturare del rapporto con Dio, e anche in questo c’è un’evoluzione: il corpo di Etty passa dall’improvvisa necessità interiore che “esplode” nel gesto esteriore di inginocchiarsi, ad un atteggiamento di preghiera ormai così assimilato in se stessa da non aver più bisogno dell’espressione esteriore. E non per chissà quale misticismo, ma perché il dialogo con Dio è ormai così connaturato in lei, e lei ormai è così ordinato insieme di anima e corpo, che è il suo stesso «stare» ad essere dialogo. È lei sorgente perché in lei è la Sorgente.

“Leggere tutto Rilke”, scrive la Hillesum in un passo che lei riporta nel lavoro biografico. In quello stesso brano si accenna al “coraggio di essere sola con me stessa”. Quasi che la mediazione letteraria, la poesia, la meditazione lirica serva a quello: sfrondare tutto, fino all’osso, fino al nulla. Ed ecco i punti cardinali del pensare di Etty, così pare, tutto, nulla; nulla, tutto. Mi dica, dimmi, è così?

È così… In Etty la scrittura è attitudine alla vita – e viceversa – perciò la maturazione della scrittura procede di pari passo alla sua maturazione interiore: dal tutto assimilato senza alcun filtro, senza alcun centro, senza la capacità di rimanere da «sola con se stessa» per far davvero suo ciò che di volta in volta assorbe, all’osso in cui scrittura e vita sono la giusta proporzione tra parola e silenzio, tra contemplazione e azione appassionata. Forse, allora, più che «nulla», lo definirei «ordine»… quello interiore che riesce a costruirsi e che finalmente la centra. L’ordine rappacificato della sua distesa interiore, dalla quale attinge le forze e l’energia per procedere nella sua vita. Il passaggio lo si vede soprattutto nelle lettere, molto più dirette e scarne del diario, senza troppe considerazioni “emotive” e ancora di più radicate nella realtà.

Perché Etty Hillesum non è diventata una sorta di Anna Frank? Intendo, resta pensatrice, donna, ‘scomoda’, non inquadrabile…

Ho fatto questa stessa domanda a Manja Pach, fondatrice – insieme al marito Fritz Grimmelikhuizen – dell’Etty Hillesum Centre a Deventer e del Centro di Documentazione e Memoriale di Westerbork, il campo di smistamento dove Etty è andata come volontaria per dare assistenza agli ebrei internati in attesa della deportazione.

Da una parte, il fatto che non sia sopravvissuto nessuno della famiglia Hillesum non ha “aiutato” la diffusione delle sue opere e del suo pensiero: nel caso di Anna Frank, fu il padre ad adoperarsi perché il diario trovasse un editore e venisse pubblicato, e la sua figura conosciuta. Inoltre, quando Klaas Smelik senior provò a trovare qualcuno interessato alla pubblicazione del diario di Etty, lo fece in un momento storico in cui non si era ancora pronti ad interrogarsi su quello che era appena successo… L’interesse e la necessità di capire il dramma della persecuzione si sviluppò solo anni più tardi, passata la generazione di quanti lo avevano vissuto in prima persona. Dall’altra parte, rispetto al diario di un’adolescente in crescita, quello di Etty venne considerato all’epoca troppo introspettivo, troppo ostico per il pubblico normale. Senza contare che, probabilmente, l’estrema sincerità e immediatezza con Etty cui tratta aspetti delicati come la collaborazione di ebrei alla deportazione di altri ebrei, può averla resa respingente alla sua stessa gente.

Personalmente, credo che la difficoltà sia attribuibile ad un aspetto più “personale”: con la sua scrittura così sincera e, per certi versi, spietata, Etty impone di guardarsi dentro, di interrogarsi su stessi e sul proprio stare al mondo, e forse non tutti sono disposti a farlo…

Difficile scegliere un solo testo… perciò ne indicherò due, che per motivi diversi mi hanno colpita in due momenti diversi della mia vita. Il primo è quello che Etty annota nel diario il 21 marzo 1941:

“Una volta mi immaginavo un futuro caotico perché mi rifiutavo di vivere l’istante più prossimo. Ero come un bambino viziato, volevo che tutto mi fosse regalato. A volte avevo la certezza – peraltro molto vaga – che in futuro sarei potuta diventare «qualcuno» e avrei realizzato qualcosa di «straordinario», altre volte mi ripigliava quella paura confusa che «sarei andata in malora lo stesso». Comincio a capire perché: mi rifiutavo di adempiere ai compiti che avevo sotto gli occhi, mi rifiutavo di salire verso quel futuro di gradino in gradino”.

È stato il primo brano nel quale mi sono imbattuta e mi ha colpita perché stavo vivendo proprio la stessa condizione. Avevo appena finito l’università e non avevo idea di cosa avrei fatto dopo, eppure ero anche io colta da quella «vaga idea» che in futuro sarei diventata qualcuno… allo stesso tempo, però, volevo arrivarci senza la fatica di salire gradino per gradino. Era un disagio che non ero mai riuscita a mettere a parole e leggerlo così chiaramente in Etty mi ha fatta sentire “vista” e allo stesso tempo mi ha fatto comprendere che nessun altro avrebbe potuto salire per me quei gradini… o mi adoperavo con tutti i miei mezzi per farlo, o sarei rimasta ferma, senza nessuno da biasimare a parte me stessa.

Il secondo brano è quello che ha già citato poco sopra, il passaggio su Rilke (Etty lo riporta il 22 aprile 1942):

“Per ora il mio più acceso desiderio è questo: leggere tutto Rilke, qualunque cosa abbia mai scritto, ogni lettera, assumerlo in me e poi espellerlo, dimenticarlo e vivere nuovamente della mia sostanza. Capire quando mi trovo sotto la sua influenza e quando i suoi umori e i miei coincidono a tal punto da non poter nemmeno più parlare di influenza…”.

Questo suo desiderio mi ha colpito molto più di recente, perché solo di recente mi è capitato di provarlo, esattamente allo stesso modo e con lo stesso ardore. Nel mio caso non si tratta di uno scrittore ma di una regista e sceneggiatrice (io, dopotutto, nasco come sceneggiatrice), l’incontro con la quale è stato per me significativo quanto lo fu l’incontro di Etty con Rilke: un incontro di quelli che ti cambiano la vita e che ti fondano per un qualche aspetto dell’esistenza. Confesso anche di aver provato un certo sollievo nello scoprire che già qualcun altro, prima di me, aveva provato la medesima passione/ossessione… fa sempre piacere riconoscersi nei propri entusiasmi!

Infine, ha sentito la necessità di percorrere “I luoghi di Etty”: perché?

Andare sui luoghi di Etty è stato come una sorta di pellegrinaggio: volevo vedere il pezzetto di mondo che ha attraversato. Provavo il desiderio di andare oltre l’Etty che avevo letto e studiato, volevo scoprire la sua realtà, i suoi luoghi… L’avevo assimilata come oggetto di studio e volevo rompere la distanza che si era creata e concretizzarla invece come persona. È un assumere totalmente diverso quello che deriva dal calpestare gli stessi luoghi, dall’osservare i medesimi panorami. In un certo senso, è come se ne avessi bisogno per sapere il libro completo, come se Etty stessa me lo richiedesse.

 

 

Il coraggio della scrittura | Etty Hillesum | Edizioni Ares | 2022 | pagine 160 | euro 15,00

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