Rebecca libri

Il prezzo della fede Giuseppe Bernardi, Massimo Epis, Fulvio Ferrario, Giovanni Trabucco, Glossa, 2013

di Giuseppe Bernardi, Massimo Epis, Fulvio Ferrario, Giovanni Trabucco, Glossa, 2013

TEGEL, 21 LUGLIO 1944
UN ITINERARIO CRISTIANO

FULVIO FERRARIO

Caro Eberhard, oggi voglio inviarti solo questo breve saluto1: in effetti, la lettera che Dietrich Bonhoeffer invia a Bethge il 21 luglio 1944 non è lunghissima. Essa costituisce, tuttavia, ben più che un «breve saluto». Da un lato, vuole comunicare uno stato d’animo. Il fallimento dell’attentato a Hitler del giorno precedente costituisce, ovviamente, un colpo durissimo, che distrugge ogni pos­ sibilità della Germania di presentare ai prossimi vincitori della guerra un governo diverso da quello che ha con­ dotto il paese e il mondo alla catastrofe. Il detenuto, inol­ tre, si rende certamente conto che il fallimento dell’atten­ tato di von Stauffenberg potrebbe avere, come in effetti accadrà, conseguenze fatali per la propria vicenda perso­ nale e per quella del cognato Hans von Dohnanyi. Tuttavia, come è nello stile del teologo e della sua famiglia, la prima preoccupazione è di rassicurare l’amico: il processo di elaborazione dello shock è già in pieno svolgimento, Bonhoeffer non ha alcuna intenzione di lasciarsi travol­ gere dallo sconforto. In secondo luogo, la lettera costitui­ sce anche una sorta di testamento spirituale e dunque una chiave di lettura della parabola bonhoefferiana: in questa prospettiva si muove la mia presentazione.

l. Praxis pietatis

La dimensione della preghiera e della meditazione co­ stituisce, anche in carcere, il contesto spirituale entro il quale si svolge la riflessione bonhoefferiana. Lo sviluppo dalla stagione di Finkenwalde alle prospettive elaborate nella cella 92 del carcere di Tegel è estremamente signi­ ficativo, ma anche il «cristianesimo non-religioso» richiede l’assetto esistenziale costituito da una collaudata praxis pietatis. Anche se, egli osserva, «le riflessioni teologiche mi impegnano costantemente, arrivano anche momenti in cui mi faccio bastare i processi irriflessi della vita e della fede» (503). Di questi ultimi fa parte la lettura quotidiana delle Losungen, i versetti biblici giornalieri che, dal 1730, accompagnano la riflessione di cristiani evangelici di tutto il mondo2. La meditazione bonhoefferiana pone al centro la capacità di riferire a sé e alla propria esperienza il testo biblico, in un atteggiamento che vorrei definire post-cri­tico: non siamo, cioè, di fronte a un ingenuo biblicismo, ma nemmeno a un approccio asettico alla Scrittura, che in definitiva risulta incapace di cogliere in essa la parola di Dio. Bonhoeffer conosce le istanze della critica e, al tempo stesso, quelle della voce di Dio che giunge attra­ verso il testo. Il Sal 20,8, unito a Rm 8,31 (20 luglio) e il Sal 23,1, unito a Gv 10,14 (21 luglio), configurano il codice spirituale mediante il quale il teologo esprime e trasmette all’amico la propria determinazione a continuare, nel mo­ mento più difficile e nelle forme possibili, la battaglia.
Accanto alle Losungen troviamo i «bei Lieder di Paul Gerhardt» (503), una sorta di colonna sonora della fede, evangelica e non solo. Gerhardt è tra gli autori più citati nelle lettere dal carcere; a prima vista, ciò potrebbe stu­ pire, visto che i suoi inni appaiono, per molti aspetti, classicamente «religiosi». Forse proprio l’avverbio, «classi­ camente», può aiutare a comprendere la struttura di que­ sta sorta di paradosso. La critica bonhoefferiana alla «reli­ gione» è di carattere cristiano e luterano, nutrita, dunque, da una tradizione precisa; quest’ultima si esprime in ter­ mini «religiosi» ma, nelle sue espressioni, appunto, classi­ che (alle quali, certamente, appartiene la lirica di Ger­ hardt), essa affonda le proprie radici nella profondità dell’anima biblica alla quale, anche e proprio al di là della «religione», la fede deve costantemente ritornare. La cele­ bre poesia Van guten Machten, ad esempio, risente pro­ fondamente della consuetudine con il grande innografo. Dal punto di vista di Bonhoeffer, dunque, le Losungen e Paul Gerhardt non costituiscono una sorta di residuo pie­ tista in una teologia che vuole dialogare con un mondo
«diventato adulto», bensì coordinate spirituali quasi «a priori» rispetto all’evoluzione del pensare teologico. La praxis pietatis costituisce un eccellente punto di osserva­ zione per studiare il tema della continuità-discontinuità nella riflessione bonhoefferiana. La svolta dell’ultimo periodo, come afferma l’autore stesso, è comprensibile solo sulla base del solido fondamento spirituale costituito dalla disciplina quotidiana: sufficientemente solido, tale fonda­ mento, da poter assorbire anche le inevitabili oscillazioni, dovute a circostanze del tutto fuori dall’ordinario. Proprio il «cristianesimo non religioso», che deve rinunciare ai puntelli di una visione del mondo ereditata dalla tradi­ zione, richiede strutture spirituali consolidate, entro le quali il rapporto con Dio può sviluppare una ricerca che resta strutturalmente precaria e sofferta, ma che non per questo evapora nell’astrattezza intellettualistica che così spesso caratterizza molto cristianesimo di matrice oc­ cidentale, nell’epoca della scristianizzazione che Bon­ hoeffer vede avanzare.

Conclusione

C’è qualcosa di futile in molte riflessioni (temo di averne svolte diverse io stesso) sull’«attualità» di Bonhoef­ fer. Si discute se la «religione» sia effettivamente tramon­ tata o non stia, invece, ritornando; se l’orizzonte politico di Dohnanyi e del teologo non sia, in realtà, irrimediabil­ mente reazionario o almeno conservatore, e dunque del tutto inadeguato al mondo che sarebbe uscito dalla guerra; se la sua valutazione del «divenire adulto» del mondo non risulti, in definitiva, ingenua; o, anche, in prospettiva opposta, se anche il suo non sia, in ultima analisi, un tentativo di retroguardia di salvare la fede cri­ stiana dalla critica secolaristica, ricorrendo a strategie di immunizzazione (del tipo: «in realtà il vero cristianesimo, la vera fede, sono altra cosa») fatalmente di corto respiro. Naturalmente in queste, come in molte altre, piste di ri­ flessione vi sono aspetti degni di approfondimento. Non credo però che il significato della testimonianza bonhoef­ feriana sia riducibile a un complesso di affermazioni teo­ logiche; meno ancora, naturalmente, essa si può ridurre al mito, ingenuo e anche un po’ kitsch, del cavaliere senza macchia e senza paura, nelle opere del quale si può sem­ pre trovare la citazione brillante ed efficace per conclu­ dere una predica. Ritengo che Bonhoeffer offra assai di più. Il suo è un cammino: umano, di fede, teologico. Tutti e tre gli aspetti sono vissuti con una intensità e un livello di consapevolezza estremamente elevati, tale da fare della sua storia e della sua opera un grande classico del XX secolo, cioè una fonte di riflessione e ispirazione in grado di rinnovarsi nei contesti più diversi. Le tesi del teologo e la sua testimonianza di vita costituiscono, certamente, un intreccio di rara ricchezza. Forse, però, è ancora più fecondo il carattere di itinerario di tale intreccio, il movi­ mento dei diversi fili che lo compongono, il costante ri­ torno in discussione di punti che si credevano acquisiti. Il nostro cammino non è, naturalmente, quello di Bonhoef­fer. Alla sua scuola, tuttavia, è forse possibile apprendere ad attraversare la propria storia personale, e quel fram­ mento della storia mondiale che diviene nostro, ponendo domande e rischiando risposte che non cessano, per il fatto di essere precarie, di generare speranza e, nel caso migliore, di suscitare, retrospettivamente, gratitudine.

Sono riconoscente di avere avuto la possibilità di capire questo, e so che l’ho potuto capire solo percorrendo la strada che a suo tempo ho imboccato. Per questo penso con riconoscenza e in pace alle cose passate e a quelle presenti (505).


1 D. BONHOEFFER, Resistenza e resa (Opere dì Dietrich Bonhoeffer, 8), a cura di CH. GREMMELS – E. BETHGE – R. BETHGE – I. T6DT, Queriniana, Brescia 2002, 503. I riferimenti alla lettera del 21 luglio 1944 saranno, d’ora in avanti, indicati nel testo, ponendo tra parentesi il numero della pagina. Non è pos­ sibile, in questa sede, dar conto analiticamente della bibliografia critica di volta in volta presupposta e implicitamente discussa. Indico le opere di riferimento fondamentali: E. BETI-IGE, Dietrich Bonhoeffer, Teologo Cristiano Contemporaneo. Una biografia, Queriniana, Brescia 1975, 20043; E. FEIL, Die Tbeologie Dietrich Bonhoeffers. Hermeneutik Christologie Weltverstandnis, Kaiser – Griinewald, Monaco – Mainz 1971; A. GALLAS, Ànthropos téleios. L’itinerario di Bonhoeffer nel conflitto tra cristianesimo e modernità, Que­riniana, Brescia 1995.
2 Da quasi vent’anni ne esiste un’edizione italiana, Un giorno, una parola, edita dall’editrice Claudiana, Torino.

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