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La narrativa di McEwan. uno scrittore da Nobel

di Silvia Stucchi

Il nome di Ian McEwan (Aldershot, 1948) è stato spesso accostato al Premio Nobel per la Letteratura. Tra i suoi romanzi più acclamati ricordiamo Espiazione (Einaudi 2001), da cui l’omonimo film di Joe Wright (2007) con Keira Knightley e James McAvoy e lo struggente Bambini nel tempo (Einaudi 1988). Abbiamo chiesto a Silvia Stucchi, titolare della Doppia Classifica di Studi cattolici, un ritratto a tutto tondo del bestellerista britannico.

Macchine come me (Einaudi 2019) il penultimo romanzo di Ian McEwan (il più recente è Lo scarafaggio, Einaudi 2020), solo apparentemente si avventura in un territorio impervio e nuovo per questo autore: la fantascienza e il romanzo distopico. In realtà, al di là dell’ambientazione in un 1982 alternativo, ritornano nel romanzo i temi cari alla narrativa di McEwan: il corpo e i suoi condizionamenti sullo spirito e sui sentimenti, un certo gusto per il paradosso, che raggiunge spesso tocchi macabri, la crudeltà e la menzogna nei rapporti interpersonali, il corpo e lo spirito nei loro legami più inaspettati e inesplorati.
Il protagonista di Macchine come me, Charlie Field, vive un’esistenza di grigiore insoddisfatto: lasciato il lavoro, si guadagna da vivere investendo, comprando e vendendo azioni on line dal pc di casa: ma rimarca come tale attività, che pure occupa gran parte delle sue ore, gli renda in fondo appena quanto corrisponde allo stipendio di un portalettere. Con l’eredità della madre Charlie avrebbe potuto acquistare una casa in un quartiere elegante di Londra: ma ha preferito investire le ottantamila sterline del lascito nell’acquisto di un androide, Adam. Sì, perché nel 1982 in cui è ambientato il romanzo, non solo l’Inghilterra è stata sconfitta, con cospicue perdite, nella guerra delle Falkland, John Lennon è ancora vivo e i Beatles si sono ricomposti; in questo 1982 distopico, la rivoluzione digitale è avvenuta da tempo, e uno degli artefici è stato Alan Touring, il quale, lungi dall’essersi suicidato, è una celebrità, gode di indiscusso prestigio e ha accumulato una enorme ricchezza.
Acquistando Adam, Charlie immagina di programmarlo e dargli una personalità insieme a Miranda, la giovane vicina del piano di sopra, studentessa di storia sociale di cui è innamorato, ma che sembra sfuggire eccessivi coinvolgimenti: questo atto creativo compiuto insieme, questo dare se non la vita almeno il carattere insieme a Miranda dovrebbe cementare la loro unione.
Ma le cose vanno oltre le previsioni, e McEwan ci mostra che cosa può accadere giocando con le tre leggi della robotica. Per prima cosa, Adam, che ha accesso a tutti i database possibili, compresi quelli dei tribunali, avverte il suo creatore che Miranda gli nasconde qualcosa; o meglio, che la ragazza è una bugiarda patologica. In effetti, le molteplici assenze di Miranda sono dovute alla periodiche visite al padre, uno scrittore dalla salute piuttosto malconcia, ma c’è anche una sgradevole vicenda giudiziaria: qualche anno prima, la sua testimonianza ha fatto condannare per violenza sessuale un ragazzo, Peter Gorringe, che sta ora per uscire dal carcere ma che, a quanto pare, ha dichiarato a un compagno di cella, già uscito di prigione, che appena sarà libero ucciderà la giovane. Perché, a ben vedere, nel caso di stupro denunciato da Miranda, c’era qualcosa che non quadrava e in effetti, sollecitata da Charlie, la ragazza rivela tutto: in realtà ha attirato il suo aggressore per vendicare un’altra violenza, rimasta impunita, ai danni di una sua giovane amica. Nel frattempo Adam si rivela un androide tenacemente attaccato alla vita: alla minaccia di spegnerlo, reagisce prima spezzando un braccio a Charlie (alla faccia della prima legge della robotica), e poi disattivando l’interruttore dello spegnimento. Inoltre, l’androide rivela di poter provare sentimenti umani: si innamora di Miranda, e ispirato da questo sentimento compone haiku forse un pochino ripetitivi, ma non disprezzabili; infine, si rivela abilissimo nel giocare in borsa, tanto da moltiplicare in breve i guadagni di Charlie, che, oltre a comprarsi un’auto nuova e a rinnovare il guardaroba suo e di Miranda, inizia a valutare l’acquisto di una nuova casa, lussuosa e spaziosa, dove vivere con la ragazza, che medita di sposare, e con un bimbo, tolto ai genitori dai servizi sociali, che Miranda vuole adottare.
Tutto sembra volgere al meglio, dunque, ma qualcosa incrina il quadro: in primo luogo, gli androidi sono meno controllabili del previsto, e, in alcuni casi, gli Adam e i loro corrispettivi femminili, le Eva, manifestano tendenze suicide o autolesionistiche. Adam, poi, nella sua estrema correttezza, decide di devolvere a enti benefici il denaro che ha contribuito ad accumulare sul conto di Charlie, che si ritrova con poche sterline, perché quei soldi non sono giunti a lui correttamente, ma sono stati guadagnati da Adam, che quindi può disporne come meglio crede; inoltre, il culto assoluto di Adam per la verità fa sì che egli decida di far riaprire il caso di Miranda, facendola condannare per menzogna: e la condanna in tribunale della ragazza fa sfumare la possibilità di adottare Mark, che si stava concretizzando.

L’ossessione per l’amore

Le mille sfumature delle relazioni amorose sono esplorate da McEwan in tutte le loro possibili declinazioni: nel primo libro dell’autore Fra le lenzuola e altri racconti (1978, ripubblicato nel 1997 sempre per Einaudi), addirittura troviamo, condotta secondo la tecnica dell’asposdoketon, il racconto della coabitazione di un’antropologa con uno scimpanzé; nell’Amore fatale (1997, da cui venne tratto nel 2004 un film con un allora semisconosciuto Daniel Craig, Rhys Efans e Samantha Morton) il protagonista, Joe Rose, ricercatore universitario passato con successo alla divulgazione scientifica, diventa oggetto delle attenzioni sgradite di Jed Parry, uno strano personaggio affetto dalla sindrome di Clérambault, una rara malattia psichiatrica che fa credere al soggetto che ne è affetto di essere ricambiato nel suo sentimento di amore impossibile, oltre ogni ragionevole smentita, sino a perseguitare la persona che ha suscitato i suoi sentimenti. L’Amore fatale si apre con una sequenza magistrale che dà conto di un’altra delle caratteristiche salienti della scrittura di McEwan: il virtuosismo tecnico, l’assoluta padronanza del romanzo, infatti, si apre con la descrizione di un naufragio celeste, ovvero della caduta a terra di una mongolfiera, evento che interrompe il pic-nic di Joe e della sua compagna. Un analogo sfoggio di virtuosismo è nelle prime pagine di Sabato (2005): il sabato da cui prende il titolo il romanzo è il 15 febbraio 2003, quando il protagonista, Henry Perowne, svegliatosi prestissimo, vede un aereo con un motore in fiamme solcare il cielo londinese diretto verso l’aeroporto di Heathrow. Henry è un neurochirurgo affermato, e quel giorno, in cui si tiene a Londra una monumentale manifestazione contro la guerra in Iraq, dovrà incontrare la figlia, Daisy, di ritorno da Parigi, in una riunione di famiglia. Una volta tanto, caso quasi insolito nella produzione di McEwan, Henry è felicemente sposato: e raccontandoci il primo incontro del protagonista con la bella moglie, l’autore ci presenta un caso da manuale della neurochirurgia: molti anni prima, la giovane Rosalind, che diventerà la sua consorte, arriva all’ospedale in cui Henry è impegnato come praticante, in lacrime e terrorizzata: di colpo, infatti, sta perdendo la vista; il motivo è un tumore, benigno, ma che le comprime ipofisi e nervo ottico. Per guarirla, è necessaria una operazione che McEwan descrive nel dettaglio: si tratta, letteralmente, di sollevare i muscoli facciali della ragazza, a partire da una piccola incisione nel labbro, per poter operare. Se l’Adriano di Marguerite Yourcenar poteva dire di avere letteralmente tenuto il cuore di Antinoo fra le mani, Henry può dire di avere letteralmente visto dietro lo sguardo, bellissimo, di Rosalind, e di avere contribuito a ridare la vista agli occhi che subito lo avevano tanto colpito. La lunga descrizione delle fasi dell’operazione è il frutto di mesi di studio da parte dell’autore a contatto con medici e neurochirurghi ; inoltre, nel romanzo viene sviluppato il tema, ricorrente nelle opere di McEwan, del rapporto fra cultura scientifica e letteraria: la prima è rappresentata da Henry, medico, che, dichiaratamente, ha sempre trascurato la letteratura sin dal tempo dei suoi studi; quella umanistica e letteraria è rappresentata dal fatto che la moglie di Henry, Rosalind, è figlia di un famoso poeta, e anche la figlia di Henry è una giovane scrittrice. La necessaria cooperazione fra i due àmbiti del sapere è rappresentata dal fatto che il protagonista viene aggredito, nella mattinata, da un balordo, nei cui atteggiamenti e movenze il medico riconosce i segni di una malattia neurologica degenerativa, la Corea di Huntington e cui promette assistenza; ma quando il personaggio si ripresenterà a casa del neurochirurgo, animato da pessime intenzioni, proprio quando tutta la famiglia è riunita, sarà la figlia a recitare non una sua poesia, come le impone il malvivente, ma una lirica di Matthew Arnold, che lo disarma emotivamente.

L’importanza dei legami

Un matrimonio è spesso al centro dell’intrigo nei romanzi di McEwan: può essere un legame forte come quello di Henry e della moglie in Sabato, un matrimonio fra due giovani, talentuosi ma ignoranti nelle questioni amorose, protagonisti di Chesil Beach (2007, diventato nel 2017 un film con Saoirse Ronan e Billy Howle, con la sceneggiatura di McEwan stesso) e destinati a una pessima luna di miele; oppure, possiamo trovare messe confronto due coppie, come nel disturbante Cortesie per gli ospiti. I romanzi di McEwan non sono mai anodini, non lasciano mai impressioni soltanto delicate e piacevoli, e Cortesie per gli ospiti (da cui pure è stato tratto, nel 1990, un film di Paul Schrader, con Christopher Walken, Rupert Everett e Helen Mirren) è forse uno degli apici della sua produzione. Cortesie per gli ospiti è ambientato a Venezia, dove una giovane coppia di inglesi in vacanza, Mary e Colin, una sera si perde fra calli e campielli. A guidarli fuori dal dedalo di viuzze, verso un luogo ancora più insidioso delle strade notturne in una città straniera, è Robert, un personaggio inquietante, che ospita i due turisti nella sua bella casa, e che in precedenza li aveva spiati durante le loro passeggiate per la città, fotografandoli e sviluppando le fotografie, ingrandite, che Mary troverà. La moglie di Robert, Caroline, sembra una perfetta padrona di casa, efficiente e premurosa ma vive come da prigioniera nella sua bellissima casa, da cui non può uscire, a causa di dolori lancinanti alla schiena: se volesse potrebbe uscire di casa, ma non potrebbe più rientrare, perché non sarebbe in grado di fare le scale. Come e perché si sia spezzata la schiena, Mary lo scoprirà solo quando sarà troppo tardi, e capirà troppo tardi che cosa i suoi anfitrioni intendano per «cortesie per gli ospiti», e chi siano gli ospiti verso i quali essere cortesi, in un gioco di inganni, manipolazione psicologica e crudeltàche incute davvero stupore e spavento. Due coppie atipiche sono al centro anche di Bambini nel tempo (1987); la prima di esse, costituita da Stephen e Julie, sembra veramente la famigliola tipo spot pubblicitario: lei musicista, lui autore di libri per bambini di successo, sono felici, benestanti, con una bellissima bambina, Kate. Peccato che un giorno, al supermercato, mentre Stephen è per un attimo intento a svuotare il carrello alla cassa, la bambina, che è sempre stata accanto al padre, sparisca, e non se ne trovi più traccia. Il fatto fa deflagrare il matrimonio con Julie, che si ritira a vivere in una casa isolata, fuori città; nel frattempo, Stephen si trova coinvolto nella stesura di un manuale, edito dal Ministero della salute, che abbia come oggetto la puericultura, argomento di cui è considerato un esperto, dato il suo successo come autore di libri per l’infanzia. In realtà, non solo Stephen passa il tempo, nelle riunioni della commissione di autori, nell’abulia più totale, pensando a quali tappe della crescita la figlia scomparsa starebbe attraversando, ma nemmeno è un esperto di psicologia infantile: il suo successo di scrittore di libri per bambini nasce tutto da un malinteso. Il suo primo libro era infatti pensato per un pubblico adulto, ma venne per un errore recapitato ai redattori che, nella casa editrice, si occupavano dei libri per bambini; dato il successo del volume, però, Stephen ha sempre proseguito a lavorare per questo filone, con un certo distacco, spronato però dal suo editore. Quest’ultimo, Charles, un uomo intelligentissimo e brillante, è sposato con una donna di qualche anno più vecchia, Thelma, una astrofisica che si occupa di ricerche sul tempo (un fisico vincitore del Premio Nobel, megalomane e dal carattere difficile, sarà anche il Michael Beard, protagonista di Solar, Einaudi 2010). La maledizione di Charles è stata non solo un padre ambizioso, ma anche la sua intelligenza stessa. Dotato di una mente brillante, affascinante, piacevole, con un grande carisma personale, Charles riesce sempre ad avere grande successo, in tutto quello che fa, compresa la carriera politica: in particolare, il primo Ministro sembra ormai essere completamente dipendente da lui, e quando Charles e Thelma si ritirano a vivere in campagna, Stephen è letteralmente tallonato dal capo del governo, che non ha più notizie di Charles. Quest’ultimo, in realtà, ha sempre investito energie così massicce nella sua carriera lavorativa, mondana, politica, che non si è mai concesso il tempo per essere bambino. E così, nei momenti privati, Charles diventa il bambino che non è mai potuto essere liberamente, un bambino degli anni Cinquanta, che gioca a biglie e si arrampica, ahimé, sugli alberi.

Il successo di «Espiazione»

Il tempo, rivissuto dalla memoria, ricreato dallo scrittore, che riplasma la realtà, è al centro anche di Espiazione (Atonement, Einaudi 2001), forse il libro di McEwan che ha avuto più successo e la miglior trasposizione cinematografica (2007, di Joe Wright, con Keira Kgnithley, James McAvoy, Saoirse Ronan e Vanessa Redgrave): in un caldissimo giorno dell’estate del 1935, Briony Tallis, bambina curiosa, e di cui in casa poco ci si cura, vede, anzi, spia dalla finestra una strana scena ai bordi di una fontana. Protagonista è la sorella Cecilia, insieme a Robbie Turner, il figlio della cuoca di casa, da sempre nelle grazie del padre delle ragazze, che si è offerto di pagargli gli studi in medicina. La sera, un’aggressione ai danni della cugina fa sì che Briony si persuada di riconoscere nell’aggressore proprio Robbie. La vita del ragazzo ne uscirà distrutta, ma anche quella di Cecilia, che, certa dell’innocenza del ragazzo, romperà i rapporti con i genitori e diventerà infermiera allo scoppio della guerra: e solo nel finale del libro si scoprirà che cosa si intenda per «espiazione» o meglio, come dovrebbe forse più correttamente intitolato il romanzo,«riparazione», una riparazione tutta nella dimensione della creazione letteraria. L’equilibrio fra realtà e finzione letteraria, o forse sarebbe più corretto dire, fra realtà oggettiva e l’universo della fictio letteraria è al centro di Miele (Einaudi 2012). La protagonista, Serena Frome, è una ragazza della buona borghesia inglese, figlia di un pastore anglicano che in famiglia viene chiamato scherzosamente «il Vescovo»: i suoi eccellenti risultati in matematica la inducono a iscriversi a Cambridge per specializzarsi in quest’àmbito. Ma, una volta all’università, scopre che, se nella ristretta cerchia delle sue conoscenze una ragazza carina e brava in matematica è una rarità, all’università serve per spiccare ben altro talento e ben altro acume intellettuale, per cui la sua carriera è quella di una studentessa mediocre. A Cambridge però, viene notata da Tony Canning, un professore che è stato un agente del MI5, il servizio segreto inglese: i due hanno una storia d’amore, e nel corso di una lunga estate trascorsa nel Sussex, Tony cerca di istruire sulla storia, inglese e non solo, Serena, che, oltre a essere carina e un po’ snob, è anche piuttosto ignorante, con lo scopo di proporla per un lavoro ai servizi segreti. Il rapporto con Tony si interrompe in modo traumatico, lasciando Serena piena di dubbi, perplessità e paure (che verranno dissipate quando riceverà una commovente lettera del professore, ormai morto); anche la carriera al MI5 sembra inizialmente poco più che un impieguccio d’ufficio, per giunta piuttosto mal pagato, e in un momento in cui vige ancora un certo sessismo, per cui alle dipendenti donne non viene mai affidata una missione sul campo, ma solo lavoro burocratico. Tuttavia, Serena ha una dote: se è una mediocre – o, diciamolo, pessima – matematica, è però una lettrice voracissima; e questo fa sì che venga selezionata per una missione importante. Suo compito sarà contattare un giovane Thomas Haley, uno scrittore promettente e giovane docente di letteratura, e, spacciandosi per la referente di una inesistente fondazione culturale, fargli accettare per due anni un lauto stipendio, a patto che scriva un grande romanzo che esalti il liberalismo e condanni il comunismo, facendo sì che anche la forza di suggestione dell’arte e della letteratura contribuiscano alla vittoria nella Guerra Fredda. Thomas ha frequentato e insegna in un ateneo di recente fondazione, molto meno blasonato di Cambridge, e viene da una famiglia più modesta di quella di Serena, ma, con grande stupore della ragazza, nella sua università si lavora sodo e Thomas è un ottimo studioso, capace di macinare una
grande mole di lavoro. La ragazza, inizialmente snob e prevenuta, viene via via conquistata da Thomas, nella cui produzione immaginaria McEwan, con un gioco di scatole cinesi e di allusioni ai lettori, si autocita, inserisce idee, personaggi e soggetti della sua produzione letteraria precedente, tanto che nel personaggio sembra di scorgere una sorta di «ritratto dello scrittore da giovane».
Virtuosismo tecnico, capacità di giocare con la letteratura e le mille prospettive di sviluppo di un racconto, unite a un certo gusto macabro, dominano Nel guscio (Einaudi 2017): variazione postmoderna un po’ grottesca sul tema dell’Amleto, il romanzo riporta, in esergo, la celebre battuta del malinconico principe danese: «Oddio, potrei anche esser confinato in un guscio di noce e sentirmi il re di uno spazio infinito – se non fosse la compagnia di brutti sogni» (Atto II, scena II). La voce narrante del romanzo è davvero, materialmente «nel guscio», perchè si tratta di un feto, che ci racconta, dalla sua personale, cieca condizione, quanto capisce del mondo che sta «fuori». Ebbene, proprio come nell’Amleto, la madre, la bella Trudy, dagli occhi color smeraldo, i capelli biondo grano e il grazioso, minuscolo nasino, è diventata amante di Claude, fratello del marito, e, insieme con lui progetta di uccidere il padre di suo figlio. Questi, John, un poeta, contemplativo e innamorato, ha momentaneamente accettato di farsi sbattere senza tante cerimonie fuori di casa per una «pausa di riflessione». Nella sua ingenuità disinteressata e innamorata, però, ignora che la sua dimora georgiana, ormai fatiscente, può diventare oggetto di una speculazione edilizia milionaria. Claude e Trudy, invece, lo sanno benissimo, impegnati come sono a calcolare quanto guadagneranno dal delitto, che progettano di mettere in atto con una prosaica quanto massiccia dose di liquido antigelo mescolata al frullato mattutino di John.
Il feto-voce narrante (mai ci verrà detto quale nome gli è destinato) non ha alcuna esperienza diretta della vita che racconta, può solo parlare sulla base di astrazioni che creano in lui «l’illusione di un mondo noto», e ce lo dice fin dall’inizio, quasi anticipando le nostre obiezioni: «Tra le lenzuola sento discorsi efferati e mi agghiaccia il terrore di quel che mi aspetta, di quel che potrebbe compromettermi. […] Sento dire “azzurro”, che non ho mai visto, e immagino un evento mentale non molto lontano da “verde”, che a sua volta non ho mai visto». La sua condizione potrebbe sembrare edenica («nessuno che mi contaddica o rimproveri, nessun nome, nessun precedente indirizzo, niente fede religiosa, niente debiti, nessun nemico»): tuttavia, angosciato all’idea che, morto John, incassato il malloppo, Trudy possa liberarsi del figlio neonato, affidandolo a chi sa chi, e anche mosso a pietà per la buona fede e l’amore del padre per la mogliettina, il nostro eroe cerca di influenzare positivamente – ma come? – la madre, suscitando amore e pensieri affettuosi per la famiglia che la donna sta con tanto impegno sfasciando. Tuttavia, i risultati sono scarsi: vero è che i fallimenti e l’inerzia di Amleto sono meno giustificabili di quelli di questo povero futuro neonato; però, il nostro protagonista comincia presto a disperare, ancor prima di nascere: «Incomincio a pensare che la mia inettitudine non sia temporanea […] Che chance posso avere io, dunque, esserino capovolto muto e cieco, un quasi-figlio che abita ancora a casa, attaccato alle gonnelle della mamma, aspirante assassina, da lacci di sangue venoso e arterioso?».

La cura dei dettagli

Ritornano nel romanzo situazioni e temi famigliari ai lettori di Mc Ewan, a partire dall’ossessione per l’elemento biologico e direi anche biotico, spesso oltre i confini del macabro. In quelle pagine, poi, troviamo anche un’altra delle sue ossessioni: la precisione lessicale, richiesta, dall’indulgere nel campo medicosanitario, che troviamo anche Nel guscio, ma che è la cifra di questo grandissimo romanziere (chi sa perchè il Nobel non è ancora andato a McEwan). Teatro del crimine di Trudy e Claude è poi una dimora lercia e trascurata all’inverosimile, che ricorda la casa dei «sognatori» di Bertolucci in The Dreamers, o, se restiamo nell’àmbito dei romanzi di McEwan, l’ambientazione del Giardino di cemento, mentre il finale è un’allusione trasparente alla conclusione di Bambini nel tempo. Ma, al di là del finale, in fondo aperto – come in Miele – vale la pena di leggere Nel guscio anche solo per questa riflessione, vera gemma imprevista, che apre il capitolo Sette: «Nel mondo dell’incisione e della pittura ci sono artisti che si sviluppano, come i nascituri, in spazi ristretti. L’esiguità dei loro soggetti può deludere o trarre in inganno qualcuno. […] Anche in campo scientifico, capita che uno passi la vita a studiare una lumaca albanese, un altro un virus. […] Il bosone di Higgs, una cosa minuscola, forse nemmeno propriamente una cosa, è stato oggetto della ricerca di interesse per migliaia di persone. Vivere confinati in un guscio di noce, vedere il mondo in due pollici di avorio, in un granello di sabbia. Perchè no, quando la letteratura tutta, e l’arte, e ogni impresa umana altro non sono che puntini nell’universo del possibile? Quando l’universo stesso potrebbe rivelarsi un puntino in una moltitudine di universi reali e possibili?» (p. 56). Dove mai avete letto di recente una più meravigliosa apologia del lavoro di precisione, della nobiltà insita nel lavoro di cesello e nella fatica dello scrittore?

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