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Letture per l’era tecnologica

di Autore: Antonio Scacco, Curatore: Enrico Leonardi

Letture per l’era tecnologica

Spesso, nei convegni e nei dibattiti, si fa il punto dell’attuale situazione della letteratura giovanile in Italia e il quadro che ne emerge è piuttosto sconfortante. Si lamenta la costante e progressiva disaffezione del ragazzo verso il libro di lettura; si evidenzia – fatte le debite eccezioni – il tono di superficialità e di appiattimento di molta letteratura giovanile; si constata la situazione di emarginazione e di crisi in cui si dibatte lo scrittore di romanzi per ragazzi, per motivi d’ordine sociale, culturale e – non ultimo – economico (si pensi ai limitati profitti dell’editoria per ragazzi).
Ma quali le cause accertate e i rimedi proposti? I primi ad essere posti sott’accusa sono la televisione ed i videogames, i quali, con le loro mille immagini sfolgoranti, disabituerebbero il ragazzo a fantasticare per proprio conto e non lo invoglierebbero certo ad accostarsi al libro, per l’impegno decisamente attivo che si richiede nel ricreare autonomamente, attraverso la pagina scritta, scene e figure fantastiche. Un’altra causa della scarsa propensione del ragazzo verso il libro di lettura sarebbe individuabile nella diffusione del fumetto. Con lo scarso spazio concesso al testo scritto, con un linguaggio fatto di frasi stereotipate e di onomatopee, con un intreccio che si esaurisce nel giro di poche pagine, come potrebbe il fumetto educare il ragazzo alla complessità espressiva del libro, alla pazienza necessaria a seguire una trama che si sviluppa per più pagine? La scuola, infine, potrebbe avere la sua parte di responsabilità, nel senso che se molti ragazzi non leggono, è forse perché non hanno imparato veramente a leggere; e se uno non ha acquistato, fin dai primi anni di scuola il gusto della lettura (1), tenderà non a vedere il libro come un’occasione di arricchimento spirituale, ma a respingerlo come un’inutile perdita di tempo.
Queste le cause principali. Quanto ai rimedi, si va da una generica esortazione ad aggiornare le tematiche, alla vaga attesa dello scrittore di talento che sappia dare alle sue opere quel tocco di novità e di originalità presente, ad esempio, nel capolavoro deamicisiano. Mai però un riferimento, nella panoramica dei dibattiti e delle iniziative, alla letteratura di fantascienza; mai un accenno ai suggerimenti e alle ispirazioni che potrebbero venire da questo prodotto della cultura di massa (a patto – è ovvio – che lo si guardi con animo sgombro da aristocraticismi adorniani e da pregiudizi “apocalittici”). Eppure la letteratura di science fiction ha, tra gli altri, due motivi estremamente validi per poter assurgere a narrativa moderna, adatta ai ragazzi d’oggi: l’attualità dei temi trattati e la tensione educativa.
Per quanto riguarda il primo punto, oggi – si sa – viviamo in piena era tecnologica, in quell’età cioè che Thomas Carlyle definiva “non: l’età eroica, o religiosa, o filosofica, o morale, ma soprattutto: l’età meccanica” (2). La civiltà tecnologica ha prodotto, nella vita dell’uomo, mutamenti così vasti e radicali, che l’attuale fase storica “deve essere considerata una vera svolta antropologica […], svolta già registratasi con analoghe conseguenze ‘totali’ nel passaggio dal nomadismo alla vita agricola (avvenuto all’incirca 10.000 anni fa)” (3).
La manipolazione tecnologica della natura è il cambiamento più significativo che la civiltà delle macchine ha determinato nel modo di pensare e di agire dell’uomo contemporaneo. Per l’uomo dell’antichità classica e medioevale, il mondo era, per l’influsso della filosofia aristotelica, una realtà immutabile. Secondo Aristotele, infatti, ogni sostanza aveva un suo principio interno o forma, che ne guidava l’esistenza e lo sviluppo e agiva sempre in armonia con il suo ambiente esterno. Il compito della scienza era esclusivamente di individuare e capire il modo di operare di ciascuna forma. In un mondo così concepito, gli esperimenti controllati, tipici della scienza moderna, non avrebbero dato buoni risultati, perché avrebbero interferito con l’ambiente esterno di ciascuna sostanza, impedendo all’esperimentatore di capire la vera natura di essa. D’altra parte, gli esperimenti che non interferivano con l’ambiente esterno di ciascuna sostanza non avrebbero fatto ricavare maggiori informazioni di quelle ottenibili dall’osservazione diretta del processo naturale della sostanza stessa. Gli esperimenti erano perciò considerati o di intralcio o, addirittura, inutili (4).
L’uomo moderno, invece, concepisce materialisticamente la natura come priva di forme e di sostanza: eliminate le qualità, solo i fenomeni quantitativamente misurabili e la loro elaborazione matematica vengono presi in considerazione nello studio della natura. La quale, come un’immensa macchina che può “essere smontata nei suoi singoli elementi per essere poi, pezzo per pezzo, ricomposta” (5), finisce così col subire il completo dominio tecnologico da parte dell’uomo. La possibilità inoltre di spostarsi velocemente in treno, in jet, in automobile, ha modificato, nell’uomo d’oggi, la coscienza del tempo, che non è più visto come una realtà assoluta, ma suscettibile di accelerazioni e rallentamenti, di essere cioè manipolata. Tanta potenza, infine, ha indotto l’uomo a feticizzare lo strumento tecnologico, a farsene un dio – il dio delle “technicae artes”, come lo definisce il Concilio Vaticano II nel suo documento fondamentale Gaudium et Spes – diventandone schiavo, anziché padrone.

 

SF: un passaporto per la civiltà delle macchine

Con il mito della tecnocrazia che finisce col considerare le cose infinitamente più importanti delle persone, ombre minacciose cominciano a profilarsi all’orizzonte della civiltà delle macchine. A partire, infatti, dalla prima metà del secolo scorso fino ad oggi, l’uomo “tecnologico” vive in uno stato di smarrimento e di angoscia per l’incombere di catastrofi ecologiche, terroristiche, nucleari, sociali, e diventa preda di quella malattia che il sociologo americano Alvin Toffler chiamò, in un suo famoso saggio degli anni Settanta, lo shock da futuro.
Tutti questi problemi sono ampiamente trattati dalla narrativa di science fiction, talvolta con un realismo che manca alla narrativa generale o “mainstream” e che è dato dallo “spostamento [delle vicende] in un ‘altrove’ sconosciuto e immaginario, ma ombelicamente legato al presente” [INÌSERO CREMASCHI, Cronistoria della fantascienza italiana, in Universo e dintornì, Garzanti, Milano 1978, p. 6].
La concezione, ad esempio, del mondo ridotto a macchina e suscettibile di un’integrale manipolazione da parte dell’uomo, è presente nel romanzo di Robert A. HeinleinPionieri dello spazio. Un ragazzo tredicenne, Bill Lermer, poiché la Terra è sovrappopolata, emigra assieme al padre su Ganimede, la terza luna di Giove. Varie sono le peripezie di Bill: l’impatto, durante il viaggio, con un meteorite che fora lo scafo dell’astronave Mayflower; la lotta per farsi accettare dai nuovi compagni; la scoperta, nel fondo di una caverna, di un veicolo alieno… Ad esse fa da sfondo la gigantesca opera di ingegneria planetaria che ha reso abitabile Ganimede: la calotta polare del satellite infatti è stata disciolta e il ghiaccio e la roccia che ne ricoprivano la superficie sono stati frantumati, è stato costruito un impianto atmosferico che, automaticamente riscaldando e raffreddando l’aria, permette l’alternarsi delle stagioni.
Ma il desiderio d’un sempre maggiore benessere materiale e la conseguente corsa al più sfrenato consumismo hanno spinto l’uomo d’oggi a manipolare e a sfruttare la natura oltre ogni limite ragionevole, col rischio di provocare la morte ecologica. A tale tema della s’ispira il romanzo di Michel Grimaud La città senza sole, amaro quadro dell’idolatria del benessere, spinta fino all’autolesionismo, dove la convivenza civile è minacciata, oltre che da una pesante cappa d’aria inquinata, dal deteriorarsi dei rapporti umani: padri che per egoismo negano il loro affetto ai figli; giovani che, dovendo lottare per sopravvivere, si vedono dolorosamente costretti a rifiutare la loro simpatia ai coetanei delle opposte fazioni.
Ben più grave di quella ecologica, è però la minaccia nucleare: l’uomo moderno, infatti, nei confronti dell’energia atomica, sembra comportarsi come l’apprendista stregone della ballata, solo che, “con la sua forza di demistificazione, la scienza [gli] fa scoprire che non c’è un maestro stregone” [MARC ORAISON, L’apprendista stregone, Cittadella Ed., Assisi 1977, p. 25] che rimette tutto a posto. Un brutto giorno potrebbe quindi accadere che la nostra civiltà venga spazzata via dalla faccia della Terra da un conflitto atomico, com’è ipotizzato nel romanzo di Poul Anderson La città perduta, dove i pochi sopravvissuti al “dopobomba” conducono un’esistenza barbarica, la scienza degli antichi è diventata sinonimo di maleficio ed è punito con la morte chi osa accostarsi ad essa. Ma l’inventiva e il coraggio di un gruppo di ragazzi, guidati dal giovane Carl, permetteranno la rinascita della civiltà. Conclusione, tutto sommato, ottimistica. Ben più tragica è invece la fine della nostra civiltà prospettata da Gianni Padoan in Attacco alla Terra, dove gli insetti, per un’improvvisa mutazione genetica, letteralmente sommergono, in un brulichio di forme e di colori, la razza umana.
Dalla manipolazione della natura alla manipolazione dell’uomo. Il tema del controllo del comportamento dell’individuo, dello spegnimento d’ogni sua capacità critica, del suo totale asservimento alla “megamacchina” dello stato, è svolto magistralmente da John Christopher in Il confine nella metropoli. Nel 2052 una ristretta élite costringe – con la persuasione occulta – sessanta milioni di londinesi a vivere confinati dentro la città e a non desiderare altro che cibo, “holovisione” tridimensionale, macchine elettriche, divertimenti, come la plebe ai tempi dell’impero romano che chiedeva solo panem et circenses. Il gruppo dominante ha riservato per sé tutta la Contea, dove vive a contatto con la natura, lontano dalla massificazione e dall’inquinamento dell’ambiente urbano. In un mondo così diviso, si svolge la vicenda di Rob Randall, un ragazzo del suburbio londinese, che dall’introversione della fase adolescenziale passa gradatamente ad una visione più matura della realtà sociale e spirituale che lo circonda.
Come abbiamo detto, lo sviluppo dei mezzi di trasporto ha alterato, nell’uomo occidentale, la coscienza della dimensione temporale; da qui la nascita, in seno alla fantascienza, di un elemento fondamentale: i viaggi nel tempo, che rivelerebbero il desiderio di “liberarsi dalle costrizioni d’un tempo divenuto troppo rapido, o ritrovare quel ritmo temporale che negli ultimi anni è andato sconvolto” [G. DORFLES, La fantascienza e i suoi miti, in Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Torino 1977, p. 210]. Il numero di romanzi basati sulla macchina del tempo è grandissimo; tra essi citiamo Il pianeta dei mostri di Massimo Grillandi, in cui due ragazzi americani, George e Simon, viaggiano nel “continuum” spazio-temporale a bordo di un oggetto a forma di cabina metallica, e fanno la conoscenza di Genghiz Khan, di mostri repellenti, di mondi futuri dominati dal calcolatore…. in un susseguirsi di invenzioni fantastiche e di visioni oniriche.

 

I “juveniles”: aspetti educativi della SF

Dalle tematiche fin qui accennate, l’attualità della letteratura di fantascienza è fuor di dubbio, attualità del resto confermata dalla “enorme fortuna dei romanzi di anticipazione e di fantascienza” presso i ragazzi d’oggi che, rispetto a quelli di ieri, “sono più informati, respirano l’epoca più a fondo, […] assistono a conquiste scientifiche vere e proprie, conoscono spesso dati scientifici con molta precisione”. [ANTONIO CIBALDI, Storia della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, La Scuola, Brescia 1979, pp. 66-67.]
Passiamo adesso ad esaminare l’aspetto educativo della narrativa di fantascienzaAccogliendo la distinzione che M. Valeri fa tra i vari tipi di narrativa avventurosa, vediamo se i romanzi di anticipazione indirizzati alla gioventù appartengono all’avventuroso creativo, cioè a quel tipo di avventuroso che contiene elementi “di stimolazione alla disponibilità, all’impegno sociale, di incoraggiamento[…] alla propria realizzazione”. [Cfr. MARIO VALERI, Letteratura giovanile ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp. 156 e 161.]
Diciamo subito che tra gli scrittori di science fiction c’è la coscienza di avere un compito educativo da svolgere nei confronti delle nuove generazioni. Scrive Isaac Asimov, un maestro della fantascienza americana: “Per curare i mali del presente, e nello stesso tempo conservare quanto possediamo, occorre non già meno scienza, bensì più scienza e scienza più intelligente. Come realizzare questa necessità? O meglio, come persuadere i giovani a dedicarsi ai campi di studio che possono condurre alla soluzione dei nostri problemi? […] Orbene, la fantascienza è per sua natura uno stimolo efficacissimo” [ISAAC ASIMOV, L’odierna funzione della fantascienza, in “Clypeus”, VIII, 1, 1974]. Inoltre, la particolare attenzione rivolta dagli scrittori di fantascienza al mondo giovanile, è testimoniata dalla produzione di tutta una serie di romanzi dedicati esclusivamente ai ragazzi – anche nella veste editoriale – e che nel gergo letterario vengono detti “juveniles“.
Ci sembra quindi un’indebita generalizzazione affermare che “nei moderni libri di avventura avveniristica, qualcosa di astratto regna sull’uomo […]: è la scienza questo gelido impersonale sovrano, che sembra frantumare gli eterni valori in cui l’uomo ha creduto per secoli” [ANTONIO LUGLI, Letteratura per la gioventù, Sansoni, Firenze 1967, p. 252.] Certo, esistono romanzi di anticipazione in cui è presente una “ideologia individualistica, dicotomica sino al razzismo” [M. VALERI, op. cit., p. 158], ma questo giudizio non è estensibile a tutte le opere di science fiction.
Qualche citazione? La fiducia verso gli altri e l’apertura all’atteggiamento collaborativo sono, ad esempio, valorizzate nel “juvenile” (NB.: Essendo “juvenile” un termine inglese, l’articolo va collocato non tenendo conto della consonante iniziale, ma della effettiva pronuncia che è “giuvinail” – cfr. A. GABRIELLI, Si dice o non si dice?, Oscar Mondadori, 1978, pp. 139-140) di Inìsero CremaschiPrigionieri degli Otrix, dove degli extraterrestri che hanno avuto il pianeta d’origine distrutto dal loro sole trasformatosi in Nova e hanno scelto come provvisorio rifugio le nostre fosse oceaniche, hanno bisogno che gli umani tendano loro una mano amica. Tre ragazzi offriranno il loro aiuto, e tra terrestri e alieni (rivelatisi, nel frattempo, ragazzi anch’essi) inizia una collaborazione spontanea che non avverte il minimo disagio per le diversità fisiche e psicologiche delle due razze.
L’invito alla pace e alla tolleranza viene offerto ai lettori in un altro “juvenile”, Il pianeta degli dei di André Norton, dove il rifiuto del razzismo costituisce un valore che va tenacemente difeso, anche a costo di rinunce e sofferenze. Su un pianeta non segnato su nessuna mappa stellare, apparentemente selvaggio e abbandonato, fanno naufragio due astronavi: una è della Pattuglia Stellare, un corpo di tutori della legge al servizio dell’Impero Centrale, in cui si distinguono gli umani Kartr e Rolth e i rettiloidi Zinga e Fylh; l’altra trasporta dei civili, in maggioranza umani. I due gruppi trovano rifugio in una città abbandonata da secoli, ma dalla tecnologia elevata e perfettamente funzionante. Quando però gli umani, che per la prevalenza numerica hanno preso il controllo della città, mostrano dei pregiudizi razziali nei confronti delle creature non-umane della Pattuglia, Kartr e i suoi compagni decidono di abbandonare la città con tutta la sua tecnologia e i suoi abitanti e di vivere in mezzo ai boschi, a contatto con la natura.
Dai pregiudizi razziali a quelli sessuali. La condanna dello stereotipo femminile che mortifica nella donna ogni spirito d’iniziativa in concorrenza con quello maschile, è il motivo dominante di Extraterrestre alla pari di Bianca Pitzorno, dove Mo, una bambina denebiana invitata a trascorrere un periodo di vacanza presso una famiglia terrestre, constata i condizionamenti, le discriminazioni e le umiliazioni a cui vengono sottoposti sulla Terra gli esseri umani che hanno la ventura di nascere donne.
Lo stimolo, infine, a liberarsi dalla dipendenza dalle macchine e a valorizzare le forze interiori e creative, le sole capaci di conservare all’uomo la sua umanità, è presente nel “juvenile” Ru-Ghine di Luciano Nardelli. La vicenda ripercorre alcuni temi tipici della narrativa di science fiction. Il robot Bethon che impazzisce e vuole sottomettere ai suoi voleri gli ultimi uomini rimasti sulla Terra, richiama alla mente il tema della paura che l’uomo ha per l’intelligenza artificiale – si veda Vulcano 3 di Philip K.Dick – e che Isaac Asimov definì complesso di Frankenstein. La glaciazione che colpisce la Terra e fa crollare la civiltà umana, si riallaccia al filone catastrofico, di cui John Wyndham, John Christopher, James Ballard ed altri ci hanno lasciato magistrali esempi narrativi. La riscrittura in chiave fantascientifica del pantheon greco – Bethon, nella sua follia, crede di essere la reincarnazione di Zeus e sceglie come sua dimora la vetta del monte Olimpo – ricorda l’operazione tentata da Roger Zelazny con Io, Nomikos, l’immortale. Ma è l’avventura il tema dominante di Ru Ghine. È essa la molla che spinge i protagonisti a sfidare l’ignoto, a percorrere gli spazi siderali, a lottare con tenacia contro il dominio dei robot.
Come si vede, c’è nei “juveniles” l’invito al lettore di mettere in moto le proprie forze interiori per non essere spettatore passivo, ma protagonista della realtà; c’è l’intento di promuovere nel giovane una coscienza comunitaria nei confronti dei problemi che agitano il mondo d’oggi. Certo, il fatto che spesso le vicende dei romanzi di anticipazione si svolgano su galassie remote e abbiano per protagonisti uomini-sfera, androidi, rettiloidi, un mondo, cioè, lontano dalla concreta esperienza del lettore induce qualcuno a giudicare la letteratura di fantascienza una “fantasticheria improduttiva e sostanzialmente diseducativa“. [LUIGI SANTUCCI, La letteratura infantile, Fabbri, Milano 1958, p. 323]. Ma allora come si spiega che diverse invenzioni (l’elicottero di Igor Sikorsky, il sottomarino di Simon Lake) e imprese scientifiche (gli ardimentosi voli sull’Antartide dell’ammiraglio Byrd e le esplorazioni sotterranee dello speleologo Norman Casteret) sono state ispirate o stimolate dalla lettura di romanzi di science fiction? [Cfr. JAMES GUNN, Storia illustrata della fantascienza, Armenia, Milano 1979, pp. 118-119.]
La verità è che un racconto si qualifica realistico o meno non per la sua corrispondenza, come dice F. De Bartolomeis, “a fatti esterni, ad avvenimenti accaduti, ma per la qualità della sua invenzione, per i sentimenti ‘veri’ che riesce a racchiudere“. [Cfr. MARIO VALERI, Critica pedagogica dei linguaggi narrativi, Guanda, Parma 1967, p. 46.]

 


Note

1 La D’Amelio, analizzando gli effetti che il libro di narrativa nella scuola media potrebbe avere sulla formazione dell‘abito alla lettura, rileva che “non pochi insegnanti […] immiseriscono la lettura del romanzo, facendone un repertorio di vocaboli e di svariate notizie” (RITA D’AMELIO, La “giovanilità” del libro per ragazzi, Adriatica, Bari 1976, p. 79).

2 Cfr. VALERIO CASTRONUOVO, La rivoluzione industriale, Sansoni, Firenze 1973, p.114.

3 SILVANO BURGALASSI, Ambiti e momenti dell’educazione: la famiglia, in AA.VV., Il problema della società industriale: progetti di sviluppo e crescita dell’uomo, Vita e Pensiero, Milano, 1979, pp. 360-361.

4 Cfr. EDWARD GRANT, Le origini medievali della scienza moderna, Ed. Mondolibri, Milano 2001, p.239.

5 PAOLO ROSSI, I filosofi e le macchine (1400-1700), Feltrinelli, Milano 1976, p.144.

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