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Lo sguardo: porta del cuore (Dario E. Viganò, Effatà, 2021)

di Lo sguardo: porta del cuore (Dario E. Viganò, Effatà, 2021)
Fonte: Effatà

Chiamati a (ri)apprendere uno sguardo altro

Il passato non si può archiviare come insieme di eventi che casualmente capitano lungo la biografia personale o la storia di un gruppo sociale. Come ricorda Walter Benjamin,

la memoria non è un organo di registrazione passiva o di conservazione di segni di ciò che è stato, bensì, la memoria è una decifrazione di simboli e di allegorie. Quindi l’effetto liberatorio della memoria sta in questo svelamento, in un suo darsi come prassi ermeneutica, capace di instaurare quell’attimo della conoscibilità, che costituisce una illuminazione inedita del passato1.

Se questo vale per ogni singola esperienza, a maggior ragione vale quando si tratta di un evento che coinvolge tutto il mondo come le guerre, le grandi carestie, le pressioni dei flussi migratori e, più recente, la pandemia da Covid-19. Siamo di fronte a un «cigno nero» cui l’Europa e il mondo intero non erano preparati. Non solo imprevedibile, non semplicemente sottovalutato, ma assolutamente destabilizzante.

Ha destabilizzato il sistema dell’economia reale, ha avuto forti ripercussioni nel mondo finanziario, ma soprattutto ha inciso sulla vita delle singole persone, dei gruppi e della società intera. Un vero e proprio trauma, tanto più profondo quanto meno conosciute le modalità di diffusione, subdole e invisibili, del virus e ancora meno padroneggiati i metodi diagnostici e terapeutici. Ha affermato Stefano Vicari, direttore della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, alzando il velo sull’impatto della pandemia sulla salute psicologica dei più giovani: «Il periodo che stiamo vivendo rimescola le carte, ci sono adolescenti che picchiano i genitori, si tagliano perché il dolore fisico gli dà sollievo dal mondo esterno. È come se l’emergenza psichiatrica con il Covid-19 stia avendo un detonatore»2. Un trauma, ovvero

una rottura dell’esperienza quotidiana e della memoria, un evento non rappresentabile nella nostra mente, la quale per natura ha bisogno di incasellare i fatti nell’universo dei significati umani. Questa ferita psicologica si presenta come stordimento e amputazione delle emozioni e la sua concretezza perdura nel tempo, provocando sofferenze mentali destabilizzanti3.

Un vero e proprio disturbo post-traumatico. È esperienza che, come non risparmia i soldati nei conflitti, così ha coinvolto il personale tutto impegnato contro l’ignoto virus. Scrive lo psichiatra Vittorio Lingiardi:

I segni delle mascherine svaniranno dalle facce dei nostri medici e infermieri ma non dalla loro psiche. Non subito almeno. Non in una sola volta. Chi conosce l’infelice famiglia delle esperienze traumatiche sa che oltre all’esperienza diretta del trauma c’è una condizione che si chiama trauma secondario. La conoscono i soccorritori, la polizia stradale, i pompieri, gli operatori delle ambulanze. È il trauma di chi deve guardare l’inguardabile. E intervenire. […] È la cosiddetta compassion fatigue, il carico emotivo della cura, quello che il traumatologo Charles Figley definiva «the cost of caring»4.

Per decenni «è sembrato che il mondo avesse imparato da tante guerre e fallimenti e si dirigesse lentamente verso varie forme di integrazioni»5. Si è coltivato il mito del progresso e quello della scienza a cui pareva nulla potesse sfuggire e, a un tratto, ci ritroviamo impotenti e persi, come in mezzo a una tempesta non prevista. Come sottolineano Miguel Benasayag e Gérard Schmit,

la nostra epoca sarebbe passata dal mito dell’uomo costruttore della storia a un altro mito simmetrico e speculare, quello della sua totale impotenza di fronte alla complessità del mondo. Si sta ormai affermando l’idea che l’uomo non possa fare altro che subire le forze irrazionali della storia6.

Come ha rimarcato papa Francesco nel deflagrare della pandemia:

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di «imballare» e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente «salvatrici», incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri «ego» sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli7.

Proprio l’esperienza della pandemia forse può essere stimolo a riannodare i fili della memoria o, per lo meno, ribadire la necessità di non dimenticare la propria storia, perché ricordare è comprendere di «essere collocato dentro a un’esistenza fatta di cura, di attenzione»8. Siamo chiamati a lottare contro quella «sorta di “decostruzionismo”, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero», perdendo il «senso della storia» e ottenendo «ulteriore disgregazione»9.

In molti hanno paragonato l’attuale temperie della pandemia con quella del Secondo dopoguerra: oggi come allora, disperazione e morte, macerie e dolore; allora (e non tanto oggi) una diffusa speranza per un futuro da ri-costruire. Emerge con evidenza il grande punto dolente del nostro presente: la mancanza di speranza. È il risultato della rottura del filo della storia e della memoria, entrambe sostituite dall’immediatezza di una risposta che non apre lo sguardo e non dà visione.

 

1 P. Vinci, Walter Benjamin e la memoria, in «Quaderni di cultura junghiana», 2 (2013), p. 29.
2 E. Testi, Non li proteggiamo, in «L’Espresso», 21 marzo 2021, pp. 18-20.
3 M. Ammaniti, Quei traumi incancellabili, in «la Repubblica», 2 giugno 1999.
4 V. Lingiardi, L’anno del pipistrello, in S. Vicari ~ S. Di Vara (a cura di), Bambini, adolescenti e Covid-19. L’impatto della pandemia dal punto di vista emotivo, psicologico e scolastico, Erickson, Trento 2021, pp. 19-20.
5 Francesco, Lettera enciclica Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, n. 10.
6 M. Benasayag ~ G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2005 (ed. or. 2003), p. 22.
7 Francesco, Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020.
8 M. Rupnik, Il giorno al giorno ne affida il racconto. L’esperienza del padre, Edizioni Lipa, Roma 2019, p. 31.
9 Francesco, Lettera enciclica Fratelli tutti, cit., n. 13.

Fonte: Effatà
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