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«Fermatevi sul più bello». Il decalogo di Maxwell Perkins

di Elisabetta Tommarelli
Fonte: oblique

1. lo scoraggiamento è energia

Scrivere è difficile, scrivere un romanzo è difficilissimo. Se ci si scoraggia non è necessariamente un brutto segno. «Mai conosciuto uno scrittore che non si sentisse scoraggiato. Alcuni arrivano a disperarsi, e io l’ho sempre trovato un buon sintomo» dice Max. Bisogna temere l’eccesso di certezza. In tal caso, rallentare ed evitare le banalità.

 

2. fermatevi sul più bello, poi continuate

Max amava riciclare questo trucchetto che aveva imparato da Hemingway. Fermarsi sul più bello per cristallizzare la sensazione di aver fatto qualcosa di buono. Non bisogna arrivare al punto di frustrazione o al blocco perché fanno percepire come scadente ciò che invece funziona benissimo.

 

3. alzatevi da tavola sempre con un po’ di fame

Uno dei detti preferiti del bisnonno di Max era: «Bisognerebbe alzarsi da tavola sempre con un po’ di fame». Nella testa di Max è diventato un mantra: dare ai lettori sempre meno di ciò che vogliono.
Gli spiegoni vanno evitati come la morte, e ogni accenno didascalico non deve prevalere su azione e dialoghi, che sono a loro volta una forma d’azione e il principale trasmettitore di informazioni. È necessario che lo scrittore si fidi dei suoi dialoghi e che lasci parlare i personaggi. «C’è una scena ogni volta che ci sono persone che parlano. Il dialogo è azione. Basta con questi paragrafi di spiegazioni, accorciali il più possibile. Non è così che catturi l’attenzione del lettore, non fai altro che compromettere l’effetto» scrive Max, il 28 aprile 1947 a Marcia Davenport. «Prova a far emergere i personaggi con dialoghi e azione. Credo che si metterebbero anche a farlo da soli; sei tu che non ti fidi quando dovresti di ciò che scrivi». Quando si fanno parlare i personaggi, devono parlare davvero: «Falli parlare esattamente come si parla tutti i giorni, elisioni comprese. Non scrivere “vai a prendere” ma “va’ a prendere” e così via, per tutto».
Fidarsi, dunque.

 

4. vedere una foresta e non solo alberi

Nella lettera del 30 marzo 1942, Max risponde a Marcia Davenport, e torna sul vecchio dilemma di non riuscire a vedere la foresta a causa dei troppi alberi. Un romanzo, per propria natura, deve possedere una sua unità. Questo vuol dire che quando si scrive è necessario avere un progetto: seguire uno schema in modo che il lettore possa percepire la foresta e non un informe ammasso d’alberi.

 

5. flessibilità vs ipermuscolosità

Quando un autore iniziava a preoccuparsi troppo della trama, Max lo bollava con un aggettivo: «Ipermuscoloso». In questi casi raccomandava flessibilità. Scrive a James Jones: «Puoi lanciare un cappello e riuscire ad appenderlo al gancio solo se lo fai con naturalezza, non ci riuscirai mai se lo fai pensandoci».

 

6. per scrivere bene bisogna vivere e leggere

Il 17 maggio 1945 John H. Mulliken jr, un giovane al fronte oltreoceano, chiede a Max consigli sulla scrittura e un parere sul suo manoscritto. Data la sua giovane età, Max suggerisce che un altro paio d’anni di college sarebbero d’aiuto, e aggiunge: «Ma non pensare che lì si possa imparare a scrivere. […] S’impara leggendo. È l’unico modo, ma bisogna avere occhi per vedere e orecchie per ascoltare». «Sono pochi i grandi scrittori che hanno avuto un’istruzione come si deve; la maggior parte non ha mai studiato a fondo l’ortografia e la grammatica» – basta pensare agli strafalcioni di Fitzgerald – ed è per questo che la scrittura trascende scuola e università e ha una specifica grammatica basata su occhi e orecchie.
In una lettera al figlio di James Boyd, anche lui in guerra, Max scrive: «Certo, gli aspiranti scrittori devono leggere tantissimo. Tu hai la possibilità di vederne tante e sentirne altrettante: tutto questo è ancora più necessario della lettura». Gli riporta l’esempio di Swift che da ragazzo passava il suo tempo tra strade e locande: si sedeva e ascoltava carrettieri e cocchieri parlare. «Non fece mai suo quel tipo di lingua, ma nei dialoghi dei personaggi comuni c’è tutto il ritmo e il tempo della lingua viva». Max rassicura il giovane Boyd: «Probabilmente stai ricevendo la migliore istruzione possibile. Vedere, ascoltare, leggere».
Il lavoro che conta lo scrittore lo fa senza scrivere, ed è un lavoro che si compie nella sua testa – dove sono stipati ricordi e percezioni –, negli occhi e nelle orecchie. «La sofferenza viene dopo, quando si passa alla scrittura: in questa fase, può essere utile vedere come se la sono cavata gli altri. Ed ecco che la lettura diventa fondamentale».
È un po’ la stessa cosa che dirà il Lettore di Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore: «Quelli che usano i libri per produrre altri libri crescono più di quelli che i libri amano leggerli e basta».

 

7. writing is fighting

Max paragona spesso la scrittura a una lotta: «Non puoi arrenderti ora che hai superato il momento più difficile della battaglia» dice a Marcia Davenport che aveva appena finito di scrivere The Valley of Decision. È un monito a non arrendersi. Anche perché dopo la scrittura c’è un altro passaggio delicato da affrontare: la revisione. È lì che bisogna dare il meglio di sé.

 

8. bando all’impazienza

Sempre a Mulliken, Max suggerisce di essere paziente perché «la migliore scrittura viene solo dopo che gli eventi sono stati digeriti senza che lo scrittore se ne sia reso conto, dopo che ha avuto il tempo di interiorizzarli». Le cose migliori scaturiscono solo quando l’esperienza è stata «assorbita e riesci a vederla in prospettiva». Bisogna quindi avere tempo e darsi tempo.

 

9. se ricordate esattamente luce e temperatura allora state andando benissimo

È una delle regole empiriche di Max per capire se aveva davanti uno scrittore o no. Uno scrittore di razza, quando descrive una giornata particolare, ricorda perfettamente (e se non lo ricorda lo ricrea) come cadeva la luce, com’era la temperatura, e tutto il complesso della scena. «La maggior parte degli scrittori non è in grado. Se lo sono potranno anche non avere successo, ma quella capacità è alla base della scrittura, ne sono certo».
Le altre doti indispensabili in uno scrittore sono: «La lealtà, la forza d’animo e l’onore. Essere nato con questa consapevolezza significa essere almeno un pezzo avanti sulla strada per diventare un grande scrittore».

 

10. non dite che non vi piace prima di averlo mangiato

Bisogna conoscere prima di giudicare. «Non conosci un libro fino a quando non arrivi alla fine; solo a quel punto puoi modificare tutto il resto alla luce della parola fine e, eventualmente, rivedere le tue posizioni» scrive Max a Marcia Davenport, il 28 aprile 1947.

Fonte: oblique
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