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Grandi teologi del XX secolo: Henri De Lubac (1/6)

di Jean Duchesne

Aleteia vuole mostrarvi i profili dei grandi teologi che hanno strutturato il pensiero della Chiesa nell’evo contemporaneo. Jean Duchesne apre questa serie col gesuita francese Henri De Lubac (e il suo “Dramma dell’umanesimo ateo”), che san Giovanni Paolo II volle cardinale.

Tra i pensatori che hanno rinnovato l’intelligenza della fede cristiana nel momento in cui essa doveva raccogliere le sfide della contemporaneità e della secolarizzazione, il gesuita Henri Sonier De Lubac (1896-1991) è riconosciuto come un pioniere e un maestro. Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1913, fu ferito alla testa nel 1917 [in battaglia durante la Grande Guerra*, N.d.T.] e restò per tutta la vita in uno stato di salute precario che lo avrebbe costretto a interrompere a più riprese il suo insegnamento a Lione. Ciò l’avrebbe tuttavia portato a diversificare le sue ricerche, perché i suoi corsi venivano rilevati dai confratelli e a lui venivano affidati nuovi àmbiti di lavoro. L’esperienza del fronte e la vita di caserma in trincea gli aveva dato il polso dei progressi e della seduttività dell’ateismo nella cultura popolare. Ragion per cui si è sempre dedicato a rispondere a quei bisogni e tutta la sua opera è stata quel che lui ebbe a chiamare una serie di “teologie d’occasione”.

Dopo aver avuto, tra gli altri, allievi come Jean Daniélou e Hans Urs von Balthasar, che a lui sarebbero rimasti legati, si diede durante la seconda guerra mondiale ad armare intellettualmente e spiritualmente la resistenza al nazismo e all’antisemitismo. Negli anni ’50 del XX secolo fu sospettato di modernismo e sospeso dall’insegnamento, mentre tutti i suoi libri pubblicati venivano censurati. Le accuse caddero da sé, mentre lui fu nominato “esperto” al Concilio Vaticano II e giocò un ruolo non trascurabile che gli valse l’amicizia piena d’ammirazione di un giovane vescovo polacco rispondente al nome di Karol Wojtyła.

In seguito fu accusato di essere conservatore perché criticava le interpretazioni abusive dell’“apertura” del Concilio. In particolare si oppose alla tendenza che avrebbe voluto rimpiazzare l’aggettivo di “cattolico” con “universale”, cosa che avrebbe evidenziato bene la sua attuale estensione spaziale ma obliterato inopportunamente la sua dimensione nel tempo e al di là del tempo, trascendente il momento presente. Egli accettò la nomina cardinalizia, a condizione di non essere consacrato vescovo (per via della sua età), e ricevette la berretta nel 1983, proprio mentre il suo alunno Jean-Marie Lustiger veniva nominato arcivescovo di Parigi.

L’opera

I primi lavori pubblicati del padre De Lubac si dedicarono alla Chiesa, al suo aspetto sociale (Catholicisme), ai suoi paradossi (Meditazione sulla Chiesa) e soprattutto il suo nesso con l’Eucaristia (Corpus Mysticum). A lui si deve la formula reversibile che riassume un’intuizione dei primi secoli: «È l’Eucaristia che fa la Chiesa, ed è la Chiesa che fa l’Eucaristia». Si trova in questo asserto una percezione acuta della centralità della messa nella vita cristiana. Tale lavoro conduceva a valorizzare i Padri della Chiesa e contribuì alla riscoperta della loro fecondità per l’intelligenza della fede. Il padre De Lubac fu uno dei fondatori della collana Sources Chrétiennes, delle edizioni del Cerf, dedicata a fornire edizioni e/o traduzioni d’eccellenza dei testi antichi, corredate da importanti apparati critici e commenti.

Il riferimento alle Scritture aveva permesso ai primi pensatori cristiani di accogliere le filosofie antiche e al contempo di superarle: il gesuita lionese s’interessò pure al seguito della vicenda nella storia, consacrando diversi volumi all’Esegesi medievale. Quello fu un importante contributo alla riscoperta, in seno al popolo cattolico, del Primo Testamento nell’àmbito teologico, liturgico e spirituale, e in questo senso lo si può considerare uno degli eventi maggiori della storia della Chiesa nel XX secolo.

Il padre De Lubac ha pure studiato il modo in cui il cristianesimo aveva stimolato il pensiero occidentale al punto da ritrovarsene talvolta deformato in messianismo secolare (Il dramma dell’umanesimo ateoLa posterità spirituale di Gioacchino da Fiore). Ha poi contribuito alla riflessione su Il mistero del Soprannaturale, sul concetto di natura implicato e sui sentieri che la Grazia vi si apre. Su questo punto particolarmente importante e sensibile è stato accusato, prima del Vaticano II, di eccessiva audacia. Studiò anche il buddismo (L’incontro tra il buddismo e l’Occidente) e ha consacrato diversi libri alle qualità spirituali degli scritti del padre Teilhard de Chardin, che egli aveva conosciuto e apprezzato durante il suo noviziato da giovane gesuita.

Da leggere

Le opere complete del cardinale De Lubac sono in corso di riedizione per i tipi del Cerf, in una collana da 50 volumi che raggruppano talvolta diversi libri ed includono corrispondenze con altri teologi e filosofi, come Maurice Blondel, Étienne Gilson e Jacques Maritain, nonché i suoi ricordi e i commenti ai tre testi più significativi del Vaticano II: Dei Verbum in La divina rivelazioneLumen gentium in Paradosso e mistero della ChiesaGaudium et spes in Ateismo e senso dell’uomo.

Per un primo approccio, si può consigliare la molto accessibile Piccola catechesi su natura e grazia (1980), che si trova anche a prezzi ragionevoli, oltre che nel tomo XIV delle Œuvres Complètes.

Come libro da tenere sul comodino e de centellinare poco a poco, invece, si può prendere Paradossi, oppure Nuovi paradossi e Altri paradossi (che si troverebbero nel XXXI tomo delle Œuvres Complètes, ma che ben meritano una vita propria: si tratta di due brevi e penetranti raccolte di riflessioni (da una a quattro righe) del tipo “Chi riceve qualcosa senza pena la conserva senza amore”. O ancora:

Quando c’è la minaccia di un conflitto, bisogna scegliere la dignità prima della felicità: così si salvano entrambi perché, ammesso e non concesso che si possa giungere a una certa felicità, la felicità senza dignità non è felicità umana.


*: Con un guizzo di delizioso humour mitteleuropeo soleva ripetere che se un qualche genio teologico aveva lo si doveva certamente a quella pallottola che gli era rimasta conficcata nel cervello tutta la vita: «Perché è tedesca!» [N.d.T.].

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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