Rebecca libri

I concetti creano idoli, solo lo stupore conosce

di Michael Waldstein

Voglio cominciare con un testo emblematico di Balthasar: “Esistere è tanto mirabile quanto ovvio. Tutto, senza eccezione, tutto quello che poi vi si potrà e si dovrà senz’altro aggiungere, dovrà essere esplicitazione di questa prima esperienza. Non c’è nessuna “serietà della vita” che possa rendere sorpassato questo principio. Non c’è nessuna “assunzione amministrativa” dell’esistenza che la possa far avanzare di più di questa prima esperienza di meraviglia”. Balthasar nella sua opera esplicita questo atteggiamento di stupore, parlando dell’inizio della coscienza personale dell’uomo che accade nel bambino quando la madre lo vede, lo tocca. Dice che questa intuizione del bene, che è la madre per il bambino, in un certo modo riempie tutto l’orizzonte dell’esistenza, e proprio in questo il bambino percepisce l’essere come dono. C’è un netto contrasto fra questo modo di vedere l’inizio della coscienza personale dell’uomo e il pensiero di Cartesio. Per Cartesio infatti, l’inizio della coscienza dell’uomo è un atto di autopossesso: “ Io mi rendo conscio di me stesso e mi posseggo in questo atto”, questo è l’atto fondamentale della persona. Per Balthasar invece tutto accade dopo, per un bambino tutto si gioca dentro questa prima esperienza, anche l’incontro con Cristo, che in un certo modo rende esplicita qualcosa che è già implicito nella vita del bambino, perché in Cristo l’Essere si rivela come dono e perciò lo stupore è la risposta giusta a questo dono. Ma volevo parlare di più della figura di Balthasar. De Lubac ha detto che Balthasar era l’uomo più colto del nostro secolo passato, infatti è incredibile quanto abbia letto e scritto. Ha riscritto la sua tesi di letteratura in tre grandi volumi intitolati Apocalisse dell’anima tedesca, ed è un dialogo incredibile con tutti i grandi poeti, filosofi, teologi della tradizione tedesca negli ultimi duecento anni. Un’apertura incredibile, infatti per Balthasar tutti gli incontri, anche quelli personali, erano importantissimi; si può menzionare ad esempio De Lubac, maestro nello studio dei Padri; Martin Buber il giudeo, con la sua filosofia dialogica, secondo il quale l’io non si può capire senza il Tu, e da ciò si può facilmente intuire il rapporto immediato con Balthasar; e infine Karl Barth, protestante, che viveva a Basilea, con il quale ascoltava Mozart , Balthasar infatti era molto appassionato di musica, i genitori pensavano che, per lui, una carriera da pianista sarebbe stata la cosa migliore. Per tutta la sua vita Mozart fu la stella perché in lui sentiva la bontà della Creazione e questo è un decisivo punto di contatto tra un cattolico e un grande pensatore protestante perché, come in Lutero, c’è la tendenza a sminuire la bontà della Crezione, di porre l’enfasi sul fatto che siamo corrotti. Il grande incontro fu però quello con Adrienne von Speyr, medico protestante che tramite Balthasar si converte: “ E dopo la conversione ci fu come un’onda di doni, di visioni, specialmente concentrati sulla croce, l’esperienza di Gesù, il Sabato Santo…”,ma di questo parlerò più avanti. Importante per Balthasar fu anche l’amicizia con don Giussani e penso che la stessa sensibilità che è espressa nel testo con cui ho cominciato si veda anche in don Giussani; forse questo era proprio il punto di contatto: la meraviglia e l’apertura davanti all’Essere come dono, ma anche l’enfasi sull’esperienza affettiva e l’azione umana come missione che non procede semplicemente da me stesso ma in una missione. In Balthasar c’è un ecumenismo del conoscere, un’apertura a tutto. Spesso nella nostra cultura laica si insiste sul senso laico delle cose, si dice che i cattolici sono chiusi, che non vedono, ma Balthasar mi sembra che sorpassi tutti come apertura, valorizzazione, coraggio e tensione al vero. La sua teologia è nutrita accademicamente non solo di se stessa, ma di realtà, così c’è sempre un’attenzione in lui alla letteratura e all’esperienza in genere. C’è un passo di don Giussani che mi sembra Balthasar avrebbe potuto scrivere perché è come un ponte tra i due: “La formula dell’itinerario al significato ultimo della realtà qual è? Vivere il reale, l’esperienza di quella implicazione nascosta, di quella presenza arcana, misteriosa, dentro l’occhio che si spalanca sulle cose, dentro l’attrattiva che le cose risvegliano, dentro la bellezza, dentro lo stupore pieno di gratitudine, di conforto e di speranza, perché queste cose si muovono in modo tale da servirmi, da essermi utili. Queste cose inoltre contengono anche me stesso, me in cui quel recondito, quel nascosto diventa vicino perché è qui che mi sta facendo e mi parla del bene e del male. Questa esperienza come potrà essere vivida? Questa complessa e pur semplice esperienza, così ricca di ciò di cui è costituito il cuore dell’uomo, per cui il cuore dell’uomo è il cuore stesso della natura, il cuore del cosmo, e come potrà essa diventare potente? Nell’impatto con il reale. L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre e intensamente il reale.” Mi sembra che esprima esattamente il modo di vedere di Balthasar. Adesso vorrei passare a illustrare l’opera di Balthasar. Voglio cominciare con la sua diagnosi culturale che sviluppa nella sua Teodrammatica. Secondo l’autore, il pensiero scientifico, come si è sviluppato nella fisica, nella chimica, nella biologia, è un fattore che determina la cultura moderna ed è un modo di intendere la ragione come uno strumento di potere. Infatti Francesco Bacone, nella sua Instauratio Magna, scritta nel 1620, dice che la nostra coscienza fino ad oggi non vale quasi niente, è una coscienza di bambino che può parlare, ma non può generare, così Aristotele, San Tommaso sarebbero bambini che parlano ma non generano.Balthasar sostiene che deve essere chiaro che lo scopo del sapere è la potenza dell’uomo sopra la natura: quando capisci la natura, puoi esercitare il potere; e questo scopo determina in molti modi i mezzi e il procedimento della ragione. Se io decido di andare in un negozio, tutta la mia strada è determinata da questo scopo. Considerando che il potere è lo scopo vero, cosa succede quando uno vede la natura da questo punto di vista? Sparisce prima. Bacone è molto chiaro su questo punto, la finalità, il bene della natura; ed è logico perché, se le cose hanno già un loro scopo, questa è una limitazione per il mio potere. Io voglio imporre il mio fine invece di seguire il fine che sta dentro le cose. Lo stesso punto di vista si vede in Descartes, ma in modo più radicale, un po’ dopo Bacone. Ho già parlato di questo atto di auto-possesso che è l’inizio del potere sulle cose. Descartes era un grande matematico e così la sua visione della natura tende a essere matematica non solo per ragioni personali, ma anche perché considerava la meccanica come la scienza che poteva esercitare potere sulle cose. E perciò il suo modo di vedere la natura è diventato matematico. Le cose sono “res estense”, l’estensione è l’unico attributo vero delle cose. In questa visione della natura ci sono due conseguenze etiche e politiche che dopo Descartes si sono mostrate velocemente: il desiderio di emancipazione (se l’uomo concepisce se stesso come origine di potere non vuole essere sottoposto al potere di altre persone), e l’utilitarismo (il modo di guardare alle cose diventa “cosa posso fare io alle cose così che queste cose mi possano dare piacere”). Balthasar vede solo brevemente scheggiato. Kant, il grande filosofo tedesco, voleva salvare questa situazione perché capiva che la presenza di Dio spariva in questo modo di vedere la natura, infatti in Descartes Dio non tocca tutta questa scienza del potere. Come sapete Kant ha scritto tre critiche: la Critica della ragione pura, la Critica della ragione pratica e la Critica del giudizio, il vero, il bene e il “pulchrum”, il bello. Kant vuole ristabilire un ordine morale, basato su tre fondamentali verità: l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima e la libertà della volontà umana, senza queste premesse non ci può essere una vita umana degna di essere della persona; così il suo grande nemico era specificamente l’utilitarismo. Ma quando sviluppa questa visione, per lui la struttura fondamentale del potere, del conoscere, è che noi riceviamo qualche stimolo sensitivo e poi lo formiamo con concetti che sono già in noi. Io, in un certo modo, ho un modo tecnologico di capire il potere, come uno che fa cose, il materiale c’è e viene formato. Nella Critica della Ragione Pratica si vede che Dio è considerato solo come postulato pratico, che vuol dire niente sulla questione se Dio esista o no. Un uomo degno di essere una persona parla di Dio, ma se Dio esiste non si può dire né se Dio esiste, né che non esiste. Così questa soluzione di Kant, dal punto di vista del Cristianesimo, è un disastro anche se c’è molta, moltissima intelligenza dentro queste preziosissime osservazioni. Balthasar sostiene che Kant è il punto di incrocio di tutte le strade della modernità, in Kant tutte le strade vengono collegate…tutte le strade portano a Roma. Questi sono alcuni elementi della diagnosi culturale di Balthasar. Adesso voglio parlare della sua proposta. L’opera principale di Balthasar è una trilogia di 15 volumi, la prima parte, l’Estetica teologica, costituita da sette volumi, è dedicata al bello, al “pulchrum” . La seconda parte è la “Teodrammatica” incentrata sull’azione umana e l’azione di Dio che raggiunge il bene è al centro di questo. L’ultima parte in tre volumi è la “Teologica” e come si può vedere facilmente è un’inversione del pensiero di Kant; infatti mentre per quest’ultimo il bello viene alla fine come una cosa culturale, per Balthasar il bello viene prima, perché per la sua sensibilità il bello sta al centro del modo in cui l’uomo affronta le cose. Il bello ha a che fare con questo auto-donarsi e comunicarsi dell’essere. L’ultima parte della trilogia è dedicata all’indagine sulla verità di Dio, Balthasar concepisce questa parte come una riflessione posteriore, dopo che c’è stato l’incontro con la gloria e la bellezza di Dio; e l’azione di Dio, in cui questo incontro, continua e raggiunge lo scopo, il fine, dopo tutto questo c’è una riflessione sul vero. Invece in Kant tutto ciò sta all’inizio. Voglio sviluppare un po’ alcuni aspetti della prima parte, l’ “Estetica teologica”, la gloria. E parlerò prima di alcuni aspetti filosofici e poi della lettura di Balthasar del Vangelo di Giovanni, che sta al centro della sua “Teologia”; questa infatti è stata la ragione per cui ho studiato l’esegesi del Vangelo di san Giovanni. Balthasar comincia, in questo volume, con la verità del mondo, che costituisce il primo volume della Teologica, fenomeno dell’espressione. Quando guardiamo una faccia, per esempio, non vediamo solo qualche oggetto geometrico di una certa forma esteriore, ma c’è il fatto sorprendente e misterioso che tramite la faccia l’uomo si comunica; per esempio posso vedere il vostro vedere, quando guardate posso vedere questo vedere. Anche se il vedere è un fatto interno e non esce come un piccolo pezzo materiale, fuori in genere la persona si esprime, diventa presente a me proprio grazie a questa espressione. Vedete questa enfasi sull’espressione, legata intimamente alla sua tesi dell’inizio della coscienza umana nel sorriso della mamma. Quando sviluppa questo aspetto dell’ espressione Balthasar osserva che, quando c’è un’ espressione in una faccia, c’è un’unità nuova che unisce le varie parti della faccia; un’unità che non è superficiale, ma che viene dall’interno, è un’unità della persona che si vede nella faccia. E questo, seguendo Goethe, lo chiama “gestalt”, figura; espressione e figura sono per lui due concetti fondamentali dell’estetica. Sempre seguendo Goethe osserva che, quando guardi la natura, puoi osservare una polarità incrementale, che c’è una certa espressione nella pianta, vedo in un certo modo che la pianta vive. In un animale vedo molto più: il centro dal quale l’animale si esprime è più interiore che non nel caso della pianta, ma nello stesso modo riesce a esprimersi esteriormente, così nello stesso tempo c’è più interiorità e esteriorità. Nell’uomo questa capacità di espressione è più forte, l’intimità della persona si può dischiudere liberamente così che uno non può semplicemente aprire la porta e entrare nel mio intimo, ma ha bisogno che io lo esprima. Bene, ore vorrei occuparmi dell’estetica di Balthasar, inizierei con il riassumere in sette punti il suo modo di leggere il Vangelo di san Giovanni, cioè dal punto di vista estetico dell’espressione della figura o forma. Sette è un numero importante, solo a un certo punto ho scoperto che i buchi nella nostra testa sono due, quattro, sei, sette, il che è interessante perché quasi tutta la nostra vita accade tramite questi buchi, non solo quelli ma…forse c’è una ragione per cui sette è un numero così importante. Balthasar leggendo il Vangelo di Giovanni osserva un paradosso: da una parte c’è una pretesa di Cristo incredibile, l’espressione più chiara del Vangelo di Giovanni è questa frase ricchissima “Prima che Abramo fosse io sono”. Ě una pretesa di una dignità divina, ma allo stesso tempo nel Vangelo di sanGiovanni Gesù dice: “Non cerco la mia gloria, se io cercassi la mia gloria non sarebbe niente”, infatti la gloria di Dio, che sembra un aspetto della potenza di Dio, non si esercita: Gesù si lascia uccidere. Così c’è la pretesa e la debolezza, nella quale Lui non cerca la Sua gloria. Terzo punto: La risoluzione di questa tensione tra pretesa e povertà, dice Balthasar, sta nell’identità del Figlio di Dio. Come Figlio Lui non è inizio assoluto, ma proviene dal Padre e lascia spazio al Padre di fare come vuole. Così la sua figliolanza è il punto in cui questa pretesa e questa debolezza, la povertà, si incrociano. Quarto punto: Tutta la vita di Gesù, nel Vangelo di san Giovanni, ha una propulsione verso la croce, nella quale si abbandona al potere degli altri. Il punto decisivo è che questo abbandono di se stesso è vissuto come missione: Lui è colui che il Padre manda. Dio ha così amato il mondo che ha dato suo Figlio, non per condannare il mondo, ma per salvarlo: così la missione è al centro. Si vede in questo testo cruciale di san Giovanni che missione e donazione sono vicine l’una all’altra. Quinto punto: Come si può capire questo grande paradosso per il quale lì c’è il Figlio di Dio e soffre nella debolezza? Per i Vangeli, specialmente per quello di san Giovanni, questa era l’esperienza di Adrienne von Speyr, la sofferenza di Gesù è da capire come espiazione. Ora voglio parlare un po’ di questa espiazione, perché è un concetto molto importante, ma molto facilmente malinteso. Per esempio Rahner rigetta questo concetto. Nella Prima lettera di san Giovanni, il philasmòs, l’espiazione, è centrale. Pensiamo ad una coppia, un uomo e una donna che sono sposati e uno di loro rompe l’unità di amore tra loro due. Chiediamoci cosa può ristabilire il rapporto. Se ad esempio uno era infedele, come può essere ristabilito il rapporto? Si può dire che l’unica cosa che può ristabilire un rapporto rotto tra uomo e donna è l’amore: senza amore non c’è una riconciliazione; l’amore è la potenza che compie questa riconciliazione. Ma come? Prendiamo l’esempio del marito infedele e chiediamoci: in che forma lavora l’amore nella donna per ristabilire il rapporto? Nella donna il lavoro dell’amore è il perdono. Ma adesso chiediamoci cosa è il lavoro dell’amore nell’uomo che era colpevole, lì troviamo che una riconciliazione non è possibile senza memoria, perché non è possibile solamente dimenticare ciò che è accaduto, è necessario ricordarlo, ma in un modo diverso. Nel momento in cui questa azione di infedeltà è accaduta, il rapporto dell’uomo con questa azione era molto diverso: era il piacere, o il dramma di un rapporto erotico o qualcosa del genere. Ma adesso l’uomo deve sperimentare il suo atto come sofferenza, senza la quale non c’è riconciliazione tra gli sposi. Il lavoro dell’amore in colui che è colpevole è ricordare la propria azione nella modalità della sofferenza, del dolore. Sesto punto: Il mistero fondamentale di Cristo sembra essere quello che Balthasar chiama la “Stelfertretung”, in italiano, significa sostituzione, rappresentazione o supplenza (il mio dizionario ha dato tutte queste tre definizioni per la Stelfertretung). In questo caso vuol dire: “Mettersi al posto di”. Così l’idea fondamentale è che Cristo si mette al posto nostro e fa questo lavoro di amore, di sofferenza al posto nostro, riconciliandoci così con Dio. Sembra l’idea centrale: Cristo ha sofferto ed è morto per noi. Vuol dire che in noi il potere dell’amore non basta per una riconciliazione. La riconciliazione per noi è nel dono di Cristo che mi porta sulle sue spalle. In questi sette volumi della Gloria Balthasar dice che qui, in questo punto, si può vedere la gloria, la gloria ultima di Dio. Se gloria vuol dire il potere di esprimersi, di farsi conoscere e riconoscere, il punto della gloria divina è proprio la croce perché è lì che l’amore di Dio entra nel peccato e trasforma il peccato. Il lavoro dell’amore: lì sta la gloria di Dio. Noi chiamiamo gli ultimi misteri del rosario i misteri gloriosi, ma in un certo modo, per il Vangelo di Giovanni, sono i misteri dolorosi il vero centro della gloria. Settimo punto: Chiediamoci quale sia la condizione della possibilità per cui questo evento della Stelfertretung, della sostituzione (mettersi al posto nostro), accada. Lì tocchiamo il mistero della Trinità: l’espiazione, questa gloria di Dio, è possibile perché Dio dà il suo Figlio. Ma dà il suo Figlio perché, già da prima, c’è in Lui un dono di sé. Ad un certo punto, nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice: “Come il Padre mi ha amato, io vi ho amato”. Questo “come” è importantissimo: l’origine della gloria è nella Trinità, nel dono di sé di Dio. Sono quasi alla fine e voglio collegare la fine con l’inizio; vedete, è evidente nell’amore della madre: esistere è tanto mirabile quanto ovvio. Tutto, senza eccezione, tutto quello che poi vi si potrà e vi si dovrà senz’altro aggiungere, dovrà essere esplicitazione di questa prima esperienza. Infatti dice Balthasar: “Non c’è nessuna serietà della vita – e Kant è molto serio, non solo perché è tedesco, ma… lui in particolare è seriosissimo, come anche Descartes: c’è una specie di non lasciarsi dare qualcosa – non c’è nessuna serietà della vita che possa rendere sorpassato questo principio. Non c’è nessuna assunzione amministrativa dell’esistenza – qui si vede tutta la diagnosi culturale di Balthasar, per il quale la cultura moderna è una specie di assunzione amministrativa dell’esistenza; noi, infatti troviamo il modo di esercitare potere sulla natura e possiamo vivere, in modo piacevole, il progresso verso una esistenza sempre più bella – non c’è nessuna assunzione amministrativa dell’esistenza che la possa far avanzare di più di questa prima esperienza di meraviglia di fronte al dono dell’amore della mamma e, ultimamente, alla gloria di Cristo. Grazie.

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