Rebecca libri

Il fenomeno editoriale del giornalista-scrittore

di Giuliano Vigini

La frammistione e l’interazione fra giornali, gruppi editoriali e società pubblicitarie dello stesso gruppo, da qualche tempo stanno determinando una svolta nell’editoria di consumo. Prima i giornalisti di un determinato giornale scrivevano libri per gruppi diversi dal proprio; adesso, per convinzione, convenienza o per garbati suggerimenti, molti sono tornati a casa. Magari, quando scrivevano libri, erano dei best-seller anche prima; ma ora hanno la consapevolezza di una sicurezza e di una continuità maggiore (scrivere, ad esempio, su più giornali del gruppo, tenere rubriche, fare pubblicità, avere garantita una presenza frequente ai talk-show, condurre trasmissioni ecc.).

Non sono più semplici giornalisti, che più spazio di tanto non possono avere sui loro quotidiani o giornali d’informazione o nei loro programmi. C’è bisogno per loro di un libro ad hoc. Così i giornalisti-scrittori si moltiplicano, perché si aprono per loro nuove strade nel romanzo, nella saggistica, nell’inchiesta, e ci riescono bene, un po’ perché sono bravi (alcuni anche dei fuoriclasse), un po’ perché l’attualità li sollecita e il loro gruppo li “spinge”, li “propone” o li “impone” in modo adeguato. Basti pensare ai 56 libri che, nel giro di poche settimane, sono usciti sulla guerra in Ucraina, su Putin, gli oligarchi e via dicendo.

Naturalmente, niente di male né per scrittori né per editori. Fa parte di un’evoluzione naturale della concorrenza e delle convenienze personali dei singoli. Fatto sta che il giornalismo librario – ossia tutta quell’offerta libraria prodotta da giornalisti – ha preso uno spazio rilevante in tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche, secondo un meccanismo ormai ben collaudato. Tu fai gioco a me che ti ospito, perché sei conosciuto e parli bene di qualche argomento di attualità che sto trattando; io faccio gioco a te perché approfitto della tua presenza per presentare il tuo nuovo romanzo o saggio. Niente di sorprendente in questo, perché si tratta di un gioco di specchi, da cui tutti traggono vantaggio, senza particolari costi.

Del resto, questa non è una prerogativa esclusiva delle trasmissioni più propriamente giornalistiche. Da semplice osservatore di programmi televisivi o ascoltatore di programmi radiofonici, non è azzardato parlare di trasmissioni che, almeno in parte, si giovano di trasmissioni altrui. Prendiamo, ad esempio, “Ballando con le stelle” o “Tale e quale show”. Già una settimana prima, concorrenti o giurie vengono invitati a trasmissioni popolari molto seguite; poi nuove presenze il giorno prima o il giorno stesso; poi ad ogni puntata terminata altri protagonisti, con nuovi agganci o polemiche. Tutto fa audience e, naturalmente, ogni tanto ci scappa anche qualche libro (o disco, o film o spettacolo teatrale) uscito o in programmazione.

Il risultato diventa poi molto visibile nelle classifiche librarie, dove i giornalisti salgono spesso ai vertici. Tutti contenti: chi pubblica, chi vende e chi riceve i sacrosanti diritti del proprio lavoro. Spiace solo per tanti altri bei libri sconosciuti che meriterebbero di salire alla luce della ribalta.

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