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Cerutti: lentamente si è arrivati alle leggirazziali

di Gianni Cometti

“Il calcio? Un gioco dove il primo a contare è l’arbitro. Poi il caso…”

Un incontro serio, tragicamente serio ma anche divertente quello di sabato, nel Salone d’Onore della Fondazione Marazza per la presentazione del libro “L’allenatore di Auschwitz” (edizioni Interlinea), opera di Giovanni Cerutti, scrittore e storico, direttore della Fondazione Marazza e direttore scientifico dell’Istituto storico della Resistenza di Novara.

E’ intervenuto Gian Paolo Ormezzano, torinese, 85 anni, da 67 (iniziò nel 1953) giornalista e scrittore per la Stampa, Famiglia Cristina e Tuttosport.

“L’allenatore di Auschwitz” narra dell’ungherese Árpád Weisz (Solt 16 aprile 1896 – Auschwitz 31 gennaio 1944) il più grande allenatore di calcio del periodo fra le due guerre e quasi certamente il più grande di tutto il XX secolo. Introdusse per primo gli schemi di gioco e programmò allenamenti con carichi di lavoro prima sconosciuti.

All’Inter,“scoprì”Giuseppe Meazzae e vinse il campionato del 1930 con l’Ambrosiana Inter. Si ripetè a Bologna nel ’35 -’36 e nel ’36 – ’37. Avrebbe vinto anche quello del ’38 – ‘39, quando venne allontanato. Che era successo?

«Erano subentrate le leggi razziali – ha spiegato Giovanni Cerutti – e Árpád Weisz venne esautorato». Fanno rabbrividire le parole pubblicate “Calcio illustrato”, un settimanale dell’epoca: «La vigorosa e decisa opera di difesa della razza intrapresa dal Regime, avrà naturalmente le sue conseguenze benefiche anche nel campo sportivo, per quanto, in fatto di atleti militanti, non debbano essere molti gli ebrei. Riguardo al mondo calcistico, che è quello che ci interessa più da vicino, vi è però una zona in cui si è trapiantata, crediamo, una discreta rappresentanza israelita straniera, ed è quella degli allenatori. Ebbene, costoro – venuti fra noi dopo il 1919 – debbano far le valigie entro sei mesi, non ci rincresce davvero, poiché così finiranno di vendere fumo con quell’arte imbonitoria propria della razza, e lasceranno i posti a tanti ex-giocatori di razza italiana, che sono benissimo in grado di tenerli, e che al confronto con gli stranieri di cui sopra non sono inferiori che sotto una voce: la facciatosta!».

Árpád Weisz e la sua famiglia andò nella neutrale Olanda, convinto di essere al sicuro: «Allenò una squadra di dopolavoristi, il Dordrech che portò al quinto posto in campionato».Ma anche in Olanda vi erano delatori, che segnalarono la presenza di ebrei. Furono deportati ad Auschwitz. I suoi due figli e la moglie furono mandati subito alla camera a gas. Lui, robusto, venne schiavizzato in lavori pesanti ma la sua pur forte fibra non resse e morì il 31 gennaio 1944». Pur essendo un allenatore di assoluto valore, Árpád Weisz fu completamente dimenticato.

«Quando accaduto può accadere ancora come scrisse Primo Levi. E può accadere non improvvisamente ma, accettando passo dopo passo e provvedimento dopo provvedimento». Si stigmatizza un persona o un gruppo, gli attribuiscono anche colpe che non hanno (l’ignoranza gioca un ruolo determinante), si adottando delle leggi, si arriva a quelle razziali. Il libro di Giovanni Cerutti lo racconta: è anche una storia di calcio ma, nel tragico contesto storico della prima parte del XX Secolo. Gian Paolo Ormezzano: che cosa è oggi il calcio? Divertente Giampaolo Ormezzano, intervenuto dopo le presentazioni di Giovanni Tinivella, presidente della Fondazione Marazza, di Francesco Valsesia, assessore allo sport e alla cultura, di Roberto Cicale della casa editrice Interlinea. «Macché schemi e tattiche: sono invenzioni giornalistiche! Sivori non ne voleva sentir parlare. L’allenatore Nereo Rocco diceva: è già positivo non far danni». Ha continuato: «Árpád Weisz va ricordato per aver fatto divertire con il calcio».

E per smitizzare i tecnicismi che riempiono trasmissioni e pagine di giornali, ha raccontato di una sua volta ad Aberdeen in Scozia, quando chiese ad un allenatore «Che tattica usate? La riposta: qui c’è vento, quando è contro stiamo tutti in difesa, quando è favore passiamo all’attacco».

Ha continuato: «Mettete un bambino in una stanza con tanti giochi, sceglierà il pallone. Il calcio è semplice. Il rugby, ad esempio, è più elaborato e… più leale: la palla va passata indietro e mai in avanti dove, magari, si è infiltrato qualcuno dei tuoi. Per questo è meno diffuso del calcio».

Che cosa conta nel calcio di oggi? «Nell’ordine: al primo posto assoluto l’arbitro, al secondo il caso, al terzo la prestazione atletica».

 

L’allenatore ad Auschwitz | Giovanni Cerutti | Interlinea | 2020 | 12 €

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