Rebecca libri

Una “biografia” del silenzio

di Giovanna Piazza

Pablo d’Ors, scrittore e sacerdote cattolico, in un percorso di quarantanove tappe (che corrispondono ad altrettanti capitoli del libro) descrive la pratica della meditazione silenziosa.

Lo fa adoperando uno stile semplice, mai compiaciuto, esemplare per chiarezza e logicità, evidentemente scaturito da una profonda consapevolezza di sé e della propria traiettoria spirituale.

Per meditare, dice l’autore già nella prima pagina, occorre abbandonare la più inveterata delle abitudini: fare. Il disagio che si avverte in questo radicale ribaltamento di prospettiva è, anzitutto, fisico: “Nei primi mesi meditavo male, malissimo; tenere la schiena eretta e le ginocchia piegate non mi riusciva per nulla facile e, per giunta, respiravo con una certa agitazione”, p. 9.

Indagare il nucleo più autentico di sé, poi, è un viaggio in un luogo mai esplorato; sono dunque inevitabili il senso di sgomento e la tentazione della fuga: “mi risultava quasi insopportabile stare con me stesso, ragion per cui scappavo costantemente da me. Questo verdetto mi ha portato alla certezza che, per quanto ampie e scrupolose fossero state le analisi della mia coscienza condotte nel mio decennio di formazione universitaria, la mia coscienza continuava ad essere, dopotutto, un territorio ben poco frequentato”, p. 12.

La scoperta fondamentale a cui Pablo d’Ors giunge attraverso la meditazione è la differenza tra ciò che egli chiama piccolo io (o falso io) e il vero io (definizioni rinvenibili alle pp. 75-76).

Il piccolo io (cioè l’ego nell’accezione deteriore del termine) si manifesta nella smania di giustapporre e collezionare esperienze, come se moltiplicare le azioni garantisse un accrescimento automatico della conoscenza di sé e del mondo: “Fino al momento in cui ho deciso di praticare la meditazione con tutto il rigore di cui ero capace, avevo avuto tante esperienze nel corso della vita da arrivare a un punto in cui, senza timore di esagerare, posso dire che non sapevo nemmeno bene chi ero […] Come molti dei miei contemporanei, ero convinto che quante più esperienze facessi e quanto più intense e folgoranti fossero, prima e meglio sarei arrivato alla pienezza come persona. Oggi so che non è così: la quantità di esperienze e la loro intensità serve solo a stordirci. […] Ora direi perfino che qualunque esperienza, anche quella in apparenza più innocente, è in genere troppo vertiginosa per l’anima umana, che si nutre solo a un ritmo pacato”, p. 13.

L’allontanamento dal piccolo io equivale alla coscienza dell’autonomia del mondo, giacché nessun intervento umano può davvero incidere nel pulsare dell’universo: “Mentre sto seduto, apparentemente inattivo, comprendo meglio che il mondo non dipende da me, e che le cose sono come sono indipendentemente dal mio intervento. Vedere ciò è molto salutare: colloca l’essere umano in una posizione più umile, lo decentra, gli offre uno specchio a sua misura”, pp. 21-22.

Allora, se fare è uno sterile esercizio di autoaffermazione che distanzia dalla verità, per aderire al ritmo della vita occorre proprio abbandonare l’azione: “Non conviene resistere, bensì lasciarsi andare, arrendersi con dedizione. Non resistere allo sforzo, bensì vivere nell’abbandono. […] Lo sforzo mette in funzionamento la volontà e la ragione; la resa, invece, la libertà e l’intuizione. […] Sicché non c’è nulla da inventare, basta ricevere quel che la vita ha inventato per noi; e poi, questo sì, darlo agli altri”, p. 38.

Ma per poter accogliere la vita è necessario liberarsi dall’ossessione delle esperienze, svuotarsi, farsi cavi: “Ci spaventa lo scenario vuoto: tanta desolazione ci dà un’impressione di noia. Ma quel vuoto è la nostra identità più radicale, giacché non è altro che pura capacità di recepire e accogliere”, p. 60.

Esistere davvero è corrispondere al ritmo, vivere senza che mai alcun gesto sia accompagnato da interpretazioni o proiezioni: “Tutti loro [i maestri di meditazione incontrati negli anni da Pablo d’Ors, n.d.r.] si muovono risolutamente e dicono semplicemente quel che hanno nel cuore e nella testa, senza che sembri preoccuparli la ripercussione o impressione che possono provocare. Nelle loro parole non c’è altro che le parole pronunciate, senza alcuna intenzione aggiuntiva”, p. 71.

La partecipazione autentica alla vita è spegnere la propria individualità nel battito universale, in una suggestiva coincidenza tra accogliere ed essere accolti.

 

Biografia del silenzio, di Pablo d’Ors, Vita e Pensiero, pp. 100, euro 12.00

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